Anthem

Anthem: La fantascienza fantasy creata da BioWare

L'ispirazione dietro il mondo creato da BioWare è una singolare fusione tra sci-fi e fantastico, declinata ancora una volta in una chiave originale.

La meraviglia dell’ignoto è sempre stata una sensazione che la fantascienza ha suscitato in tutte le sue forme. La descrizione, visiva o letteraria, di altri mondi e di miracoli tecnologici hanno coadiuvato benissimo il desiderio umano di trovare altro nell’universo, di bearsi in organismi e pensieri totalmente estranei alla sua quotidianità. La spinta verso un futuro migliore, sociale o evolutivo, è un qualcosa a cui si ambisce fin dagli albori della nostra specie, eppure non sarebbe tale senza un certo fascino degli altrettanto misteriosi tempi passati. Magia, leggende, misticismo, ci sono tanti validi elementi per perdersi in un sogno antecedente ai nostri giorni, sperando in un tempo in cui siano davvero esistiti maghi e draghi.

E se queste due pulsioni temporalmente opposte fossero unite sotto un unico concetto? Se la magia si fondesse con la tecnologia in un mondo verdeggiante ma pieno di costruzioni metalliche? Anthem di BioWare è una delle tante opere che hanno utilizzato proprio questo schema per costruire un universo narrativo in grado di catturare e meravigliare chi lo vive. La mistura non è di certo nuova: Terry Brooks lo aveva fatto con Shannara, Warhammer lo fa da tempo sui tavoli dei workshop e perfino alcuni cartoni per bambini ne hanno testato la solidità. Tuttavia, questi esempi ricadono in una fantasia molto lontana dall’idea alla base di Anthem, la quale è così originale da avere solamente un “precedente”: Destiny.

Già in questa statua è possibile comprendere la fusione tra passato e futuro.

Tra le tante ispirazioni attribuite al titolo di Electronic Arts, l’unico paragone veramente sensato da un punto di vista meramente artistico-concettuale è con il nuovo universo di Bungie (la quale già aveva calcato sulla fusione in oggetto nell’ambientazione di Halo). Vediamo dunque quali sono gli elementi più caratteristici della visione BioWare, utili peraltro a comprendere il mondo da esplorare in Anthem.

LO SPAZIO E LA CAVALLERIA

All’inizio del processo creativo di Destiny, il team di sviluppo ha dato la precedenza alla componente fantascientifica, creando dei bozzetti di astronavi e strutture puramente appartenenti esclusivamente a tale scenario. La partenza dalla parte spaziale è importante per capire quale dei due elementi sia necessario porre prima per avere lo scenario più distintivo possibile. In Destiny e in Anthem non è il fantascientifico a contaminare il fantastico, ma è proprio il fantastico a “invadere lo spazio” o permanere in esso da tempi immemori a seconda delle decisioni della scrittura e del background.

Questa contaminazione nel titolo Bungie è avvenuta, seguendo quanto scritto nell’artbook del primo Destiny, quando il team di sviluppo ha collocato meglio il Viaggiatore nel concept, portandolo dalle stelle alla superficie terrestre e dandogli le proprietà di quella che nel gioco viene chiamata Luce; da noi traslabile, per l’utilità di questo pezzo, in “magia”. La componente magica diventa quasi un incrocio tra il misticismo e il tecnologico, e de facto è una sorta di tecnomanzia un po’ libera nella sua interpretazione.

In Destiny la Luce è una forza molto malleabile in grado di far avanzare la scienza umana e di rianimare i cadaveri, dotandoli di poteri al limite del possibile. In Anthem c’è un discorso molto simile legato ai rimasugli di ciò che delle antiche divinità hanno lasciato sul pianeta, nominate i Creatori. Similmente al Viaggiatore, questi artefatti hanno plasmato la storia e l’avanzamento umano, creando una società incentrata sulle meraviglie rese possibili da tali reliquie gigantesche. Il giocatore utilizza attivamente tali ritrovati attraverso le armature chiamate Strali, con specifiche e caratteristiche più o meno richiamanti un certo elemento fantastico, come avviene in Destiny (Stregone e Tempesta sono un chiaro esempio di similitudine).

La presenza degli elementi magici e della rivalutazione delle capacità terrestri (tecnologiche, fisiche e soprannaturali) plasmano inevitabilmente le strutture sociali delle popolazioni. Infatti il concetto di mondo, in Destiny e Anthem, a livello umano è ben preciso ed è fatto specificatamente per far vivere il giocatore in un ambiente “chiuso”: la Torre e Fort Tarsis. Questi spazi ristretti permettono al team creativo di caratterizzare al meglio la sensazione sociale della civiltà presente nel gioco, soprattutto per quanto riguarda il tenore della vita di chi si trova in uno scenario “del futuro” con elementi fantastici al seguito.

In Anthem il team di sviluppo ha optato per fondere una forte componente estetica araba con il moderno metallo, creando un’apparenza ricercata in grado di comunicare l’eredità culturale di un certo tipo di mondo riconoscibile dal giocatore e, al tempo stesso, trasformando quella stessa idea in un elemento futuristico adibito a comunicare la sensazione del “tempo venturo”. La tecnica è evidente soprattutto nell’architettura, nel vestiario degli abitanti e nei simboli/lingua riscontrabili in ogni angolo del Forte. Anche in Destiny abbiamo una situazione similmente speculare, sebbene l’ispirazione culturale è di altro stampo, cioè quello medievale-cavalleresco; tanto potente da colpire perfino la caratterizzazione delle fazioni aliene nemiche in determinate maniere.

Dunque qual è l’elemento più propenso a fornire la caratterizzazione fantastico/fantascientifica del gioco? Il fattore umano e la storia della specie, di come si è arrivati all’evoluzione attuale e dei principali attori di quest’ultima. Non è tanto nella magia o nella forza tecnologica che il giocatore identifica una certa atmosfera, ma paradossalmente avviene proprio nelle aree con meno azione: la narrativa, il background e lo spazio “sociale” inteso come luogo adibito a esplorare la civiltà presente nel titolo. Il tutto è comunicato attraverso un elaborato impianto visivo dove ogni dettaglio deve essere al posto giusto se si vuole riuscire a creare un mondo credibile e, contemporaneamente, così fantastico da risultare una visione onirica.

L’EREDITÀ DI BIOWARE

Date queste premesse: perché Anthem azzecca, come Destiny, molto bene la “sinestesia” tra fantascienza e fantasy? Perché dietro c’è BioWare ed è la creatice di Mass Effect e Dragon Age. Chi più di lei potrebbe essere in grado di unire i due generi dopo averne esplorato le varie sfaccettature in due iconiche saghe? Naturalmente a noi, al momento, interessa solamente la parte riguardante la costruzione del mondo e già così ci sarebbe molto di cui parlare e discutere. Tuttavia, addentrandoci nella parte più primitiva dell’ambientazione, possiamo trovare alcuni elementi molto interessanti per l’ottica del futuro di Anthem e del suo cammino da svolgere nel corso degli anni.

Partendo da Dragon Age, chi ha giocato la trilogia (quadrilogia con il titolo in arrivo) conosce molto bene la ricchissima mitologia presente all’interno di esso. Andraste, Mythal, Fen’Harel e molte altre divinità appaiono come perdute, presenti in monumenti e storiografie ma quasi del tutto sparite, soprattutto quando si guarda la situazione elfica. Il giocatore trova, nel corso dei giochi, manufatti e manifestazioni di questi esseri, tanto da essere un fattore cruciale per alcune specifiche strutture sociali e per l’avanzata dell’Inquisizione. Questa sensazione di avere delle divinità tanto vicine ma allo stesso tempo nascoste o lontane è stata presa a piene mani e riportata all’interno delle premesse narrative di Anthem nella figura dei Creatori. Ciò garantisce di avere un rapporto molto solido e aperto con il fattore mistico del gioco, portando plausibilmente a una scoperta o a nuovi contenuti narrativi riguardanti questi esseri proprio come è avvenuto nell’arco dei tre Dragon Age.

Passando a Mass Effect, è molto interessante notare come le razze e l’umanità siano messe al centro della narrazione nonostante un universo quasi infinito. Le divergenze tra le mire di utilizzo della tecnologia antica dei Prothean (e qui si potrebbe fare un parallelo con Dragon Age), l’uso dei portali galattici nonostante le molte domande intorno alla loro funzione e la ricerca verso la risoluzione del grande mistero dietro i creatori di questi manufatti, sono tutte eredità fatte passare nella “storia” di Anthem, cambiandone i connotati e abbassandone le scala planetaria. Già in Mass Effect però le abilità di Shepard e dei Rider sembravano un misto tra fantasia e tecnomanzia, seppur con un feeling decisamente diverso derivante dal contesto da space-opera, eppure anche questo elemento è quasi presente in Anthem e nel rapporto tra il Pilota e le sue capacità.

Più di tutti gli altri aspetti citati però, è indubbio che il conflitto tra i combattenti di Fort Tarsis e il Dominio ricalca moltissimo le note della crociata contro Cerberus: entrambe le fazioni ostili sono una parte dell’umanità propensa a un utilizzo più egoistico delle tecnologie aliene, entrambe presentano un capo misterioso attivo e dotato di un ragguardevole potere (nel senso più largo del termine), entrambe utilizzano gli stessi armamenti della fazione “buona” e entrambe hanno deciso di separarsi dal resto della civiltà – nonostante le difficoltà della specie – al fine di perseguire i propri scopi. Si tratta di un rapporto molto importante per l’impronta narrativa, soprattutto se si vuole coinvolgere moralmente il giocatore dando un certo significato ai dialoghi e alle scelte da compiere.

Alla presenza degli elementi ripresi vanno segnalate anche alcune cesure atte a venire incontro alla natura da looter-shooter multigiocatore: togliere le relazioni romantiche può inficiare sulla percezione del cast da parte del giocatore, privandone magari un certo livello d’affezione, espandere le dinamiche del gruppo in una vera e propri piccola città disperde l’attenzione, sebbene i personaggi finora mostrati siano accattivanti, e altre piccole rinunce di caratteristiche tipiche del gioco single player.

Se da un lato c’è un netto distacco dalla classica esperienza BioWare nel senso più puro e immacolato del termine, dall’altra non siamo affatto lontani dagli elementi che hanno appassionato chiunque abbia seguito i lavori di questa casa. A livello puramente creativo, Anthem è un viaggio in un mondo sconosciuto ma anche tremendamente familiare, ricco di storia, mitologia, magia e fantascienza. La sua concezione non è una novità assoluta come non lo sono tante altre produzioni di questo panorama, ormai saturo di idee e concetti elaborati fino alla morte. Ciò che distingue un bel mondo da un copia incolla è come le fonti d’ispirazione vengano usate in maniera creativa e originale, creando quella formula atta a rendere unico nel suo genere un universo come questo. In un videogioco, spesso questo compito è adibito alla narrazione e all’estetica, guidando il giocatore in una fantasia così ben realizzata da sembrare frutto della sua più florida immaginazione.

BioWare si trova nel bel mezzo di un nodo spinoso, per diverse ragioni di mercato e creative. Non è facile, soprattutto nel 2019, convincere un bacino di utenza così esigente riguardo la valenza di un concetto, di una visione. Sia perché ne abbiamo viste già tante, sia per via dell’altalenante risultato di Mass Effect Andromeda. Eppure, per quanto sia suo compito illustrarci quanto Anthem possa valere il nostro prezioso tempo, anche noi giocatori dovremmo essere più propositivi nel comprendere quanto spessore e creatività ci sia dietro un concept così ambizioso come quello di un vasto, lussureggiante mondo dove la tecnologia e la scienza si uniscono in un’armonia affatto ridondante.