The Art Inside Videogames

The Art Inside Videogames #3 – L’avatar del giocatore e l’esperienza videoludica

Il videogioco attraverso gli alter ego digitali.

Shadow of the Tomb Raider
In Tomb Raider i giocatori vestono i panni di Lara Croft, una giovane archeologa inglese alla ricerca di tesori perduti in giro per il mondo.

L’avatar del giocatore

Quando il giocatore intraprende l’attività ludica, si manifesta l’avatar che secondo alcuni studi se ne possono individuare quattro tipi: il primo viene definito “assente” e l’avatar del fruitore può non essere presente oppure identificarsi nel fruitore stesso ed è il caso di videogiochi come Tetris; il secondo è “individuale” e l’avatar coincide con un personaggio ed è il caso di videogiochi di simulazione come Pac-Man o Tomb Raider; il terzo è “molteplice” quando ci sono più avatar e sono tipici nei videogiochi di guerra e di strategia, in cui vengono riprodotte le battaglie disponendo sul territorio e muovendo ogni unità bellica; il quarto è il “superindividuale” ed è il caso di quei videogiochi come The Sims in cui l’avatar è unico, ma è il giocatore che sceglie il suo destino e il suo funzionamento delle sue parti.

Molto importanti sono i nostri sensi: nei confronti degli aspetti grafico e sonoro che chiamano in causa vista e udito ci si riferisce alla percezione passiva del videogioco. Invece con il tatto si entra in un sistema di controllo, delegando la manipolazione virtuale tramite una reazione attiva agli stimoli visivi e uditivi ricevuti, che permette di considerare il giocatore come “attore” che prende direttamente parte alla rappresentazione videoludica in corso, anche se quella che viene manipolata non è pura materia digitale, ma un micro universo fatto di regole e costruzioni imposte da chi ha progettato il videogioco. Il giocatore quindi non è libero di compiere un’azione arbitraria, ma solo di scegliere un determinato tipo di azione nell’insieme di quelle previste dal game designer.

Battlefield 1
Alcuni giochi come Battlefield 1 permettono di giocare nei panni di più personaggi, in questo caso si può parlare di molteplici avatar.

In un videogioco quindi, si dirige il proprio alter-ego digitale come se si trattasse di un attore a cui si impartiscono i gesti da compiere. L’aspetto narrativo, non è altro che un elemento di contestualizzazione che può servire come incentivo a far procedere l’azione, ma il giocatore continuerà a trarre piacere dalla dinamica dell’azione stessa e non solo dall’evoluzione della trama. Nel videogioco la narrazione diacronica (quella riferita al contesto) si distingue da quella sincronica. La storia sincronica non è altro che una lista di movimenti compiuti dal giocatore, tuttavia, grazie a elementi come il manuale d’istruzioni, filmati introduttivi e di intermezzo, ogni videogioco possiede una storia diacronica per quanto semplice. La caratteristica del videogioco è quella di aderire a delle formule, orientate a costruire la vicenda su episodi forti e personaggi interessanti.

Con l’avanzamento della tecnologia è stato possibile proporre personaggi e scenari sempre più ricchi di colori e di maggior dettaglio, poiché l’ambientazione rappresenta una funzione di relazione tra gli oggetti e un mezzo per consentire il passaggio del tempo mentre un avatar attraversa lo schermo. Una buona caratterizzazione dei personaggi e la loro ricostruzione dettagliata e non casuale, si rivelano discriminanti fondamentali quando quello stesso prodotto interattivo presenti un solido impianto ludico. Nel caso di Tomb Raider (Core Design 1996), la protagonista, Lara Croft, non sarebbe potuta diventare un’icona popolare se, prima di tutto, il gioco stesso fosse stato un capolavoro di level design. Tomb Raider è uno dei tanti casi esemplari di puro piacere videoludico, che si manifesta attraverso un senso di controllo volutamente esagerato, una sorta di amplificazione dell’input che ci permette di ammirare un comportamento complesso con la semplice pressione di un pulsante.

Red Dead Redemption 2
Red Dead Redemption 2 è una delle esperienze più complesse e appaganti di sempre, anche grazie al progresso tecnologico compiuto negli ultimi anni.

L’esperienza videoludica

Il videogioco lo possiamo riconoscere non tanto come una particolare forma di gioco, quanto come un nuovo modo di giocare, una modalità offerta dalla possibilità di manipolare bit di informazione. Secondo Bittanti, nell’esperienza ludica vi sono delle caratteristiche fondamentali e riconoscibili. Una di queste è il mimetismo, in quanto l’utente è presente nell’universo di gioco sempre sotto forma di avatar (sia personaggio poligonale, un cursore o un agente invisibile come in Tetris), a seguire vi è l’effetto dello straniamento che è più evidente quanto più si avvicina a ricostruzioni fedeli della realtà. Infatti il designer di videogiochi Chris Crawford, evidenzia “In the art of computer game design” (1982), quattro momenti fondamentali che caratterizzano l’esperienza ludica: la rappresentazione, l’interazione, il conflitto e la sicurezza.

Attraverso la loro modulazione il videogioco diventerebbe un universo esplorabile in grado di creare un’illusoria libertà per il giocatore, perché è comunque confinato all’interno di situazioni già programmate. Attraverso la rappresentazione soggettiva il designer spiega che il gioco non essendo oggettivamente reale, non ricrea a livello fisico la situazione ma cerca di rappresentarla, tuttavia la situazione rappresentata dal videogioco diventa soggettivamente reale per il giocatore, che attua questo passaggio ricorrendo alla fantasia. L’interazione che è la forma più evoluta della rappresentazione e consente ai propri fruitori di esplorare liberamente i rapporti di causa/effetto, permettendo per esempio di dimostrare che il gioco non può essere considerato come una storia, poiché può essere ripetuta più volte permettendo al giocatore di cambiare costantemente strategia, a differenza di una storia che presenta dei fatti in una sequenza immutabile.

Il conflitto nasce spontaneamente dall’interazione, per il semplice motivo che il giocatore cerca di raggiungere uno o più scopi. Infine vi è la sicurezza che sta dove c’è conflitto e pericolo, e quest’ultimo implica il danno. Il gioco quindi è un artificio che offre l’esperienza psicologica del conflitto e del danno escludendo la loro realizzazione fisica. La rappresentazione per Crawford è “quando un gioco viene riconosciuto come sistema formale chiuso che soggettivamente rappresenta un sottoinsieme della realtà”, e per sistema, intende un insieme di parti che interagiscono tra di loro, formale perché governato da regole esplicite, mentre il “chiuso” vuol dire che il videogioco deve essere completo e autosufficiente come struttura. Quindi il videogioco per essere considerato tale deve presentare i quattro momenti poco fa citati, mentre la chiave di lettura utilizzata per esprimere al meglio le potenzialità del mezzo videoludico risiedono nella matrice tecnologica, cioè la manipolazione digitale tramite computer.

Shigeru Miyamoto
Shigeru Miyamoto è uno dei game designer più influenti del panorama videoludico. Dalla sua mente geniale sono nate saghe leggendarie come quella di Super Mario e The Legend of Zelda.

Negli Ottanta infatti emersero due percorsi di analisi ben distinti: da un lato i designer, che seguendo il pensiero di Crawford, tentavano di trovare strumenti analitici e classificatori per un medium fondamentalmente nuovo; dall’altro psicologi infantili e sociali descrivevano il videogioco come un oggetto potenzialmente nocivo. I contributi di questa seconda tipologia rimasero prevalenti fino alla seconda metà degli anni Novanta, quando con la nascita della disciplina dei game studies (ludologia) si è riusciti a spostare l’attenzione verso approcci maggiormente costruttivi data anche la progressiva diffusione del medium e all’innalzamento dell’età media dei giocatori. Un altro campo di studi da nominare, e legato agli approcci sociologici e culturologici, è la game culture e si tratta di un tentativo di rendere conto delle attività paratestuali dei giocatori e al contempo delle loro routine comunicative all’interno dei videogiochi.

Il game designer, come l’artista, prima di cimentarsi nella creazione dell’opera, dovrà saper padroneggiare alla perfezione il mezzo su cui lavora, e il computer si dimostra lo strumento ideale per la creazione di un gioco. In generale è l’autore di giochi (usato appunto nella forma inglese game designer) è un professionista indipendente o affiliato a una ditta responsabile dell’ideazione delle meccaniche o il regolamento di un gioco. In una moderna casa editrice intervengono altre figure come curatori editoriali o illustratori, che modificano la bozza originale del gioco, ma questo non li rende comunque autori. Il termine può riferirsi sia ad autori di videogiochi, sia di giochi di concezione più tradizionale, come giochi da tavolo o di carte. Nel campo dei videogiochi si parla più propriamente di sviluppatori di videogiochi e il termine game designer è generalmente riferito a una figura del team di sviluppo che si occupa specificatamente della scrittura delle regole e della struttura dello stesso, caratterizzato anche dalla sua flessibilità.

Inoltre, data la natura digitale, attraverso il computer (intesa come intelligenza artificiale) ogni videogioco può essere modificato durante la performance come per esempio gli aiuti delle guide nei videogiochi di corsi, il cambio di inquadratura negli sparatutto, di velocità di gioco o il livello di difficoltà. La seconda caratteristica del PC riguarda la gestione delle responsabilità amministrative del gioco, ovvero diventa arbitro delle risorse e permette anche l’azione in tempo reale eliminando la necessità di rispettare i turni come nei giochi da tavolo ed è la terza caratteristica. In questo ruolo di demiurgo, il computer può limitare l’accesso delle informazioni, così da stimolare l’immaginazione nella risoluzione degli obiettivi o enigmi posti dal gioco ed è la quarta caratteristica. Il quinto punto riguarda la possibilità di creare e gestire sfidanti artificiali, mentre il sesto punto riguarda la connessione tra il computer e internet per trasferite i dati e comunicare con i giocatori di tutto il mondo. Oltretutto ciò un game designer quando progetta deve essere consapevole dei limiti tecnologici, in modo di poterli sfruttare a proprio vantaggio.

 Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty
Nella saga di Metal Gear Solid sono stati usati diversi stratagemmi per superare i limiti hardware delle console.

Infatti PlayStation 2 è un esempio chiarissimo in quanto per potenza di calcolo limitante impediva che su schermo ci fossero più di una mezza dozzina di non-player characters (NPC) attivi contemporaneamente e questa limitazione si riversava anche sui videogiochi, ma c’era anche chi era riuscito a trasformarlo in un elemento strategico: un esempio è Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty (Konami, 2001), siccome la dinamica del gioco premiava un atteggiamento non cruento ma improntato sull’azione furtiva, se il giocatore si limitava a stordire gli avversari invece di ucciderli, era libero di agire indisturbato per un determinato periodo di tempo, risolvendo così la limitazione di calcolo di PlayStation.

L’esperienza videoludica esercita sul giocatore un rapimento dell’immaginazione, perché si manifesta un coinvolgimento totale come nell’esperienza creativa, facendo sentire il giocatore padrone delle sue azioni ed è in quel momento che si attenua la distinzione fra il soggetto e il suo ambiente, fra stimolo e risposta, o fra presente, passato e futuro. Il presupposto perché l’attività videoludica riesca a trasformarsi in flusso risiede nell’intensità dello scambio di informazioni tra utente e software, cioè l’interattività. L’interfaccia di controllo si adatta all’esplorazione dell’ambiente per l’utente che riesce in ogni momento a valutare come raggiungere un determinato obiettivo o luogo e nonostante si riveli un rigoroso labirinto tridimensionale caratterizzato dalla precisione geometrica, offre allo stesso tempo, l’illusione di trovarsi in un ambiente esplorabile in ogni sua dimensione, e questo rappresenta l’ideale al quale dovrebbero aspirare in genere tutti i videogiochi.

La coerenza relativa al sistema di sanzioni riguarda il livello di sfida proposto in ciascun gioco, mentre sul coinvolgimento del giocatore intervengono direttamente il tipo di ricompensa e la frequenza con cui questa viene elargita. Perché se il giocatore viene premiato per non aver compiuto nulla, l’attività ludica diventa ben presto noiosa, per ottenere il massimo effetto, una ricompensa deve arrivare nel moneto in cui il giocatore ha dato prova della propria abilità, ovviamente il livello di sfida deve comunque essere sempre alla portata del giocatore. Quando si gioca si ha anche la consapevolezza dell’artificiosità del conflitto che ci si ritrova ad affrontare e quindi non solo si e pronti ad osare di più, ma si è anche disposti ad accettare il fatto che, trattandosi di un’attività comunque non pericolosa, il livello di difficoltà sia lievemente più elevato rispetto alle proprie abilità.

PlayerUnknown’s Battlegrounds
PlayerUnknown’s Battlegrounds è uno dei maggiori esponenti dei battle royale, un genere videoludico che stimola la competizione tra i singoli giocatori o squadre, offrendo un livello di sfida sempre appaggante.

Il giocatore di conseguenza deve essere invogliato a proseguire il percorso con difficoltà crescente stimolato da un coerente sistema di sanzioni che consentono al giocatore di perseverare nella ripetizione della performance fino a quando non avrà acquisito l’abilità necessaria per affrontare la difficoltà posta. Quando tutto ciò si verifica, ecco che il rapimento dell’immaginazione diviene totalizzante e il videogioco assolve il suo compito di intrattenimento. Questa relazione tra utente e sistema viene racchiusa nel termine “giocabilità”, in inglese “gameplay”, praticamente usato per descrivere come si gioca al titolo. Ogni strategia è il frutto di una successione di scelte mai banali, che si compiono nell’assunzione di diverse tattiche. Un buon videogioco deve dare la sensazione di poter essere battuto compiendo l’inaspettato.

Attraverso gli obiettivi perseguibili dal giocatore posti dal videogioco si possono ridurre a cinque categorie fondamentali:

  1. raggiungere qualcosa per primi, quindi un punteggio finale e un traguardo.
  2. esplorare e/o occupare dei territori, ovvero esplorale topograficamente e dominarlo.
  3. sopraffare/eliminare gli avversari o il nemico.
  4. risolvere un enigma.
  5. scoprire/ottenere un oggetto o una serie di oggetti, collegati alle prime due categorie come effetto collaterale.

In giochi come PONG o Tetris l’obiettivo è unico: raggiungere il punteggio più alto. Già in Pac-Man o Super Mario Bros c’è una complessità superiore, ovvero per ottenere il punteggio più elevato nel primo è necessario ripulire il labirinto dai pallini, mentre per il secondo bisogna raccogliere le monete e portare a termine il livello. Sono attività che rientrano nella categoria di esplorazione e occupazione, e per fare questo è necessario eliminare il nemico che si incontra lungo la strada e quindi si richiama la quinta categoria. Un videogioco che racchiude tutte le categorie è Tomb Raider, dall’originale alla recente trilogia trasformata in reboot, che si concentra sull’esplorazione di caverne, templi, antiche rovine e quindi fa riferimento all’esplorare un territorio e studiarlo; per procedere all’interno del gioco poi è tutta una questione di risoluzione di enigmi, scoprire luoghi e ottenere oggetti, eliminare il nemico, raggiungere ancora altri oggetti e luoghi nel minor tempo possibile in modo da ottenere un punteggio alto e un eventuale bonus alla fine di un capitolo o livello.

Super Mario Galaxy
L’interazione offerta dai videogiochi è alla base del loro successo, specie se rapportata a quella di altri medium intrattenitivi.

Ovviamente poi vi sono delle competenze richieste al giocatore per soddisfare i requisiti dell’interazione, cioè la capacità di reagire con l’interfaccia e quindi superamento di loro, la trama. In generale, il gameplay è considerato come l’esperienza complessiva di giocare un videogioco escludendo i fattori di grafica e del sonoro, di saper utilizzare in maniera corretta una periferica di controllo per poter effettuare scelte e azioni durante il videogioco. L’utente deve essere in grado di mettersi in relazione con quanto accade all’interno del videogioco e quindi accettare il sistema di regole esplicite: come dover saltare per non cadere in un burrone o nel vuoto, evitare i proiettili, e le regole implicite: come distinguere i buoni dai cattivi, scegliere l’azione che si ritiene più adatta al raggiungimento dell’obiettivo.

Generalizzando riusciamo a distinguere tre abilità fondamentali, spesso combinate all’interno dei prodotti videoludici: l’abilità visiva-motoria, cioè rispondere nel minor tempo possibili agli input visivi, l’abilità logica-spaziale nel riorganizzare l’ambiente e vagliare i vari elementi a disposizione per proseguire il gioco e infine la mnemonica-ritmica ovvero l’apprendimento di sequenze di azioni che devono essere ripetute per proseguire il livello all’interno del videogioco. Uno dei motivi per cui non ha più senso parlare oggi di diversi generi di gioco nei confronti delle manifestazioni videoludiche risiede nel fatto che le abilità richieste non si prestano più in maniera così netta, ma diventano tutte quasi necessarie.

Grand Theft Auto III
Ancora oggi ci sono molti pregiudizi verso il mondo videoludico, spesso innescati da videogiochi violenti come Grand Theft Auto.

A questo punto ci si può domandare che effetto possono avere i videogiochi sui fruitori. A tal proposito esistono due linee di pensiero nei confronti del medium televisivo che possiamo riconoscere come “mimesi” e “catarsi”. Il pensiero della mimesi si basa sul fatto che già la televisione, come mezzo di rappresentazione simbolica della realtà induce un processo imitativo; l’interattività delle immagini dei videogiochi implica un rapporto di identificazione ancora più intenso rispetto alla visione passiva. Mentre il pensiero della catarsi si fonda, attraverso la spettacolarizzazione degli eventi che nella TV induca una lungimiranza critica, mentre il videogioco permette di sviluppare una mente ipertestuale, ovvero che permette di usare strategie cognitive parallele e consente di acquisire competenze informatiche indispensabili per agire nella sfera dati.

Il videogiocatore riesce a manipolare questa magia, impara a conoscerne i limiti e a prevederne le dinamiche. La scritta game over non è la fine del gioco, ma indica che è possibile ricominciare e tentare una nuova strategia oppure per esempio cambiarne la difficoltà per aumentare le ricompense. Il videogioco, pur presentando alcune caratteristiche ben codificate, non ha ancora raggiunto la piena maturità espressiva, poiché dipende dalla dimensione tecnologica e dalle esigenze di natura commerciale. Se a livello di opinione pubblica permangono pregiudizi e scarsa considerazione è perché non ancora stati tracciati nettamente i confini del videogioco come oggetto di studio.