The Art Inside Videogames #6 – Il retrogaming

Riscoprire il passato videoludico e preservarlo per le generazioni future.

Un tempo la sala giochi era un luogo di ritrovo per tutti gli amanti dei videogiochi. Quel tempo ormai è passato…

Il retrogamig

Ogni mezzo di comunicazione deve fare i conti con la propria storia, e la storia dei videogiochi è di natura digitale e molto articolata. La rapida evoluzione delle tecnologie e le incompatibilità hardware tra i vecchi e i sistemi successivi rendono complesse le tecniche di accesso o di fruizione dei giochi prodotti anche in un passato recente. Il tema del retrogaming è spesso sottovalutato nella nostra industria, al punto che entrambe inizialmente le console di Sony e Microsoft avevano completamente ignorato la questione della retrocompatibilità, dichiarando nella sostanza accettabile l’idea di consegnare al cassonetto, a ogni cambio generazionale, librerie di migliaia di titoli fisici e digitali che ci hanno intrattenuto, divertito, commosso e sfidato nel corso degli anni precedenti. Si tratta di un approccio sbagliato, non soltanto dal punto di vista culturale ma anche da quello più immediatamente economico. Se i dischi di Jimi Hendrix non fossero sopravvissuti al vinile, i film di Alfred Hitchcock ai proiettori in bianco e nero e i libri di Goethe alla carta, sarebbe stato, ovviamente, un danno enorme e irreparabile alla musica, alla cinematografia e alla letteratura.

I videogiochi sono un medium diverso, intrinsecamente legato allo sviluppo tecnologico. Rigiocare oggi al primo Metal Gear uscito su NES è indubbiamente un’esperienza meno soddisfacente di quanto non lo fosse all’epoca. Soprattutto non ha senso spazzare via a ogni cambio generazionale il nostro passato, quella che ormai dovremmo cominciare a definire la “cultura” del videogioco. Il mondo del retrogaming è finora sopravvissuto in discreta forma, soprattutto grazie a due iniziative: quella del collezionismo privato e di alcune istituzioni, e quella dell’emulazione. All’università di Stanford, c’è la collezione Stephen M. Cabrinety Collection in the History of Microcomputing, consistente in hardware e software rilasciati tra gli anni Ottanta e Novanta, per un totale di 3.600 giochi per ventisette sistemi diversi ed è non è l’unica; anche l’università del Texas ha aperto un proprio archivio che comprende diverse collezioni così come il Computerspiele Museum di Berlino e l’università di Ritsumei in Giappone hanno realizzato dei propri archivi. Questo a testimoniare che da poco si è mosso qualcosa anche a livello conservativo nelle istituzioni, anche con atenei dedicati alla preservazione del videogioco dei materiali pubblicati.

Gli appassionati di retrogaming amano anche collezionare giochi e console di vecchia generazione.

È a partire dalla seconda metà degli anni Novanta che nel web si è andata a formare una community di appassionati di videogiochi addetta per volontà propria al recupero e alla conservazione dei giochi del passato, attraverso la tecnica dell’emulazione software attraverso siti come RetroGaming e poi in Italia nel 2001 con GamesCollection, editoriale online che permette di rimanere aggiornati sui titoli odierni ma anche del passato, organizzando anche acquisti tra utenti di vecchie console e videogiochi. Dal momento che la natura del videogioco è complessa, un gioco per funzionare fa uso di input che se non riprodotti in ambito software e hardware rispetto alla loro versione originale rischiano di compromettere l’esperienza di gioco, e al momento la preservazione digitale è la soluzione più efficace.

Anche se l’esperienza originale sarebbe la più corretta, sarebbe bello poter unire sotto un’unica struttura, tutti i concetti di preservazione e divulgazione della storia del medium, perché la preservazione tecnologica e quindi della parte fisica del videogioco, sarebbe il metodo più fedele per ottenere l’esperienza originale, sebbene appunto sia difficile concretamente reperire una determinata console da gioco per riuscire a far giare il programma originale. Spesso le strategie tradizionali di preservazione non possono essere applicate al videogioco, poiché per comprenderlo è necessario disporre del contesto storico originale, il che è un po’ impossibile. Però l’obiettivo comune delle associazioni, enti o musei già esistenti è quello di riuscire a presentare in maniera permanente o quasi, gli artefatti provenienti del passato videoludico, in questo modo sarebbe possibile riuscire a descrivere la storia del medium, con tutte le sue rivoluzioni e contraddizioni, del suo impatto mondiale e di come ha inciso profondamente sulla cultura dell’umanità.

A differenza delle arti tradizionali, che permettono ancora l’osservazione e lo studio di dipinti e sculture conservati, con molti casi di possibilità di osservare gli studi preliminari e i cartoni preparatori di questi lavori, c’è un notevole rischio di perdere i nuovi artefatti mediali a pochi decenni dalla loro creazione iniziale. E come in tutte le forme d’espressione artistica, anche il videogioco necessita di essere considerato alla pari degli altri medium per quanto riguarda la questione di deterioramento. Un videogioco, si sa, è fortemente dipendente dal sistema per il quale viene creato, rendendolo schiavo della continua evoluzione tecnologica, e quindi tutte le console, computer originali sul quale va eseguito e gli altrui supporti originali come controller devono essere elementi da prendere in considerazione per una preservazione videoludica. Anche se ci si rende conto allo stesso tempo che non è possibile preservare ogni videogioco così come non si è riuscito a preservare tutti i dipinti e altri beni culturali di ogni epoca. Questa scelta di retrogaming scrupoloso fa sì che si avvicini al rigore tenuto dagli studi statunitensi della digital preservation.

I puristi del retrogaming preferiscono usufruire dei giochi sulle console di appartenenza piuttosto di affidarsi all’emulazione via software o hardware.

Per retrogaming si intende l’insieme di pratiche inerenti ai videogame del passato, anche se in questo caso è molto generico perché riflette le diverse correnti di pensiero all’interno della definizione: per alcuni sono retrò i giochi di cinque o tre anni fa, altri ancora considerano retrò i giochi della generazione a 8-bit. In più, per retrogaming, si può parlare di quei videogiochi creati per tecnologie ormai commercialmente obsolete, sostituite dalle nuove generazioni di console. Ci sono poi altre correnti di pensiero per quanto riguarda il discorso fruizione: vi sono i radicali che esigono l’esperienza ludica sia vissuta sulle macchine originali, e questa scelta rigorosa della fisicità del videogame (pensando ai vecchi cabinati delle sale giochi) è considerata parte imprescindibile del classico ludico. Poi, come pensiero opposto, vi sono coloro che rinunciano a una materialità per operare con sistemi attuali, attraverso due tecniche di programmazione: la riprogrammazione e l’emulazione, che permettono una fedele trasposizione dell’esperienza ludica originale su un supporto contemporaneo.

La condizione importante è che non si crei un remake, ovvero Pac-Man di Namco (1980) in grafica tridimensionale sarebbe un rifacimento, invece attraverso l’emulazione si cerca di creare un prodotto, il più vicino possibile per realizzazione e tecnica, al gioco originale. Per realizzare ciò, bisogna avere un programma, detto emulatore, che a sua volta interpreta il contenuto del videogioco emulato, traducendo le istruzioni del vecchio processore nelle corrispondenti istruzioni del processore emulante, quindi l’emulatore imbroglia il gioco, convincendolo di essere in azione all’interno del vecchio hardware, mentre è solo una creazione del software dell’emulatore stesso. Ovviamente in precedenza occorre aver effettuato il trasferimento del videogioco dal supporto di memoria in cui era originariamente conservato a quello del sistema emulante, in modo tale che l’emulatore possa caricarlo. Il file ottenuto tramite il trasferimento è detto “image”, termine che indica il supporto di memoria che conteneva il videogame.

Analogue è un’azienda specializzata nella riproposizione di vecchie console.

Per funzionare, gli emulatori richiedono che la velocità del sistema emulante sia superiore a quella del sistema emulato, in modo da consentire che la traduzione dei codici operativi via software avvenga in tempo reale, perché se così non fosse vi sarebbe una minore resa audiovisiva. Gli emulatori hanno fatto scatenare la retro-mania, portando un vero e proprio fenomeno, grazie alla possibilità di scaricarli da Internet gratuitamente. La rete, infatti offre moltissimi giochi, sottoposti a refreshing e pronti per l’uso. Anche se c’è gente che denigra questo movimento come dei pirati informatici, in realtà ce una volontà di dedicarsi ai giochi retrò e di archiviarli e ordinarli affinché il loro ricordo sopravviva e il passato videoludico non sembri un groviglio di titoli dal contenuto misterioso. Anche perché non esiste un florido mercato dei vecchi videogiochi, come avviene invece per la musica i libri e l’home video, quindi il retrogaming si può trasformare in uno strumento di ampio movimento per la preservazione e l’archiviazione dei documenti informatici.

Poiché la strada imposta dal mercato costringe i computer a un’evoluzione sempre più veloce, diventa necessario prendersi cura di quei software che rischiano di diventare illeggibili, incompatibili e inutilizzabili. Il retrogaming sta cercando di occuparsi del recupero e della preservazione di questi particolari documenti informatici, che sono appunto i videogame. Preservare il videogioco è un dovere poiché la nostra cultura di oggi, si fonda e si fonde con il videogioco di ieri e di oggi. La preservazione videoludica è stata affrontata a livello meno accademico e più amatoriale nel retrogaming per l’appunto. Però è evidente come il retrò acquisisca anche una valenza culturale, in quanto è una forma di collezionismo videoludico che trasforma coloro che ne sono coinvolti in storici del medium.

L’obiettivo di un servizio come Antstream è quello di creare una libreria digitale accessibile tramite una piattaforma di cloud gaming.

La preservazione digitale dei videogiochi

A metà degli anni Novanta, Nintendo 64, PlayStation e i PC classici hanno ridefinito il modo di concepire grafica, design e la struttura videoludica. Purtroppo, sin dalle origini i videogiochi sono stati penalizzati in quanto si tende a premiare il gioco tecnicamente più sofisticato, anziché quello ludicamente più efficace. Questo atteggiamento incitato dagli utenti stessi e da ragioni economiche, ha portato a degli esiti disastrosi sulla percezione sociale del videogioco, ovvero come merce di consumo e non come un’opera dotata di valore artistico e intellettuale. Grazie a Internet chiunque può scaricare gratuitamente giochi deli anni Settanta, Ottanta, Novanta, dai titoli più stravaganti, quelli rari e bizzarri, alle produzioni originarie limitate al mercato giapponese.

Scaricare videogiochi non rimane più una semplice passione, ma diviene un modo di definire un ruolo di collezionista all’interno della società videoludica e tutto questo è permesso grazie al costante miglioramento degli emulatori. Ma oltre alla componente tecnologica c’è in gioco la volontà di un recupero culturale, che vada aldilà del sentimento nostalgico, ma che focalizzi la sua attenzione sulle pratiche della catalogazione, ordinamento, archiviazione, ricostruzione del contesto storico, sociale e culturale nel quale i videogiochi di qualche anno fa sono stati sviluppati e fruiti. La comunità dei retorgamer su Internet che si è attivata per questo recupero fonda le basi nel documento di “Preserving Digital Information” del 1996 curato dalla Task Force on Archiving of Digital Information (TFADI). Questo documento traccia gli scenari degli archivi digitali, proponendo per ogni questione una diversa soluzione, addentrandosi in aspetti tecnici ed economici.

Considerando il videogioco come un oggetto complesso che raccoglie in sé elementi di tutti i tipi d’informazione digitale dal testo, il codice, l’immagine, le animazioni, i suoni, la multimedialità, le simulazioni, ci si chiede come sia possibile gestirne la preservazione. Secondo la TFADI, la preservazione di testi così complessi è un problema per la riprogrammazione, perché a ogni cambio e miglioramento dei sistemi informatici bisognerebbe ricodificare l’oggetto e renderlo consultabile sul nuovo sistema; sarebbe solo una perdita di tempo, ma allo stesso tempo viene criticata anche la preservazione affidata all’emulazione, sostenendo che comunque sarebbero necessari nuovi emulatori all’avvento di ogni nuovo sistema operativo.

Retro Gamer è una rivista periodica che si occupa prevalentemente di retrogaming.

Comunque la TFADI, nel suo documento, individua cinque livelli d’astrazione per mantenere l’integrità dell’oggetto da preservare: contenuto e componenti non digitali, fissità, informazione di consultazione, provenienza e contesto. Queste variabili interessano il rapporto tra preservazione e retrogaming, del videogioco come oggetto e documento in rete, e descrivendo le varie modalità con cui i retrogamer si prendono cura dei videogiochi. Questi livelli servono per misurare l’integrità del documento informatico dall’ordine dei bit che lo compongono fino al contesto culturale in cui è nato, quindi dando la possibilità anche ai giochi di non essere solo un frutto di dati e processori. Il contenuto è quello che riguarda in primis la preservazione di un videogioco, in quanto è quello di far leggere correttamente il contenuto dell’opera originale dal sistema emulante.

Le componenti non digitali sono le considerazioni su il packaging e la manualistica, perché l’uscita commerciale di un gioco e di qualsiasi tipo di console viene accompagnata da materiale informativo e spesso da gadget, illustrazioni, fumetti, racconti, artwork, e altri pezzi inediti, che contribuiscono a calare il fruitore nel contesto del gioco. Quindi è necessaria una preservazione totale, non solo di quella parte ludica ma di tutto il mini mondo creatosi intorno a esso. Per fissità la TFADI intende l’inalterabilità di un documento digitale: minore è la fissità dell’oggetto, maggiori saranno le possibilità che esso subisca delle modifiche nel corso di passaggi da un sistema informatico a un altro. Ma ovviamente per fare questo lavoro di archiviazione e i vari refreshing dei giochi sono richieste azioni che aggirino la fissità, e quindi la necessità di aggirare le protezioni inserite dai creatori originali con l’obiettivo di neutralizzare ogni atto di pirateria.

Una testimonianza è il gruppo di retrogamer che si fa chiamare TOSEC (The Old School Emulation Center) che nel febbraio del 2000 si sono adoperati alla catalogazione e la conservazione di software, firmware e le risorse per macchine arcade, micro computer, mini computer e console per videogiochi. L’obiettivo principale del progetto è quello di catalogare e controllare i vari tipi di software e firmware per questi sistemi. Ogni utente potrà sapere esattamente di quali titoli la sua collezione è composta, quali sono le sue mancanze o se possiede versioni difettose o meno.

Bud Spencer and Terence Hill: Slaps and Beans
Ci sono giochi sviluppati per console di ultima generazione che omaggiano il passato affidandosi alla pixel art.

Il team TOSEC crea dei file, costituiti da un grande lavoro di ricerca, in cui ogni gioco viene esaminato e catalogato, affinché le liste create da loro contengano tutte le informazioni necessarie. Si tratta infatti di un processo continuo, perché è la comunità stessa ad aggiornare il database per le aggiunte, le correzioni e le estensioni. Un altro progetto simile, orientato alla “rom image” è quello di archivista che si fa chiamare con lo pseudonimo di Cowering, autore dei GOODTools. Lui ha creato un sistema di rinomina, catalogazione e gestione della image di tutti i principali sistemi di gioco catalogando tutti i dump5 difettosi in cui si è imbattuto in internet o da cui ha ricevuto segnalazioni da parte di altri retrogamer, iniziando così un processo di eliminazione dei dump difettosi dal web.

Questo studio si rivela utile per la reperibilità dei file che, servendosi di un motore di ricerca, rende più semplice per chiunque reperire un gioco a partire dal suo nome. Il punto più importante della TFADI è il contesto originale in cui il documento informatico è nato, applicarlo ai videogiochi è difficile ma non impossibile considerando la dimensione tecnologica, così da prendere in considerazione il sistema informatico per cui l’oggetto è stato originariamente progettato. Si può parlare anche di rimandi culturali perché sono molto frequenti le citazioni, i riferimenti, personaggi, ricostruzioni storiche; sempre all’interno del contenuto è importante l’aspetto dell’ambiente sociale in cui nasce e viene fruito il prodotto dell’industria culturale. Il retrogaming da un po’ di tempo a questa parte si sta occupando della preservazione dei videogiochi attraverso appunto la modalità di refreshing e facendo in modo che i titoli originali vengano trasformati su file conservabili sui supporti di memorizzazione attuali.

Quindi, grazie all’emulazione si potrebbe dire che si è sviluppata una vera e propria cultura della preservazione videoludica online, perché i videogiochi sono fatti per essere giocati, ma il processo conoscitivo di questi prodotti culturali passa anche per questi particolari meccanismi di fruizione. Infine, per il momento internet si presenta come una gigantesca libreria di retrogaming per la preservazione videoludica, nonostante presenti un problema in essere: ovvero la rete stessa è in continua evoluzione. Ma creare un archivio tradizionale, centralizzato e guidato da studiosi seguendo i dettami della TFADI non è pensabile, soprattutto per le implicazioni legali e di copyright che un lavoro del genere comporterebbe, e quindi l’unica strada possibile e praticabile è quella della rete. Dunque è necessario iniziare a pensare secondo nuove modalità per elaborare strategie di preservazione sempre più appropriate.