The Art Inside Videogames #9 – La localizzazione della cultura e dell’arte nei videogiochi (parte 1)

Il medium videoludico come strumento per viaggiare tra storia, architettura e paesaggi.

La localizzazione della cultura e dell’arte nei videogiochi

I videogiochi ancora non vengono riconosciuti ufficialmente come un’espressione dell’arte contemporanea, ma la situazione sta migliorando proprio perché si stanno scoprendo le grandi potenzialità di questo medium sia in ambito artistico e sia in quello culturale e didattico. Questo non volerli riconoscere però è dettato da una lacuna derivante dal non sapere bene come vadano trattati, e anche perché si fa fatica capire in quale categoria vadano inseriti o contestualizzati. È difficile stabilire il loro settore specifico poiché sono un’espressione trasversale, determinata da varie influenze e i videogiochi molto spesso contengono riferimenti all’arte colta e altre volte hanno ispirato artisti, creando una nuova cultura artistica. Per localizzazione, non si intende solo l’inquadramento geografico che si presenta all’interno del gioco (che sarà un ripreso nei capitoli successivi) ma il discorso riguarda anche una contestualizzazione stilistica all’interno della storia dell’arte nei videogiochi.

Per esempio, ci sono correnti artistiche di riferimenti dei giochi? Hanno una poetica alla quale si avvicinano? Ci sarebbe anche la questione di un’estetica interna ai videogiochi, creando una serie di parametri per gli stili artistici e architettonici a volte inventati, a volte ripresi dalla realtà o inseriti in contesti fantastici dai game designer per quei mondi. Quindi le architetture che compaiono all’interno dei titoli, sono copie di quelle del mondo reale o sono altro, però localizzato all’interno di quello scenario? In Transistor vi sono manifesti sparsi per la città videoludica che fanno riferimento allo stile dell’Art Noveau rivisitati e localizzati all’interno della poetica del gioco. Un altro esempio è Ico, in cui gli scenari fanno riferimento ai dipinti di Giorgio de Chirico. Si deduce che il videogioco richieda una sua estetica artistica, spesso rappresentando un unicum e che può entrare nei repertori dell’arte.

ICO
La cover di ICO è un chiaro omaggio all’arte metafisica di Giorgio de Chirico.

Può essere un punto di vista plausibile, ma oggi c’è una corrente di pensiero che prevale tra molte software house e critici di videogiochi, ed è il realismo, attraverso il quale si punto verso una grafica sempre più reale e che si rifaccia al mondo reale. Vi sono per l’appunto, alcuni videogame della categoria action-adventure, come la saga Assassin’s Creed e di Tomb Raider o la serie di Uncharted, nei quali i veri protagonisti dell’esplorazione sono i luoghi con architetture elaborate, ricchi di rimandi e memorie storiche di un’epoca reale, alle quali corrisponde la sua architettura digitale. Infatti con questi giochi si potrebbe dire che “camminando si producono luoghi”, proprio perché esplorando i territori videoludici si scoprono territori, si incontrano monumenti e molta arte, che fanno da cerniera tra i mondi sintetici del monitor e quello vero. Quando l’arte è la stessa poi del mondo vero, ci si sente più immersi nel videogioco, poiché questo ingloba elementi della realtà mischiati a quelli della fantasia apparendo più verosimile.

Un primo passo per inquadrare l’arte nei videogiochi potrebbe essere esaminare giochi ben definiti geograficamente cercando in essi riferimenti all’arte. Ma in altri casi la percentuale tra realtà e fantasia è sbilanciata in favore di quest’ultima, infatti lo stile fantasy è utilizzato nei giochi online e nei mondi virtuali. È necessario cercare in profondità talvolta scandagliando la poetica dei giochi e cercando di capire come essi stessi manipolano il mondo per crearne un altro e per definire i nuovi canoni artistici e dell’architettura del paesaggio. È difficile affermare che i videogiochi sono alla ricerca di un loro linguaggio figurativo, è certo che metabolizzano gli altri linguaggi a cui fanno riferimento rischiando di apparire come un medium instabile ma allo stesso tempo forte. L’immaginario di questo ambito è diacronico e trasversale, si passa con disinvoltura da un medium all’altro, cioè nello stesso videogioco di passa dal linguaggio del cinema a quello della televisione, a quello della fotografia. È all’interno di questi assestamenti linguistici che il videogioco fa fatica a definirsi con una poetica artistica omogenea.

Si può parlare anche di una localizzazione temporale dei videogiochi all’interno della nostra epoca e che quest’ultimo cerca di interpretare la realtà, prefigurando l’arte del futuro, o mettendo in scena storie antiche rendendole verosimili. Ma forse c’è di più, a volte vi sono l’incertezza e la paura come fili conduttori, perché i giochi sono pervasi da una sottile forma di violenza e da un constante sentimento di incertezza dovuta forse alla continua vulnerabilità. Una vulnerabilità legata sicuramente al personaggio del gioco e le sue vicissitudini, con il quale il giocatore si identifica, ma legata anche all’essere un medium fluttuante tra varie discipline. Di qualsiasi produzione si tratti è presente quel senso di precarietà e paura, l’essere in balia di eventi che è uno stato d’animo presente nella storia dell’arte occidentale, dove il pittore instaura un rapporto spaziale e fisico tra lo spettatore e il personaggio del ritratto, come ad esempio Velasquez o Vermeer.

Nella serie Uncharted i giocatori “viaggiano” virtualmente in lungo e in largo per il globo.

Questa relazione è molto importante nel videogioco, dove il giocatore non è più uno spettatore distaccato ma tende a far parte del quadro e quindi dello schermo. Infatti, mentre il gioco procede e il giocatore si immedesima trasmettendo al gioco le sue paure nasce così un’opera interattiva, vengono messe in moto emozioni che tramite il controller vengono trasmesse al gioco. Si parla anche di un grado di localizzazione da parte del giocatore e il suo inserimento in un mondo dominato da codici e regole. Gli spazi dei giochi poi non sono mai casuali, ognuno di esso è pensato in funzione dell’azione che dovrà ospitare e il game designer sa che quella architettura sarà lo sfondo per un certo tipo di evento, gli spazi diventano così catalizzatori di tensioni ed emozioni che preannunciano quello che vi succederà. Infatti ci sarà sempre una corrispondenza tra lo stato d’animo del protagonista in un certo momento del videogioco e lo sfondo dell’azione: lo spazio viene definito in base a un’emozione e tradotto in un paesaggio che localizzato diviene un modo di essere.

Gli scenari ovviamente sono anche molto diversificati e ciò può essere motivo di distrazione per il giocatore, perché il videogioco è basato sulla concentrazione e sulla prontezza. Quindi il giocatore non può permettersi di indugiare sulla decorazione di una parte, o sulla bellezza di un capitello perché c’è il rischio di essere sorpresi dal nemico. Questo però dipende dal tipo di esperienza, perché nei così detti sparatutto l’architettura può essere traditrice e il giocatore non può lasciarsi a sentimentalismi architettonici. Il discorso, invece, cambia per le avventure dove l’architettura stessa è preannunciatrice di indizi e segreti utili per procedere verso la fine del gioco, e il tempo è dilatato e non si corre il rischio che spunti un nemico letale dietro un bellissimo angolo. L’architettura nei videogiochi si sperimenta su due piani: nelle tre dimensioni ammirando le scenografie e poi in pianta nelle mappe.

Questo ultimo punto è decisivo per il gameplay, cioè il percorso che bisogna seguire grazie scenografie, alle architetture in 3D, che a volte sono spettacolari, permettono ai i giocatori di memorizzare i luoghi che incontrano nel gioco riuscendo a orientarsi liberamente. Si potrebbe parlare di turismo artistico consapevole sperimentato dai giocatori, perché l’architettura non viene imposta e né subita ma è vissuta in maniera contraddittoria, interagendo con i muri, porte, cunicoli, stanze segrete, viene così capita a fondo e non più considerata solo come una quinta teatrale. I luoghi per ora hanno in difetto che può essere considerato un lato positivo: non subiscono il peso degli anni e non invecchiano, non si coprono della patina del tempo, rimangono nuovi per sempre o nascono già impietosamente vecchi.

Pang è stato uno dei primi giochi a portarci in viaggio per il mondo.

Viaggiare nei videogiochi

Già sul finire del XVII e per tutto il XVIII l’Italia divenne principale destinazione di viaggio per i giovani aristocratici di tutta Europa per compiere il Grand Tour. Ogni giovane completava la propria educazione con un lungo viaggio che lo portava dalle Alpi fino alla Valle dei templi, passando per Firenze, Roma e Napoli e collezionando souvenir e alcuni di loro crearono dei taccuini di viaggio, acquarelli dei luoghi che visitavano. Ecco che, con l’avvento dei primi videogiochi come Pang del 1989, emerge un interessamento a luoghi reali. In questo caso il videogioco era composto da cinquanta livelli divisi in 17 aree geografiche, ciascuna delle quali corrisponde a luoghi famosi del mondo, a partire dal Monte Fuji fino all’Isola di Pasqua. Da quel momento in poi, i giocatori di tutto il mondo iniziarono il Grand Tour nei mondi virtuali dei videogiochi, che è la novità del nostro tempo, un’autentica rivoluzione del viaggio che reinventa il modo di essere turisti. I mondi virtuali si moltiplicano, ma manca un apparato di competenze e professionisti che possano spiegare di giorno in giorno questi universi che continuano a essere territorio di conquista per soli giocatori.

Quando si viaggia si consulta una carta geografica, analogamente vale lo stesso per i mondi virtuali dove c’è molto da vedere: castelli, laboratori, torri, foreste, un repertorio sterminato di architetture e meraviglie naturali che merita di essere visto, così come meritavano di essere visti i monumenti del Grand Tour. I primi monumenti rappresentati corrispondevano a un abbozzo dell’architettura virtuale per poi migliorare nell’arco del tempo, arrivando a capolavori come Assassin’s Creed per citare uno dei più celebri e che ha riscosso grandissimo successo proprio per questo motivo. Non a caso si può dire che la geografia virtuale si sia evoluta a tal punto da creare opere più articolate in grado di coinvolgere il giocatore in mondi virtuali complessi. Dal 1975 in poi i giochi di ruolo godettero di una popolarità crescente, come ad esempio Dungeons & Dragons, e allo stesso tempo in alcune università americane i videogiochi iniziarono a farsi strada.

Si arrivò così alle prime avventure virtuali come Colossal Cave Adventure (1976), prima labirintica avventura fantasy, Mystery House (1980) nel quale il testo accompagnava un inizio di grafica per arrivare a capolavori come Final Fantasy (1987). Con gli anni Ottanta si rese possibile ampliare la varietà delle ambientazioni virtuali ed è a metà degli anni Novanta, a seguito del rivoluzionario passaggio dal 2D al 3D, che i mezzi tecnologici a disposizione dei programmatori diventarono tali da consentire entusiasmanti viaggi tra terre eterogenee, creando una fase di rappresentazione geografica. Un importante elemento legato alla geografia virtuale era il senso dell’esplorazione e con esso il piacere dell’esperienza della scoperta, di conseguenza il ruolo dell’esplorazione nei videogiochi finì per acquisire sempre maggior importanza nel tempo.

Di conseguenza con i primi giochi esplorabili era necessario dotare il giocatore di una mappa cartacea che ricreava il mondo videoludico in questione, ma si notò che presentava un momento di distrazione dell’esperienza di gioco quindi venne sostituita da mappe digitali automatiche create direttamente all’interno dei giochi e che si aggiornavano mentre si progrediva con l’esplorazione. Un esempio è The Legend of Zelda: The Wind Waker, oppure mappe che presentano elementi chiave come ingressi, oggetti magici o interruttori sono in Metal Gear o che è già completa di tutto con tanto di schermata dedicata è GTA: San Andreas. Il videogioco è una realtà estremamente complessa e sfaccettata che sfugge ai tentativi di descrizione e semplificazione, allo stesso tempo però è necessario creare una chiave di lettura artistica se si vuole fare un viaggio più approfondito nei mondi virtuali, tracciando un’estetica dell’architettura.

L.A. Noire
L.A. Noire ci ha proposto una convincente Los Angeles degli anni ’40.

Ho trovato possibile suddividere le architetture create dai designer, in sei macro-categorie: “antiche”, moderne, contemporanee, futuribili. Ci sono delle eccezioni come ad esempio i giochi ispirati a un’epoca antica e che cercano di rimanere in equilibrio tra fantasia e realtà, determinando così il loro punto di forza. Allo stesso tempo spesso le architetture contemporanee e futuribili appaiono le più interessanti, poiché arrivano a testimoniare un legame con i progetti del mondo reale. I videogame, quindi, presentano una varietà di stili e generi e la presenza ambientale è solo una delle possibili esperienze offerte dal medium. Oltre tutto nei titoli di gioco single player, come Half-Life 2, spesso le architetture sono molto ricche e ben dettagliate; questo accade perché le architetture dei videogiochi offline hanno da tempo iniziato a maturare una propria estetica originale. Un’altra importante caratteristica di queste architetture è la teatralità, sono strutture complesse composte altrettante di strutture articolate come corridoi e trabocchetti. Le architetture sono inoltre partecipi dell’azione, interagendo con il giocatore, non rimanendo solo semplici sfondi.

Il videogioco richiede una sua arte, molto particolare, manipolabile per essere adattata al contesto, queste forme espressive rappresentano un unicum e hanno i titoli per aver asilo nei repertori della grande arte. Con il tempo iniziò a delinearsi anche una nuova idea di spazio architettonico videoludico, riscontrabile negli action-adventure, caratterizzato da spazi labirintici, che oltre ad essere funzionali allo sviluppo del gioco offrono un nuovo modo di vivere l’architettura anche dal suo interno, che permette così di essere accettata come vera. I videogiochi offrono il meglio quando interpretano nell’arte e nell’architettura la sospensione dell’incredulità, cioè quel momento in cui il giocatore ignora le falle o incongruenze in un determinato contesto, accettando opere d’arte o architetture inesistenti ma plausibili.

Secondo alcuni correnti di pensiero videoludico, le ambientazioni e architettura diventano interessanti quando sono verosimili, assomigliando ad altre realmente esistenti, rispetto a un’architettura totalmente inventata. Altre correnti di pensieri, trovano interessanti allo stesso modo anche architetture inventate e collocate in un contesto geografico e culturale pseudo reale. A volte nei videogiochi la geografia restringe il campo e definisce un modello di arte completamente aderente agli scenari, è il caso di Syberia e Syberia II due videogiochi in cui il sostrato geografico è maggiormente strutturato fornendo moltissimi indizi per individuare luoghi e personaggi. Esplorando i territori videoludici si scoprono così tanti luoghi e monumenti, che permettono di incontrare moltissima arte, che a volte fa da cerniera tra i mondi sintetici e quello reale.

Quando l’arte è la stessa del mondo vero il videogioco permette un’ulteriore immersione, perché ingloba elementi della realtà combinandoli a volte con quelli della fantasia, apparendo più verosimile. Quindi credo che il primo passo per inquadrare l’arte nei videogiochi consista nell’esaminare i titoli ben definiti geograficamente, cercando i riferimenti all’arte. Parlando di localizzazione geografica è necessario citare la serie di Grand Theft Auto, meglio conosciuto come GTA, ambientata una volta a New York con il nome fittizio Liberty City, poi a Los Angeles con il nome Los Santos, a San Francisco con San Andreas. Un altro videogioco che approfondirò, oltre GTA sarà L.A. Noire, che ci porta in una Los Angeles degli anni Quaranta. In altri casi, dove l’equilibrio tra realtà e fantasia è sbilanciata a favore della seconda, si rischia di percepire gli scenari come prodotti puramente immaginari caratterizzati da un ecclettismo tra Klimt e con rimandi all’Art Noveau e anche cyberpunk come in Transistor.

Battlefield 1
Battlefield 1 offre uno scorcio realistico e rappresentativo del primo conflitto mondiale.

I nuovi viaggiatori digitali

È stato un periodo e continua a esserlo di straordinaria accelerazione culturale, dettata dall’evoluzione della cultura pop e dall’affermazione del videogioco. Si caratterizza anche da grandi viaggiatori, come cybernauti, navigatori della rete e del virtuale che vengono definiti viaggiatori stanziali, una contraddizione dei termini prodotta dalla tecnologia, che interpretano una nuova forma di viaggio, che diversamente dal passato non si svolge più nella realtà. Per i giocatori tra testi e immagini, il viaggio diventa un’esperienza all’interno di mondi complessi, strutturati, all’interno dei quali si muovono intelligenze artificiali e nei quali si intrecciano storie, con i caratteri del gioco e del racconto. Il viaggiatore post-moderno vive esperienze non ordinarie negli universi del videogioco, incontrando personaggi non comuni e visitando luoghi che mai avrebbe immaginato. Il virtuale potrebbe riscostruire la realtà, ed è in quest’ultima che si provano emozioni e si conoscono i luoghi in seguito si specchiano nel videogioco andando così a creare autentici motivi di arricchimento e di crescita per chi ci gioca.

Infatti in alcuni videogiochi, come Battlefield 1 per la prima guerra mondiale e la saga Medal of Honor per la seconda guerra mondiale, ampliano la conoscenza degli eventi reali combinandosi agli stimoli dei libri di storia e dei film hollywoodiani. L’esperienza del virtuale per quanto legata all’illusione tecnologica può essere considerata un’esperienza positiva nel senso di consistente e realistica, uno strumento per riflettere su una realtà alternativa che sia realistica come lo sbarco a Stalingrado di Call of Duty, verosimile come la fuga da Masyaf di Assassin’s Creed o fantastica come Altissia, ispirata a Venezia in Final Fantasy XV. Non è un’esperienza virtuale ma un’esperienza del virtuale, inoltre la prima offre un valido feedback visivo e auditivo. Il gioco è allo stesso tempo un mezzo di trasporto, uno stile di rappresentazione e un sistema di socializzazione, poiché simula un’esplorazione e un attraversamento degli spazi.

Final Fantasy XV
Nella serie Final Fantasy la città di Altissia ricalca in tutto e per tutto la splendida Venezia, con tanto di gondole e ponti.

Nel caso del virtuale è diverso perché non si esce di casa e ovunque noi siamo, ci possiamo immergere in un altro mondo, lo schermo diviene il nostro portale per quei luoghi. In quanto viaggio, il videogioco resiste alla generalizzazione dell’esperienza, perché l’esperienza stessa è soggettiva, individuale e personale, anche nel turismo virtuale di massa. Viaggiare significa incontrare “altro” dall’abituale, facendo strada in nuovi luoghi, inoltre si viaggia per collezionare immagini per poi raccontare il proprio viaggio. Di conseguenza sarebbe necessario prendere in considerazione anche il tipo di l’influenza che si viene a creare tra un luogo non reale e il suo visitatore, poiché il giocatore si inserisce un mondo dominato da codici e regole, che per interagire con esso deve rispettarle.

La parte più importante però è il modo di percepire le icone artistiche che vi si presentano, perché, a meno che si osservino una serie di screenshot o di artwork, i manufatti artistici dei videogame sono visti o percepiti in circostanze disagevoli. Nei mondi virtuali lo spazio, che è il teatro dello svolgersi della vicenda, è caratterizzato dall’azione e quindi vissuto da parte del giocatore con ritmi più o meno serrati a seconda delle circostanze; ad esempio durante il gioco, spesso negli sparatutto, si può rimanere affascinati da un dettaglio architettonico ma non c’è il tempo di ammirarlo, bisogna agire rapidamente. È interessante notare come gli spazi dei videogiochi non sono mai casuali, infatti ciascuno di essi è pensato in funzione dell’azione che dovrà ospitare. A questo proposito il game designer sa già che quella certa architettura sarà lo sfondo per un dato evento, per questo motivo gli spazi videoludici sono catalizzatori di tensioni, emozioni che preannunciano quello che vi succederà.

Viaggiare e raccontare sono due cose diverse, un equivoco diffuso tra chi non frequenta gli spazi videoludici, ma lo fa solo occasionalmente senza troppo interesse. Spesso si cade nel confondere i resoconti delle esperienze ludiche dei giocatori con le vere storie narrate dai videogiochi, perché i giocatori amano ripercorrere i momenti salienti delle loro esperienze virtuali. Il videogioco, in quanto spazio di possibilità, rende possibili delle situazioni che differenti viaggiatori possono sperimentare in modo personale per poi poterle condividere con altri, spesso attraverso le comunità virtuali su siti internet, forum e blog.