couch-play

Mi mancano le avventure in split-screen

Lettera a cuore aperto da parte di chi amava condividere lo stesso schermo durante una sessione di gioco.

Andrebbe ideata una rubrica intitolata “Pensieri da doccia”, un luogo dove raccontare quelle idee, ricordi o semplicemente riflessioni che vengono fuori quando ti stai strofinando i capelli e ti lasci andare a interi minuti di pensieri sulla vita e sul perché la fibra non è ancora arrivata a casa tua. E sei lì, proprio quando l’acqua porta via il sapone che pensi: “ah, come mi manca giocare in split-screen“.

Appartengo a quella generazione a cavallo tra i cosiddetti millenials e la Generazione Z (che figata ‘sti nomi da Power Ranger per definire decadi di generazioni), e ho visto il lento e inesorabile declino del couch-play cooperativo e l’ascesa del multiplayer come oggi lo conosciamo, fiero e sempre in continua evoluzione, tra deathmatch classici e i più recenti battle-royale, che hanno fregato pure me con Apex Legends. Però amavo poter (con)dividere lo schermo con un mio amico in qualsiasi momento, unirlo e iniziare l’avventura senza subire penalità dovute al fatto che il nostro alleato avesse una potenza di fuoco minore.

Mi manca lo split-screen
Borderlands permette lo split-screen, ma bisogna gestire due personaggi contemporaneamente.

Questo è infatti è il caso della serie Borderlands, gioco che personalmente adoro (o quanto meno il primo capitolo) e che trovo maledettamente divertente da provare con il proprio fratellino o il miglior amico di sempre. Ma il problema è sempre stato uno e uno solo: il giocatore ospita parte sempre dal livello 1. Niente armi, niente abilità, una “mezza calzetta” con cui neanche puoi divertirti a fare i duelli perché vinci con un colpo della pistola più inutile del gioco. Per giocare bene, dovresti assegnare un personaggio a un altro tuo profilo, aumentare di livello e portarlo al pari di quello principale. Insomma, bisognerebbe gestire ben due partite alla volta. Ma siamo seri, chi ha voglia di fare una cosa simile?

Molto più semplice era il caso di Medal of Honor: Rising Sun. Non so dirvi quante ore ho passato in compagnia del mio amico d’infanzia a rantolare tra le isole dell’Asia orientale dopo essere scampato a Pearl Harbor. E più che assaltare i soldati giapponesi, abbiamo passato molto tempo a darci il calcio del fucile in faccia, ma d’altronde non avevamo neanche dieci anni, cosa pretendete.

Mi mancano le avventure in split-screen
Parliamone, quanto erano cazzuti questi due?

E ciò è la conferma di quanto detto: arrivava a casa il tuo amico, collegava a PlayStation 2 il controller di una marca generica compatibile e si iniziava a giocare, come se non fosse successo nulla. Lo split-screen era anche un momento di aggregazione e condivisione, era un’opportunità di invitare qualcuno e provare con lui quel nuovo gioco che sulla copertina affermava “Divertimento co-op!”. Siate sinceri, quanti di voi hanno preso un titolo solo perché era giocabile in cooperativa?

Vedi Army of Two, un altro gioco, stavolta dell’era PlayStation 3/Xbox 360, a permettere ai giocatori di entrare in partita in qualsiasi momento. Se eri da solo, avevi comunque un’IA ad aiutarti, anche se non ricordo se fosse decente o grezza come accade spesso per i personaggi alleati, ma se avevi compagnia, potevi entrare in missione nei panni di Salem o Rios immediatamente. Non importava se fossi nel bel mezzo dell’azione, con una mitragliatrice puntata contro o con l’intero squadrone nemico pronto a farti fuori, il campanello di casa aveva suonato e il tuo compare era lì pronto ad assisterti.

A Way Out
A Way Out è più di un semplice gioco cooperativo.

Per questo motivo plaudo alcune produzioni che cercano di riportare in vita questa peculiarità che al giorno d’oggi sembra essere stata dimenticata, o che comunque non è qualcosa che sembra attrarre gli sviluppatori al momento dello sviluppo. Per questo mi piace molto lo spirito di base di A Way Out, il gioco ideato da quel folle di Josef Fares, che come nel caso di Army of Two permette al giocatore di vestire i panni di uno dei protagonisti. Allo stesso modo trovo interessante la scelta di Nine Dots Studio di permettere di iniziare una campagna in Outward con un amico, senza obbligare chi ci gioca principalmente a dover gestire la progressione di due personaggi.

Arrivati in fondo a questa lamentela da boomer (Power Ranger Boomer Force, vedete come ci sta bene?), potreste anche giustamente obiettare sul fatto che comunque là fuori esistono molti giochi che danno la possibilità di giocare in cooperativa locale, o couch play che dir si voglia. E avete anche ragione. Però lo split screen è diverso, ha quel qualcosa di intrinseco, di magico che riesce a riportarti indietro nel tempo a quando il tuo migliore amico ti sparava in faccia nel bel mezzo di una guerra, perché era più divertente ammazzarsi a vicenda, e sbellicarsi dal ridere, piuttosto che concentrarsi sull’obiettivo.