Uncharted 4: Fine di un Ladro

Uncharted 4: Fine di un Ladro

C’è stato un momento particolare, nel bel mezzo dello sviluppo di Uncharted 4, in cui ho seriamente dubitato delle sorti della serie Naughty Dog. Quella che avrebbe dovuto essere l’avventura finale di Nathan Drake è stata caratterizzata da così tanti problemi e imprevisti che hanno portato la software house californiana a rivedere più e più volte la tabella di marcia, con rinvii nella data di lancio, avvicendamenti alla guida del progetto e otto mesi di riprese in motion capture buttati nella spazzatura, con buona pace del canovaccio iniziale. L’addio di Amy Hennig, creative director della saga Uncharted sin dal suo debutto, di certo non ha migliorato una situazione già di per sé piuttosto tesa, stravolgendo interamente il progetto sia dal punto di vista narrativo che del gameplay. Ma cosa ha spinto la sceneggiatrice a prendere una decisione così drastica come abbandonare quello che, con tutta probabilità, rappresenta a oggi il miglior team di sviluppo del pianeta?

Da una parte, forse, la mancanza di idee effettivamente in grado di rendere Uncharted 4 qualcosa di più di un semplice more of the same, un progetto che giustificasse l’arrivo su PlayStation 4 con qualcosa che non fosse una semplice dimostrazione di potenza bruta; dall’altra la volontà dell’azienda di creare un titolo dai toni più maturi, sulla falsariga di quel The Last of Us che tanto ha alzato gli standard e le aspettative nei confronti di qualsiasi progetto porti la firma di Naughty Dog. Dello stesso avviso non doveva essere evidentemente Amy Hennig, che avrebbe voluto piuttosto chiudere l’epopea di Nathan Drake con lo stesso tono scanzonato e strafottente che ha caratterizzato i capitoli precedenti, mantenendo un certo distacco fra la sua saga e quella creata dal duo Druckmann/Straley. Il che avrebbe perfettamente senso: d’altronde, se Uncharted si è rivelato un successo planetario, conquistando così tanti fan dall’uscita su PlayStation 3 avvenuta nel 2008, buona parte del merito è senza dubbio suo.

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Tuttavia, dopo aver portato a termine l’avventura di Fine di un Ladro, è davvero difficile immaginare un finale differente, altrettanto efficace e coerente con il resto della saga. Perché se è vero che questo episodio è decisamente diverso, in termini di atmosfera e storytelling, rispetto agli Uncharted che tutti abbiamo imparato ad apprezzare nel corso degli anni, è altrettanto vero che arrivati a questo punto, dopo tre capitoli principali e uno spin-off su PS Vita, un cambiamento nella formula di gioco non era solo necessario, ma quasi doveroso. Chiudere la saga con l’ennesimo episodio spensierato, la solita avventura esplosiva à la Indiana Jones e l’immancabile tesoro mitologico da trovare non avrebbero reso giustizia a dei personaggi davvero interessanti, con un potenziale finora non sfruttato adeguatamente dagli sceneggiatori.

Uncharted 4 cerca di fare tesoro di quel potenziale approfondendo il carattere di ogni singolo personaggio, focalizzandosi sul lato umano piuttosto che sulla spettacolarità a ogni costo, proponendo un’avventura più introspettiva, matura, quasi intima, che ci presenta un Nathan Drake come non l’avevamo mai visto prima. Un protagonista apatico, che vive la lontananza dall’azione con rassegnazione, tentando di evadere dalla monotonia quotidiana rivivendo, anche solo con la fantasia, le avventure del passato. Il ritorno del fratello Samuel, scomparso quindici anni prima, e la possibilità di vivere insieme l’ultima grande impresa alla ricerca del tesoro più importante mai esistito, riaccendono in lui quella voglia di fare la differenza e diventare una leggenda vivente, portando alla luce i primi passi di Nathan Drake come cercatore di tesori, le origini del suo cognome, il rapporto complicato con Sam, l’ossessione del voler trovare a ogni costo qualcosa che potrebbe anche non esistere. In un viaggio lungo quasi venti ore, che porterà Nate e Sam sulle tracce del pirata Henry Avery dalla Scozia al Madagascar, passando per una lussuosa villa che si affaccia sulla costiera amalfitana, il giocatore diventerà sempre più parte integrante della squadra, assimilando lentamente quelle che sono particolari sfumature del carattere dei protagonisti e i motivi che spingono ciascuno di essi a rincorrere ossessivamente una nuova avventura.

UN NUOVO APPROCCIO

Se c’è qualcosa di incredibile in Uncharted 4 è proprio la caratterizzazione che Naughty Dog ha saputo donare a ciascun personaggio, il modo in cui questi prendono letteralmente vita man mano che l’avventura si consuma e le carte vengono svelate. La paura di tradire la fiducia della donna amata, ma allo stesso tempo l’istinto di protezione nei confronti del fratello. L’ebrezza del rischio e la voglia di sfuggire alla normalità inseguendo il fascino dell’avventura, ma anche la consapevolezza che, probabilmente, è davvero arrivato il momento di abbandonare una vita di miti e leggende, di illegalità e violenza, accontentandosi di ciò che si è costruito finora. Ed è per questo che Uncharted 4: Fine di un Ladro risulta, senza mezzi termini, il miglior episodio della serie, nonché probabilmente uno dei migliori prodotti mai creati nella storia videoludica: non si era mai visto finora un altro titolo capace di raccontare una storia con una tale passione e attenzione ai particolari, una caratterizzazione dei personaggi così realistica e un tasso emozionale talmente forte da raggiungere (e in alcuni casi superare) quanto fatto in precedenza con The Last of Us. E scusate se è poco.

Il successo del survival horror ha sicuramente influenzato lo stile con cui Druckmann e Straley hanno approcciato alla sceneggiatura di Uncharted 4: le influenze di The Last of Us sono nette, tangibili sin dai primi istanti di gioco, e si riflettono tanto nella fotografia (più cupa rispetto ai capitoli precedenti) e nella narrazione (più lenta e ragionata) quanto nella colonna sonora (con un approccio più minimalista, malinconico e pacato), e sopratutto nel gameplay. Laddove il combattimento corpo a corpo e le sparatorie erano l’unico mezzo conosciuto da Nate e soci per farsi strada fra i nemici, Uncharted 4 aggiunge al mix una delle peculiarità più importanti dell’avventura di Joel ed Ellie, ovvero la possibilità di affrontare il 90% degli scontri in modo silenzioso. Se in un primo momento l’idea di accostare la parola stealth a un gioco espressamente action come Uncharted potrebbe apparire quasi un sacrilegio, in realtà bastano pochi minuti di gioco per apprezzare la nuova componente di un gameplay che, adesso, offre decisamente più varietà: le sezioni stealth di Uncharted 4 sono decisamente ben congegnate e rispecchiano il nuovo stato d’animo di Nate, quella volontà di dire basta alla violenza gratuita e di rispondere al fuoco solo se effettivamente costretto.

L’introduzione di un gameplay stealth si traduce con un’opera di level design decisamente differente rispetto alla tradizione, con ambienti più vasti che strizzano l’occhio al genere degli open-world e garantiscono una certa libertà d’approccio, una estensione in verticale più marcata con numerosi appigli e sporgenze a cui aggrapparsi per sorprendere i nemici con dei letali takedown dall’alto, oppure per aggirarli, cercando un altro punto da cui attaccare. Grazie al rinnovato sistema di coperture, è possibile sfruttare ripari improvvisati o la folta vegetazione per attaccare i nemici silenziosamente, decimando così le fila dei nemici senza farsi notare. Un indicatore permette di capire immediatamente quando Nate è stato individuato dai nemici, garantendo un margine di un paio di secondi per interrompere il contatto visivo ed evitare così che le truppe si allertino dando l’allarme. Gli utenti meno smaliziati possono addirittura contare su un sistema di tag che permette, con la pressione del tasto L3 in fase di mira, di visualizzare un’icona sulla testa di ciascun nemico, facendo attenzione così ai loro spostamenti. Si tratta di una funzione analoga alla modalità Ascolto di The Last of Us, che tuttavia non mostra le sagome attraverso i muri. Eppure, uno dei più grandi difetti di questa modalità è il numero pressoché illimitato di nemici che è possibile contrassegnare su schermo, rendendo forse troppo semplice e meno avvincente aggirarsi negli scenari in modo silenzioso. Senza alcun limite sul numero di nemici da segnalare, questa funzione riduce estremamente lo stato di tensione e facilita un po’ troppo le sezioni stealth, motivo per cui consigliamo a tutti coloro ricercassero una vera sfida di disabilitare la funzione dal menu principale (fra l’altro, la stessa modalità non è presente nel livello di difficoltà più elevato, insieme all’indicatore di allerta dei nemici).

In linea con la volontà del team di donare maggior carattere ai personaggi comprimari, è da segnalare come l’intelligenza artificiale risponda dinamicamente alla situazione in base agli stimoli del giocatore: nel caso in cui si tenti l’approccio stealth, anche i propri alleati contribuiranno attivamente all’uso del tag sui nemici e all’esecuzione di K.O. stealth nel caso in cui un avversario si trovi in prossimità della sua posizione, anche se, ancora una volta, è da segnalare come in alcuni momenti i personaggi alleati controllati dalla IA siano completamente fuori da qualsiasi copertura e, nonostante ciò, assolutamente invisibili ai nemici. Si tratta di un escamotage necessario per evitare comportamenti forse eccessivamente frustranti per il giocatore che, dopo aver tentato di portare a termine la sezione all’insegna della massima furtività, vedrebbe vanificare tutti i suoi sforzi a causa di un errore da parte della intelligenza artificiale.

QUANDO IL GIOCO SI FA DURO…

E poco importa, in questo senso, se a causa di un goffo tentativo di K.O. silenzioso il nostro Nate venga individuato dai nemici. Uncharted 4 resta pur sempre un gioco d’azione e, nonostante la nuova impronta stealth, offre un sistema di gunplay come sempre curatissimo, se possibile ancora più appagante che in passato. Per l’arrivo su nuova generazione, Naughty Dog ha optato infatti per una completa revisione delle armi, che sono state ridisegnate da zero in termini di modelli e feeling in fase di combattimento. Grazie a una varietà maggiore dell’arsenale e un’intelligenza artificiale avversaria già piuttosto impegnativa al livello di difficoltà standard, le sparatorie in Uncharted 4 risultano particolarmente avvincenti, richiedendo al giocatore di muoversi in continuazione fra le coperture per evitare di essere aggirato dai nemici, tentare di raccogliere le armi più potenti lasciate dai nemici per liberarsi velocemente di gruppi più numerosi e prevenire una pericolosa situazione di inferiorità numerica. Rispetto a The Last of Us, dove l’imperativo era di limitare al minimo gli scontri a fuoco per non sprecare munizioni e risorse, Uncharted 4 è ovviamente più generoso in termini di armi ed esplosivi che è possibile raccogliere esplorando gli scenari, spingendo così il giocatore a scegliere l’approccio che più preferisce per la maggior parte dei combattimenti. Nulla vieta di partire con un approccio più pacato, far fuori i nemici più fastidiosi (come i cecchini o i corazzati) in modo silenzioso, farsi notare con qualche sana esplosione per fare sparpagliare i nemici, nascondersi nuovamente e tentare di uccidere le unità restanti in modo stealth. Di certo, l’approccio inedito richiede molta più pazienza e tattica, ma aggiunge un tasso di sfida non indifferente, che rende ancora più appagante il completamento di una sezione di combattimento.

Naughty Dog ha speso molto tempo per raggiungere il bilanciamento ottimale nelle varie componenti del gameplay rispetto ai predecessori: laddove la percentuale di sparatorie era pericolosamente elevata nei capitoli precedenti, Uncharted 4 offre il giusto equilibrio fra narrazione, stealth, sparatorie, esplorazione e risoluzione di enigmi. Proprio questi ultimi due elementi sono stati arricchiti da due novità nel gameplay, presi in prestito dai recenti reboot di Tomb Raider, a dimostrazione che la reciproca ispirazione fra i due franchise funziona, e anche piuttosto bene: Nathan Drake potrà contare sin da subito su una sorta di rampino con cui arrampicarsi negli scenari, che inevitabilmente finirà per svolgere un ruolo primario nella risoluzione di alcuni enigmi. Nelle fasi più avanzate, inoltre, il protagonista potrà contare su un chiodo da esploratore con cui far presa nelle pareti rocciose e raggiungere punti altrimenti inaccessibili. L’unione di tutti questi elementi assicura al giocatore la possibilità di scegliere differenti percorsi per raggiungere il proprio obiettivo, con tanto di sentieri nascosti e strade alternative che porteranno a scoprire gli immancabili tesori nascosti, che in questo quarto capitolo sono più di 100 e ben celati all’interno delle ambientazioni. Allo stesso tempo, il rampino può essere utilizzato durante i combattimenti per sorprendere i nemici con un attacco dall’alto, oppure per interrompere improvvisamente il contatto visivo e cercare di aggirare i nemici, sfuggendo così alla superiorità numerica e pianificando una strategia migliore. Un elemento prezioso, sopratutto ai livelli di difficoltà più elevati, in cui un solo passo falso potrebbe portare a una morte prematura: in tal caso, il rampino potrebbe garantire una rapida fuga verso la copertura più vicina.

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FRA OPEN-WORLD E MULTIPLAYER

È bene sottolineare che, nonostante la presenza di ambientazioni più estese ed esplorabili sporadicamente a bordo di veicoli, Uncharted 4 resta un gioco piuttosto lineare nel modo in cui il comparto narrativo ci conduce per mano dall’inizio alla fine dell’avventura. È vero, ci sono delle zone, come il succitato Madagascar, in cui avremo una certa libertà di esplorazione di una mappa molto vasta, in cui tesori e documenti sono nascosti con particolare cura dai designer di Naughty Dog, ma questa novità nell’architettura degli scenari non è da intendersi come un improvviso ingresso della software house nel genere dei titoli open-world o di natura free-roaming. Siamo ben lontani, infatti, dalla libertà concessa da un The Witcher 3, che permette di condurre la storia di Geralt di Rivia in base al ritmo imposto dall’utente. In Uncharted 4 è praticamente impossibile perdersi o non scorgere la giusta via verso il prossimo obiettivo, si tratti di una semplice esplorazione a piedi, a bordo di un veicolo o di una più articolata fase platform. Nonostante la presenza di più sentieri e strade alternative da cui giungere a destinazione, il level design fa sì che si riesca sempre a trovare in modo naturale e immediato la strada per proseguire l’avventura, riducendo anche al minimo le possibili frustrazioni da parte degli utenti, disorientati da scenari insolitamente vasti per la saga Uncharted.

Difficile sbagliare anche nelle sezioni più marcatamente action, da sempre marchio di fabbrica della serie, che in Uncharted 4 sono ridotte a poche occasioni nel corso dell’intera campagna. Quando arriva il loro momento, però, esplodono con prepotenza tale da avvolgere il giocatore in un’atmosfera unica, dando vita ad alcune delle sequenze scriptate più avvincenti nella storia del franchise. Il modo in cui Naughty Dog ha saputo integrare queste scene nel gameplay, l’armonia con cui esse si fondono nell’ecosistema generale, la sapienza con cui la software house guida per mano l’utente durante momenti di pura frenesia, facendogli credere di vivere in prima persona quel particolare momento e di essere il principale artefice del proprio destino, ogni elemento confezionato dagli sviluppatori ha dell’incredibile. Siamo di fronte a un nuovo standard per l’azienda che, dopo The Last of Us, ha il merito di alzare ancora una volta l’asticella e dare l’ennesima lezione di game design ai suoi concorrenti.

Ciò che manca rispetto al passato, probabilmente, è una maggiore attenzione agli enigmi, che in questo episodio sono sì presenti, ma non sono mai effettivamente memorabili. Uncharted non è mai stato un prodotto che ha fatto della complessità dei puzzle il suo punto di forza, focalizzandosi piuttosto su un concept affascinante e un sistema accessibile, grazie anche alla presenza di indizi da scoprire gradualmente consultando il diario di Drake o ascoltando i commenti dei personaggi comprimari. Qui la formula si ripete in modo forse eccessivamente canonico, e nonostante il design di alcuni enigmi sia effettivamente degno di nota, in alcuni casi la soluzione è fin troppo elementare per sperare che l’utente possa spremere le meningi quel tanto in più che avrebbe reso l’esperienza di gioco ancora più intrigante. Ciò nonostante, è giusto fare un plauso ai designer per la realizzazione di due enigmi in particolare, davvero geniali in termini di concezione, ma in un’avventura di questa portata, visto il modo in cui il team di sviluppo ha saputo evolvere e ampliare il franchise in tutte le altre componenti principali del gameplay, era lecito attendersi qualcosa di altrettanto spettacolare e innovativo anche in quest’ambito.

A rendere più ricca l’esperienza di gioco ci pensa un comparto multiplayer che, pur non rappresentando il motivo principale per cui acquistare Uncharted 4, riesce nel difficile compito di portare tutte le novità di un gameplay molto rinnovato all’interno della formula PvP. Il tutto funziona, e anche piuttosto bene, grazie all’ottima progressione dei personaggi studiata da Naughty Dog e a un supporto post-lancio intelligente, che garantisce, semplicemente giocando con una certa costanza, l’accesso a tutti i DLC futuri gratuitamente, guadagnando la valuta in-game nota come Reliquia che potrà essere spesa per riscattare le espansioni. Con una serie di modalità classiche, che variano dalla immancabile Team Deathmatch al controllo delle zone, fino al ritorno dell’amatissima modalità Saccheggio, il comparto multiplayer di Uncharted 4 rappresenta un bonus non indifferente per estendere la longevità del gioco d’azione e continuare a godere di un gameplay esplosivo anche dopo la conclusione della campagna. L’introduzione di abilità sovrannaturali legate agli artefatti dei giochi precedenti aggiunge un elemento tattico in grado di ribaltare le sorti del match: la pietra Cintamani può rianimare i compagni di squadra, mentre le abilità del Djinn permettono di teletrasportarsi a breve distanza per sorprendere i nemici. El Dorado, invece, permette di evocare degli spettri che potranno attaccare i nemici. Il loro utilizzo è gestito sapientemente attraverso le performance durante la partita, e insieme al rampino, al rinnovato gunplay e a una architettura delle mappe che sfrutta al meglio le nuove abilità dei personaggi, rende l’esperienza avvincente, a tratti frenetica, grazie anche a un frame-rate che passa dai 30fps della campagna ai 60fps del comparto multiplayer.

A SCUOLA DI GAME DESIGN

I piccoli difetti riscontrati nella campagna single-player non vanno assolutamente a gravare su un’esperienza di gioco perfetta, assolutamente avvincente e coinvolgente, e tendono a sparire definitivamente di fronte alla maestosità del comparto tecnico messo su da Naughty Dog. Uncharted 4 è il gioco esteticamente più bello che si sia mai visto su console, che non sfigura assolutamente al cospetto dei titoli graficamente più accattivanti disponibili su PC di alta fascia. Le ambientazioni sono eccezionali, ricche di particolari che le rendono uniche, con una cura che non ha eguali nella storia videoludica. L’opera del team californiano è di quelle imponenti, ogni commento non renderebbe giustizia al lavoro di Naughty Dog, e lo testimoniano le migliaia di immagini scattate ogni giorno con il tasto Share dalla community su PlayStation Network. Se l’ambientazione in Scozia è davvero meravigliosa, si fa davvero fatica a trovare un aggettivo adatto a far capire la portata della riproduzione virtuale del Madagascar. Uncharted 4 è una gioia per gli occhi e chiunque dovrebbe sentire il bisogno morale di provare almeno una volta questa esperienza per capire fin dove può spingersi il medium videoludico, e quali aspettative riporre per il futuro dell’industria.

I personaggi sono più vivi che mai. Ogni singola espressione facciale, ogni animazione e movenza dei protagonisti è talmente realistica da convincerci che tutto ciò che stiamo vivendo è reale. Se in passato solo le produzioni di Quantic Dream avevano raggiunto una portata simile in termini di ricostruzione dei personaggi, di fedeltà nelle animazioni e nei comportamenti, anche in questo caso l’opera di Naughty Dog va oltre, raggiungendo una vetta che rappresenta il prossimo esempio a cui tutti, nessuno escluso, dovranno guardare come fonte di ispirazione. Te ne accorgi dal modo in cui Nathan si arrampica, muovendo con disarmante naturalezza gli arti verso la sporgenza più vicina, salendo sulle spalle di Sam nel caso in cui il cammino sia bloccato dal fratello, ma anche da come Nate cerca la complicità di Elena con lo sguardo. Perché Uncharted 4 è un modello da seguire, è una lezione di game design nella sua capacità di trasformare un mucchio di poligoni in personaggi vivi, capaci di lasciar trasparire in modo netto le proprie emozioni con un semplice sguardo, una pacca sulla spalla o un sorriso di fronte alla persona amata. È emozione allo stato puro. È qualcosa che non puoi spiegare, ma che puoi soltanto vivere in prima persona, cercando di assimilare quanto più da uno scambio di battute, da un’espressione all’apparenza arrogante, ma che in realtà rappresenta un modo del protagonista di proteggersi da un passato difficile, uno scudo per non soffrire ancora. Uncharted 4 è anche questo. È un viaggio alla scoperta di tutte quelle sfumature nascoste nei personaggi che conosci da una vita, ma che in realtà ti rendi conto di conoscere veramente solo alla fine dell’avventura.

E se c’è un modo per far sì che queste emozioni siano vissute al meglio, quello è attraverso la musica. Come accennato in apertura, l’opera di maturità proposta da Naughty Dog si spinge a tal punto da rendere persino il tema principale differente rispetto al passato. Le note sono sempre quelle, ma il mood è sensibilmente diverso. Ti accompagna con una dolcezza tale da farti capire che qualcosa, nel cuore di Nate, è cambiato per davvero. Che l’eterno Peter Pan, colui che avrebbe voluto vivere una vita di eterne avventure, è ormai cresciuto, ha capito che la vita è un bene prezioso e come tale deve essere preservato. Da qui una soundtrack minimalista quanto basta per lasciare il giusto spazio a dialoghi, sospiri ed emozioni, ma capace di incalzare quando ce n’è effettivamente bisogno, nel puro stile a cui Uncharted ci ha abituato negli anni. Tuttavia, ancora una volta, il punto debole dell’intera produzione risiede in un doppiaggio italiano non all’altezza della controparte originale (per non parlare delle pseudo-voci italiane nella missione a Villa Rossi), visto lo spessore degli attori che hanno prestato la voce e le movenze nel processo di motion capture, e nel bilanciamento non perfetto dei livelli, che spesso costringe a limitare l’esplorazione durante i dialoghi per evitare che il sistema direzionale ci impedisca di capire perfettamente le parole dei nostri compagni. Per godere al meglio dell’esperienza di Uncharted 4, giocare l’avventura in lingua originale, magari con l’ausilio dei sottotitoli, è di certo consigliato se si vogliono apprezzare tutte quelle sfumature, quelle inflessioni vocali e i respiri che sarebbe impossibile replicare con qualsiasi doppiaggio, a prescindere dalla bravura, innegabile, degli attori principali scelti per la localizzazione italiana.

GIUDIZIO

Abbiamo atteso qualche giorno prima di pubblicare la nostra recensione di Uncharted 4, nonostante avessimo già completato il gioco da tempo. Volevamo capire se, entusiasmo iniziale a parte, l’opera di Naughty Dog fosse effettivamente meritevole di ottenere il primo “perfect score” nella storia di VGN. Eppure, sebbene a livello soggettivo il gioco meriti senza ombra di dubbio un 10 netto, da un punto di vista oggettivo i piccoli difetti riportati nella recensione ci impediscono di considerare l’ultima avventura di Nathan Drake perfetta al 100%. Forse non conosceremo mai quale visione avesse in serbo Amy Hennig per il capitolo finale di Uncharted, ma di sicuro Fine di un Ladro rappresenta il miglior epilogo che i fan della saga potessero desiderare per il loro beniamino. Il miglior gioco di questa generazione, un’esperienza da vivere, in attesa che Naughty Dog riesca a superarsi ancora una volta sfornando l’ennesimo, indimenticabile capolavoro.