Il giorno in cui Ubisoft annunciò l’intenzione di realizzare Chronicles una mini trilogia di spin-off dedicati – inutile dirlo – al brand di Assassin’s Creed, accolsi la notizia con estremo stupore. Non che la prospettiva di poter osservare l’universo della saga da una prospettiva differente mi dispiacesse, intendiamoci, ma considerate le tante critiche legate alla frequenza con cui la compagnia francese è ormai solita lanciare nuovi capitoli del filone “principale” del brand, la decisione di investire tempo e soprattutto risorse su una trilogia di questo genere non mi sembrò particolarmente saggia.
E in questo senso Assassin’s Creed Chronicles: China non fece altro che confermare le mie iniziali perplessità, rivelandosi poco più di una semplice mossa commerciale volta a capitalizzare sull’ormai innegabile popolarità del brand. Ora, a distanza di quasi un anno da allora, Ubisoft ha lanciato il secondo capitolo di questa nuova trilogia, il tanto atteso Assassin’s Creed Chronicles: India e la domanda non può che essere una sola: varrà la pena portarselo a casa?
ASSASSINI… DELLE INDIE
Ambientato nel 1841, a pochi anni di distanza da quello che sarebbe stato poi l’inizio della Prima Guerra Anglo-Sikh, Assassin’s Creed Chronicles: India ci mette nei panni dell’assassino Arbaaz Mir (se avete letto Assassin’s Creed Brahman vi ricorderete senz’altro di lui!) proiettandoci nel vivo di un’avventura che sin dalle primissime battute mostra fin troppe similitudini con il sopracitato Chronicles China.
Sul versante della trama, nonostante l’indubbio fascino del particolare contesto storico proposto e la ricercatezza stilistica delle sequenze narrative, il gioco fallisce infatti nel assicurare la giusta dose di emozioni, risultando piuttosto scialbo dall’inizio alla fine, mentre per ciò che concerne il gameplay siamo di fronte a un’esperienza che ricalca in maniera quasi totale quella offerta dal suo predecessore.
La progressione non regala significativi cambi di ritmo né spunti di particolare interesse.
Chronicles India è infatti un classico stealth game bidimensionale a scorrimento laterale con una forte anima platform in cui l’obiettivo è e resta sempre quello di avanzare lungo ambientazioni caratterizzate da una grande estensione orizzontale, cercando di non essere individuati durante il completamento di una lunga serie di obiettivi finalizzati al ritrovamento di un antico scrigno appartenuto a Ezio Auditore.
La progressione, com’è facile intuire, non regala dunque significativi cambi di ritmo né spunti di particolare interesse, brillando solo per l’indubbia profondità tattica derivante dalla possibilità di approcciare ogni situazione con una certa libertà di fondo. L’obiettivo, inutile dirlo, è sempre quello di avanzare senza essere visti, mietendo vittime nell’ombra e celando la propria presenza a chiunque dovesse perlustrare le ambientazioni, ma il “come” farlo è molto spesso a nostra discrezione.
Peccato tuttavia che il level design non aiuti più di tanto in questo senso, e che l’impostazione data a molte missioni tenda a suscitare un grado di frustrazione spesso inaspettato. Nel complesso siamo infatti faccia a faccia con un prodotto che ha tanti pregi quanti sono i suoi innegabili difetti, e il fatto che gran parte di tali difetti risalgano all’epoca di Chronicles China, non può che suscitare parecchia amarezza.