Return To Monkey Island, parliamone tra pirati

Il ritorno del pirata più famoso dei videogiochi è finalmente realtà.

Vorrei tanto essere breve e non portarvi via più di 10 minuti (ok, forse 8) per leggere questo articolo. Trattenete il fiato e iniziate a leggere, non ci sono spoiler, non c’è nulla che possa rovinarvi l’esperienza di gioco, anzi, spero che possiate amarlo ancora di più.

Ron Gilbert è rimasto per anni in un tiepido silenzio sotto le pressioni mentali dei fan che volevano un seguito o comunque un nuovo capitolo o comunque qualcosa con il nome Monkey Island.
Ron Gilbert sapeva in cuor suo che i fan volevano sicuramente qualcosa che fosse ancora almeno in pixel art, probabilmente i puristi pure in EGA.
Ron Gilbert è rimasto per anni a ripetersi in testa la parte finale di questa canzone dei Rage Against The Machine. Poi un bel giorno, quando tutto era come doveva essere, Ron si è messo al lavoro senza dire nulla a nessuno.

Poi un altro bel giorno ti arriva la notizia che non ti aspetti.

Per noi tutti è stata la più bella sorpresa del mondo, paragonabile a quelle cose che di colpo ti svoltano la giornata tipo “gentili clienti apriamo cassa 4!”
Solo che questa ci potrebbe cambiare la vita…

Però…

Certe cose però, si sa, sarebbe meglio lasciarle lì dove stanno. Un po’ come le porte di certe prigioni o quelle di Moria, che non si dovrebbero aprire e magari nemmeno usare troppa luce per rivedere i suoi interni perché spesso non porta i risultati sperati. Alcuni ricordi sono belli solo dentro alla nostra testa, visti con gli occhi di quando l’alta risoluzione era al massimo 640X350 e, ad andar bene, 16 colori.

Ecco quindi nascere la prima polemica su questo nuovo episodio di Monkey Island, quella sul suo aspetto grafico. Essendo legati ad una rappresentazione ottobittiana ci viene difficile immaginare qualcosa di diverso nonostante gli episodi successivi ai primi due abbiano provato a rappresentare Guybrush (che no, non si chiama così per quel discorso di Guy.brush) e i suoi compagni in maniera sempre diversa e al passo con i tempi. Monkey Island ha seguito quello che al momento era attualmente lo stato dell’arte per quanto riguardasse la grafica. Prima pixel art al massimo del suo splendore, poi disegni a mano, scansionati e riportati a video, poi uno stile cartoon super animato per apparire come il miglior lungometraggio e sfruttare la capacità infinita del CD-ROM, poi uno stupenda grafica in 3D che cavalcava l’onda dettata dalla potenza delle nuove console e delle fiammanti schede video 3D su PC. I restanti capitoli si sono fatti grandi grazie al successo delle titoli Telltale Games, forti di un amore incondizionato ai loro titoli. Ci troviamo ad oggi, un periodo dove non esiste però una cosa che prevale sull’altra.
Fotorealismo? 3d? Realtà virtuale? Pixelart? Full Motion Video? Se guardiamo al mercato odierno troviamo che la creatività umana si può esprimere al meglio in ogni modo senza dover per forza essere legata alla tecnologia che non rappresenta più un ostacolo ma nemmeno un modo per rendere forzatamente creativa la sua utenza.
Lontani dai tempi in cui bisognava ingegnarsi per far uscire qualche colore in più a schermo o a far scalare gli sprites a seconda della loro distanza.

Queste infinite possibilità non sembrano essersi rivelate un ostacolo per la direzione artistica del gioco che detta le sue regole e le segue. Il gioco ci regala un alternarsi di azioni e reazioni degne del migliore punta e clicca, il tutto impreziosito da piccole cutscene che vorremmo rivedere di nuovo subito perché sono assolutamente perfette lì, dove sono.

Se l’aspetto grafico è capace di inventarsi, reinventarsi e rivelarsi lo stesso discorso vale per la parte sonora. È come ripescare una vecchia cassetta copiata nel fondo di un vecchio baule e andare a comprarsi il cd per fare ammenda ed ascoltarlo con nuove orecchie, ritrovando così brani e strumenti persi nella copia della copia della copia della copia…
Le tracce del gioco sono tutte nuove ed originali ma molte riprendono giustamente quelle che da anni la nostra mente si ritrova a canticchiare quando vogliamo prendere sonno o quando non vuole farci prendere sonno continuando a tenere il nostro cervello di avventuriero a pensare su come fare per rubare la chiave dalla nave di LeChuck.

Anche la musica quindi fa la sua parte cavalcando l’onda dei ricordi e continuando ad accompagnare per mano il giocatore senza distinzione né preconcetti per come esso sia cresciuto, se a PC Speaker, Sound Blaster, Roland, Paula… Troveremo familiarità con qualcosa di già sentito, quel qualcosa capace di scaldarci il cuore come il falò sempre acceso della sentinella nella fredda altura Mêlée.

Quando poi ti accorgi che creare questo gioco deve essere stato come raccogliere i pezzi per crearsi una bambola Voodoo ti rendi conto che tutto torna, che pure la giocabilità affidata ad un sistema di controllo molto universale (mouse, joypad, touch, fai come ti pare basta che giochi) viene naturale a chi ha giocato uno qualsiasi dei titoli precedenti ma anche a chi non ha mai visto una scimmia a tre teste in vita sua. (NDR: dai titoli precedenti mi sento di dovere di escludere Fuga da Monkey Island che presenta dei controlli che dovrebbero essere vietati nell’area delle tre isole).

La qualità della foto è sinomimo della praticità dei comandi.

E insomma questa bambola Voodoo funziona, è riuscita bene e potete avvertirne il suo potere e usarla come più vi aggrada anche se, lo sappiamo, la conserverete per sempre vicino al vostro cuore perché vi possa accompagnare in questa nuova avventura.

E così alla fine ti ritrovi a fare questo viaggio alla ricerca del segreto di Monkey Island e durante il percorso scopri che, in verità, il viaggio è quello che fai giocando, alla scoperta e alla ricerca di te stesso.

Il suono degli dei, il ritmo degli eroi.

Proseguendo con gli enigmi e svelando nuovi luoghi ti ritrovi a spolverare lo scaffale dei tuoi ricordi, la tua mente torna ai mouse con due tasti e una sfera pesantissima da fare scorrere per muovere il puntatore a croce sullo schermo. Un mondo senza luci RGB, fatto di computer grigi e anonimi con uno speaker incapace di poter regolare il volume che sparava tutto il suo gracchiante potere non appena avviavi il gioco. Ma per te era il suono più bello del mondo, così come lo era quello dei lussuosi 4 canali stereo di Amiga, prima, o delle Sound Blaster, poi. Delizie digitali sonore capaci di plasmarsi in base alla nostra avventura grazie al geniale sistema iMuse. Mi sto dilungando troppo e non so se state ancora trattenendo il fiato ma quando entrano in campo i sentimenti è difficile scrivere la parola fine quindi vi dirò semplicemente…