La trama del titolo Naughty Dog è esplosa nell’ambiente videoludico in modo fragoroso, con alcuni strascichi francamente incomprensibili e ingiustificabili. Le critiche di alcuni utenti e della stampa possono essere infatti condivisibili, per un titolo che è stato divisivo, anche se apprezzato dalla stampa specializzata che lo ha premiato con voti altissimi.
D’altra parte il review bombing su metacritic di una frangia piuttosto irrequieta di utenti, trova ben poche giustificazioni, per non parlare delle minacce di morte ricevute da Laura Bailey, solo per aver vestito i panni virtuali di Abby. Un fatto gravissimo e francamente incommentabile, che dovrebbe far riflettere tutti sulla distinzione (che a noi pare banale, ma evidentemente non lo è per tutti), tra reale e virtuale.
ATTENZIONE: i prossimi paragrafi contengono spoiler e riferimenti agli eventi narrati in The Last of Us. Se non avete ancora giocato al titolo vi consigliamo di interrompere la lettura dell’articolo, in caso contrario vi auguriamo una buona lettura.
Il peso della verità
Tornando ad immergerci nell’universo creato da Neil Druckmann e il suo team, appare inevitabile riflettere su alcuni dei temi evidenziati dal viaggio di Joel ed Ellie. Il primo è proprio il concetto di verità. Gli ultimi momenti del primo capitolo ci avevano lasciato con l’amaro in bocca, con un epilogo drammatico tra le mura dell’ospedale Saint Mary di Salt Lake City e una mancata verità che pesava come un macigno sulle spalle di Joel e nello sguardo profondo di Ellie. Una bugia a fin di bene, certo, con il comportamento di un padre putativo che non poteva perdere Ellie dopo aver perso Sara vent’anni prima, in un contesto così drammatico. Eppure sembrava piuttosto chiaro che prima o poi la verità avrebbe finito con il logorare un rapporto intenso e reso ancora più complesso dalle circostanze.
L’inizio di The Last of Us: Parte 2 da questo punto di vista è emblematico: un Joel visibilmente provato ed invecchiato decide di confidarsi con suo fratello Tommy, mettendoci davanti alla prima delle innumerevoli scelte intense del titolo. Lo si nota fin dai primi istanti: Joel ed Ellie non sono più quelli che avevamo conosciuto e a tratti amato nel primo capitolo. Joel è invecchiato in pochi anni molto più di quanto non fosse accaduto nei vent’anni trascorsi dal prologo del primo capitolo fino al mondo post-cordyceps in cui si svolgono le vicende con Tess e Marlene.
Ellie è cresciuta, ed è una giovane donna in preda ad emozioni forti: amori, litigate, i pensieri oscuri e profondi tipici di una adolescente, ma resi ancora più forti da un mondo severo e atroce. Nei primi momenti di gioco possiamo solo supporre come siano andate le cose, per poi rimettere insieme i pezzi nel corso dell’avventura grazie ai diversi flashback gestiti in maniera magistrale. Il peso della verità tra Joel ed Ellie è una montagna da scalare.
Perdono e vendetta
Inutile girarci intorno: la vendetta è il filo conduttore di questo secondo capitolo. Una vendetta cieca guidata da una rabbia sorda, che non trova pace fino all’epilogo della storia. La vendetta di Abby da una parte, che nella sala operatoria del Saint Mary perde in un colpo solo suo padre e la possibilità di un mondo diverso. La vendetta di Ellie dall’altra, che perde non solo la sua figura di riferimento, ma aggiunge un’altra perdita devastante ad una lista che non può certo dirsi trascurabile: sua madre, la sua amica del cuore e prima cotta, Riley.
Poi Marlene da cui si separa all’inizio del primo capitolo (senza sapere però cosa le accade) e la tragedia di Harry e Sam. Ecco perché la perdita di Joel è la goccia che fa traboccare il vaso, in un momento in cui non ha ancora trovato il modo di perdonare Joel per il suo gesto. Ed è forse questa una delle fonti della rabbia di Ellie, che probabilmente non perdona nemmeno a se stessa il fatto di riuscire a ricucire il rapporto con Joel, prendendosi del tempo che Abby e la sua mazza da golf le hanno però tolto.
Anche in questo senso si inserisce la simbologia della chitarra (che diventa quasi un elemento di gameplay in alcuni momenti), con quel legame costante tra i due personaggi anche dopo la dipartita di Joel, e anche un collegamento ad un momento preciso: quella promessa fatta da Joel ad Ellie prima di arrivare a Salt Lake City e dopo averla salvata dalle grinfie di David. A conti fatti il momento più bello e intenso del loro rapporto.
Questione di punti di vista
Farci vivere l’esperienza da punti di vista diversi è il cardine di The Last of Us: Parte 2. Ed è stato anche uno degli elementi più contestati: sebbene infatti l’espediente sia indubbiamente riuscito, una probabilmente eccessiva longevità rende ancora più strano vestire i panni di Abby per più di una decina di ore. Ci ritroviamo infatti a prendere in mano un personaggio che avevamo odiato fino a pochi istanti prima, in quanto obiettivo finale della vendetta furibonda di Ellie. Inoltre abbandoniamo un personaggio con cui abbiamo empatizzato ormai da anni, per uno di cui non conosciamo la storia, almeno in principio, un po’ come accaduto nel passaggio da Solid Snake a Raiden in Metal Gear Solid 2, a cui Naughty Dog si è ispirata.
Anche in questo caso però torna in gioco la sapiente gestione dei flashback, che ci porta a rivivere alcuni momenti importanti della vita di Abby, ed è sempre più evidente come col passare delle ore, il suo punto di vista sia non solo perfettamente coerente, ma assolutamente comprensibile. Il mondo proposto da Neil Druckmann non è un mondo di eroi, di personaggi virtuosi e di belle storie. È un mondo fatto di dolore e morte, di sofferenza e di perdite, in cui la linea dell’etica tra bene e male è pressoché impossibile da demarcare e di conseguenza da superare.
La figura di Joel è infatti quella di un uomo dal passato turbolento: alcune informazioni dei primi istanti del primo The Last of Us lasciano infatti pensare ad attività da spacciatore, ma anche nel mondo devastato dal cordyceps non si è certo distinto per gesti di buon cuore: da contrabbandiere di armi a un passato come cacciatore, la moralità di Joel è sempre stata piuttosto discutibile, inasprita dal lutto per la perdita della figlia Sara. Salvare Ellie è dunque un piccolo spiraglio di luce da ottenere però a caro prezzo: da una parte l’istinto genitoriale che lo lega alla ragazza, dall’altra la scelta assolutamente egoista di privare lei di una scelta, e al contempo il mondo intero di una piccola possibilità per un mondo nuovo. Ed ecco che empatizziamo dunque anche con Abby, con la sua voglia di vendetta e di giustizia per quanto accaduto.
Tra passato e presente
Non sono solo gli eventi del passato ad influenzare le nostre sensazioni sui personaggi. I tre giorni di Seattle infatti ci restituiscono i due volti di una vendetta che ha come unico risultato quello di consumare le due protagoniste. Ellie avanza alla ricerca del gruppetto che aveva teso l’agguato a Joel e Tommy decimandolo ad ogni passo, lasciandosi dietro una lunga scia di sangue e di cadaveri in un ritmo che sembra incalzare fino al suo inevitabile culmine. Ma è qui che Neil Druckmann cambia completamente le carte in tavola, e rivivere i tre giorni di Seattle dal punto di vista di Abby ci restituisce una Ellie crudele e spietata: una vera e propria macchina di morte che porta via amici e amori di una vita, portandoci a nutrire una piccola dose di rabbia anche nei confronti della stessa protagonista.
Lo scontro tra le due, poi, è decisamente destabilizzante per il giocatore. Affrontare infatti un personaggio che abbiamo visto crescere, e che usa contro di noi tutte le abilità acquisite in tante ore di gioco ha infatti sortito uno stranissimo effetto, a tratti disturbante. La vendetta di Abby tuttavia non viene consumata: è lo sguardo del giovane Lev a fermare la furia della giovane sul punto di uccidere Dina, restituendo a lei ed Ellie quella che è a tutti gli effetti una seconda possibilità. Quella di una famiglia, di una vita quasi normale con il piccolo J.J., in una fattoria che sembra distante anni luce da quel mondo popolato da mostri e da funghi assassini. Il tarlo della vendetta è però sempre presente nella testa di Ellie, e quando Tommy le presenta l’occasione, la giovane non riesce a restarne indifferente. Nemmeno l’ultimatum dell’amata Dina riesce a dissipare la rabbia e il dolore per l’assenza di Joel.
È l’ultimo atto del viaggio di Ellie, verso una vendetta che però anche in questo caso non verrà consumata: lei è infatti come la falena che si avvicina alla fiamma pur sapendo di bruciarsi. Rincorre la sua vendetta ad ogni costo, ed è rincorrendola che perderà tutto: l’amore di Dina, il calore della famiglia, addirittura perderà due dita e con esse la possibilità di suonare quella chitarra che era l’ultimo vero legame con Joel. In entrambi i casi dunque, due vendette non consumate che hanno però finito con il consumare chi voleva portarle a termine.