The Art Inside Videogames

The Art Inside Videogames #7 – La cultura e il videogioco

Quando è la cultura a plasmare il medium, e viceversa.

Tra cultura e videogioco può sussistere un rapporto nel momento in cui quest’ultimo assume una valenza culturale in quanto prodotto della cultura dei suoi creatori. Successivamente, il videogioco assorbe la cultura di chi lo ha sviluppato e acquisisce un connotato mediatico divenendo esso stesso un veicolo di cultura. Il videogioco, quindi può essere considerato come una disciplina che traccia le sue trasformazioni venendo a contatto con scenari nazionali differenti e quindi cambia e si rinnova. Il videogioco, viaggiando per il mondo, cambia lingua, faccia e addirittura titolo, di conseguenza subisce delle mutazioni ed è sottoposto a trasformazioni strutturali dell’esperienza creativa attraverso delle modifiche come: dell’iconografia, al sistema di gioco, rielaborazioni alla grafica, revisioni e packaging. Interessante è l’assimilazione culturale del videogioco, cioè l’insieme di quegli elementi che definiscono il rapporto tra l’opera e il suo pubblico.

Con il termine assimilazione vorrei far riferimento a un processo secondo il quale un videogioco viene adattato alla cultura, alla lingua e al mercato specifico a cui si riferirà. Possiamo dire che i software generici che usiamo, nascono come un supporto all’attività umana mentre il videogioco rappresenta per sé stesso un’attività umana ma assume anche una valenza auto-referenziale: cioè tutti i suoi componenti hanno una funzione precisa, ma che si svolgono all’interno dell’esperienza rappresentata e offerta dal videogioco. Ovviamente il videogioco è anche un prodotto che si inserisce nel mercato, ma da una parte può nascere indipendentemente dalle esigenze del contesto economico in cui sarà inserito, dall’altra però non può prescindere da prospettive di profitto che giustifichino lo sforzo economico sopportato dalla software house che lo produce.

Shenmue I & II
La serie Shenmue è un incredibile affresco degli usi e costumi della cultura cinese.

La struttura di un videogioco è composta mediante due piani intersecanti: il piano ludico e quello narrativo. Il piano ludico contiene tutti quegli elementi che riguardano l’interattività (il sistema, l’interfaccia, i livelli) mentre il piano narrativo contiene tutti quegli elementi che riguardano la narrazione (i dialoghi, testi, caratteristiche dei personaggi). I contenuti di entrambi i piani possono subire modifiche che emergono nella fase di adattamento dei contenuti del piano narrativo, perché e qui che si dispongono le capacità mediatiche del videogioco. Quindi i contenuti espressivi e la modalità di esposizione sono gli aspetti del videogioco più legato alla cultura che lo concepisce e che più possono rivelarsi ostici da riproporre a un’altra cultura. L’assimilazione del videogioco è possibile analizzarla in base a tre fattori: la natura del videogioco come medium, la cultura dei paesi destinatari del prodotto e le caratteristiche del mercato globale dei videogiochi.

Nel momento in cui un videogioco si spinge al di fuori dei suoi confini, deve fare i conti con la difficile riproposizione di tutti i suoi contenuti testuali in una lingua straniera e quegli stessi contenuti, benché ben tradotti, possono essi stessi rappresentare un problema se proposti integralmente a una cultura diversa da quella per cui erano stati originariamente concepiti. Si crea un problema di ricettività e assimilazione culturale. Se il messaggio contenuto in un videogioco viene alterato, limato o trasformato rispetto alle intenzioni comunicative da una parte sarà possibile agevolarne l’accoglienza da parte di un’utenza più vasta, ma dall’altra si corre il rischio di compromettere la fruizione dei contenuti originari del testo videoludico. Lo scopo però di questo processo è la fruibilità dei contenuti originali del prodotto al di fuori del suo scenario originale e l’introduzione a sua volta nello spazio di mercato più ampio, anche se a volte si è costretti a fare delle modifiche.

The Legend of Zelda fu uno dei giochi soggetto a censura, come poi accaduto a tanti altri.

I contenuti del videogioco e il loro adattamento culturale

Quando un videogioco si affaccia a nuove culture, gli adattamenti a cui viene sotto posto toccano i più svariati aspetti in cui si riflette la cultura che lo ha prodotto. L’iconografia, la musica, il sistema di gioco, la storia e il titolo di un videogioco sono tutti elementi strettamente legati a una cultura specifica. La storia dei videogiochi proposti ad altre culture comprende interventi variabili: dal lavoro inevitabile di rinominare, censure consistenti, reinterpretazioni di un sistema di gioco che a volte comprometteva l’identità del prodotto originale. Alla fine degli anni Ottanta, gli Stati Uniti d’America furono il porto di sbarco dei videogiochi giapponesi destinati all’intero occidente che ne decretava il successo o meno. Questo perché Giappone e Stati Uniti da sempre sono stati i maggiori produttori ed esportatori di videogiochi al mondo, dando vita a loro un flusso. La storia dei videogiochi statunitensi è ricca di adattamenti brutali sui videogiochi giapponesi, svolti sulla base del criterio per cui la riproposizione dei caratteri originali di un gioco non è un obiettivo primario.

Questa scelta è motivata da un fattore anche storico, oltre al forte nazionalismo della cultura statunitense, le ragioni di queste operazioni sono da ricercare con la crisi economica degli anni ‘80 che colpì gli USA, correndo il rischio di trasformarsi in una nazione dipendente dall’estero. Da questo episodio i videogiochi, soprattutto giapponesi, furono sottoposti a pesanti interventi nei contenuti e nell’aspetto con cui si sarebbero presentati al pubblico, questo perché le copertine nipponiche sono state a lungo considerate inadeguate per il pubblico americano e quindi puntualmente venivano sostituite con altre illustrazioni. Il caso più famoso fu rappresentato da Nintendo, orami divenuto sinonimo di videogioco, quando alla fine degli anni Ottanta si trovò a dover fronteggiare l’opinione pubblica.

Doveva difendersi dalle accuse di istigazione alla guerra per aver commercializzato la pistola a infrarossi, e dall’altra vi erano gruppi religiosi di ebrei indignati perché nella pianta di un labirinto del gioco The Legend of Zelda (1986) a loro giudizio vi era una somiglianza con la svastica nazista. Per cui Nintendo intraprese una strada di autocensura, con un controllo dei propri prodotti, al fine di escludere dai suoi videogiochi commercializzati in USA qualsiasi elemento che potesse suscitare dissonanze con l’opinione pubblica occidentale. Anche la violenza nei videogiochi è uno dei temi contro quali si sono scagliati a più riprese diversi critici, e spesso i videogiochi di matrice orientale si sono sottoposti alla pratica dell’autocensura allo scopo di cautelare i produttori da possibili polemiche.

Resident Evil 3
In Europa conosciuto come Resident Evil, in Giappone invece il suo titolo è Bio Hazard.

Un esempio è Last Battle (1989) in cui il protagonista colpiva i nemici con tecniche letali di arti marziali a cui seguiva un’animazione sanguinolenta, nella quale i corpi dei nemici esplodevano come palloncini pieni di sangue. Nella versione distribuita in Europa e Stati Uniti questa animazione fu tolta, e i corpi dei nemici una volta sconfitti si dissolvevano senza lasciare traccia. La censura riguarda anche i temi religiosi: la versione originale di Super Castelvania IV (1991) iniziava con un fulmine che si abbatteva sulla lapide del Conte Dracula, distruggendola. Nella versione occidentale la casa produttrice Konami ritenne opportuno attenuare l’impatto della scena. Quindi a croce cristiana che sormontava la lapide fu cancellata, così come tutte le altre croci individuabili e il nome Dracula fu anch’esso cancellato dalla lapide, in modo tale da rendere il tutto più impersonale possibile. Questo perché la casa produttrice era consapevole che la distruzione in apertura del gioco di una lapide e un crocifisso, anche se motivata da scelte narrative, avrebbe potuto essere interpretata come un gesto blasfemo della religione cristiana in occidente.

La censura, spesso rappresenta la soluzione limite di adattamento dei contenuti di un videogioco per un determinato contesto culturale, che spesso implica un ri-orientamento del prodotto verso un gusto diverso rispetto a quello del paese d’origine. Un esempio lampante è il famoso titolo Resident Evil (1995) conosciuto da tutti, in quanto alla sua prima uscita si chiamava Bio Hazard (trad. “Rischio Biologico”) in Giappone ma nella versione occidentale cambiò completamente nome, in appunto Resident Evil perché per il mercato il nuovo titolo assumeva una carica semantica più sinistra e più immediata nel suggerire il contenuto horror del gioco. La diversificazione tra prodotto nipponico e statunitense si esprimeva anche nella copertina del terzo capitolo: se quello giapponese si limitava a un titolo e un sottotitolo, negli Stati Uniti uscì con una raffigurazione dell’antagonista che capeggiava sull’intera copertina riportando anche il nome, Resident Evil 3: Nemesis.

Ma ci sono anche esempi positivi, come Kingdom Hearts (2002), un prodotto nato dalla collaborazione della casa produttrice e Disney. Per il doppiaggio della versione americana furono ingaggiati celebri attori e il risultato fu che conquistò anche tutto il pubblico nipponico, al punto che venne pubblicata in Giappone un’altra versione del gioco. La peculiarità di questo caso è data dal fatto che un bel lavoro non solo ha facilitato l’ingresso del prodotto in una nuova cultura, ma è tornato anche alla cultura d’origine, invaghito della trasformazione a cui è andato incontro il gioco. A volte, nel passaggio da oriente a occidente e viceversa gli adattamenti di gusto apportati a un gioco ne coinvolgono spesso anche l’iconografia: un esempio è Crash Bandicoot e di come un prodotto sviluppato in occidente è riuscito a imporsi sul territorio giapponese. Il videogioco è caratterizzato da uno stile grafico fumettistico e pertanto il fatto che tutti i personaggi del gioco fossero disegnati con quattro dita per mano non poteva suscitare scalpore.

Crash Bandicoot 4: It's About Time
Ebbene sì, anche un gioco colorato e e innocente come Crash Bandicoot creò qualche problema nel Sol Levante.

Al contrario, in Giappone, le quattro dita per mano vengono associate alla Yakuza, mafia giapponese, i cui membri colpevoli di aver commesso errori venivano puniti con l’amputazione di un dito. Quindi per creare tale associazione, tutte le mani furono disegnate con cinque dita. Altra modifica curiosa, fu apportata a un mostro che si incontrava lungo il videogioco: nella nostra versione era stato concepito con due teste senza incontrare alcun problema, dal momento che la cultura occidentale e presenta figure mitologiche con più arti e teste. Per la cultura giapponese invece, era legata alla ferita del nucleare, come uno scherzo della natura, venendo interpretato come una mutazione genetica, e quindi il mostro apparve con una sola testa.

La traduzione rappresenta una delle parti più critiche, perché il traduttore di videogiochi, oltre a restituire il significato del testo originale, deve anche rispettare determinate richieste. A volte il testo originale, capita che vanti una caratterizzazione stilistica, una ricercatezza lessicale, sintattica che il traduttore deve cercare nei limiti del possibile di riproporre in un’altra lingua. Il testo di un videogioco spesso viene visualizzato all’interno di uno spazio grafico e quindi la traduzione non potrà risultare più estesa ma dovrà comunque rispecchiarne il senso. Si potrebbe parlare di una traduzione multimediale, perché comporta una traduzione interlinguistica, da effettuarsi rispondendo ai vincoli dettati da parte del videogioco. In questo capitolo ho cercato di evidenziare una rilevanza culturale di alcuni aspetti del videogioco, che prima di essere proposto a una nuova cultura, spesso deve essere completamente riconsiderato, coinvolgendo gli aspetti che si sono analizzati.