Final Fantasy VII Remake

Final Fantasy ai tempi del contagio e delle vacanze

Il tema del viaggio analizzato in chiave Final Fantasy, con uno sguardo rivolto all'attuale emergenza sanitaria.

Qual è uno degli elementi che ha sempre caratterizzato serie videoludiche come Final Fantasy? Il progressivo disvelamento di un mondo da esplorare. La struttura di fondo di un gran numero di GDR è così, del resto: si inizia in un piccolo villaggio, o comunque in un ambiente ristretto, geograficamente delimitato, in cui il proprio protagonista ha vissuto per diverso tempo. E al di fuori c’è l’ignoto, tutto da esplorare. Si è parlato di giochi di ruolo, ma in realtà è una struttura di fondo ben più ampia. È il principio di fondo del “viaggio dell’eroe” di cui hanno parlato figure come Christopher Vogler.

Al fondo di moltissime storie c’è un elemento di conflitto che spinge l’eroe, il protagonista, a uscire da quello che è il suo “mondo ordinario”, quello in cui ha sempre vissuto e con cui noi veniamo in contatto all’inizio della storia, per lanciarsi in un “mondo straordinario”, ricco di insidie e di prove, ma anche di ricompense. Funziona così più o meno da sempre. Dai miti ai film di Hollywood. I videogiochi di ruolo come Final Fantasy, tuttavia, aggiungono un elemento in più: siamo noi giocatori a dettare molte delle tempistiche esplorative, talvolta anche con una certa libertà di movimento spaziale.

Possiamo permetterci missioni secondarie, sessioni di farming contro i nemici di una determinata zona, o anche solo un generale ‘cazzeggio’, un vagabondaggio senza una precisa meta. Comportarci insomma come un flâneur digitale, richiamando quella figura baudleriana di passeggiatore svagato che cammina per le vie di una città senza uno scopo preciso, lasciandosi cogliere dallo stupore che, di quando in quando, un certo luogo può suscitargli.

Final Fantasy VII Remake

Siamo turisti con grandi possibilità di scelta, insomma, quando ci muoviamo in un videogioco come Final Fantasy. Eppure, proprio come gli effettivi turisti, verrebbe da dire, finiamo sempre per seguire il percorso prestabilito, quello che qualcun altro ha selezionato per noi. Verrebbe da pensare che tutto questo sia una macchinazione da vacanze organizzate, una bieca invenzione delle compagnie turistiche. Ma in realtà il fenomeno è piuttosto antico. Pensiamo per esempio ai viaggi in Italia che andavano di moda fra la nobiltà europea nei secoli passati: tantissimi di questi viaggiatori seguirono per decenni sempre gli stessi percorsi, con le stesse tappe, che già qualcun altro prima di loro aveva percorso e consigliato.

Poi, ogni tanto, saltava fuori un innovatore che cambiava strada e segnalava una nuova località, suscitando magari nuovo interesse in coloro che leggevano i suoi resoconti di viaggio, e che subito si affrettavano a copiare questa deviazione (sul fenomeno si veda il saggio “Viaggio in Italia” di Attilio Brilli). Nei videogiochi, spesso, funziona un po’ così. Finiamo per essere viaggiatori oziosi, un po’ assopiti, che si lascian guidare da qualcun altro. Non tanto da coloro che hanno percorso quel viaggio prima di noi, come nel caso della nobiltà europea, ma dagli sviluppatori stessi. Lasciamo che icone e indicatori ci guidino passo dopo passo verso la meta successiva. Perché in fondo è più comodo ed economico, siamo fatti così. Ma manteniamo comunque la nostra libertà esplorativa, almeno parzialmente, molto più di quella che avremmo durante la fruizione di altri prodotti mediali.

Quando leggiamo nei Promessi Sposi che Renzo Tramaglino, in viaggio verso Milano, a un certo punto si guarda indietro e vede, alle sue spalle, il familiare profilo del monte Resegone, il tempo che Renzo può dedicare (e noi con lui) a questa visione nostalgica non è negoziabile ma è rigidamente fissato dal suo autore. In videogiochi come Final Fantasy (e non solo), al contrario, possiamo (quasi) sempre guardarci alle spalle, per tutto il tempo che vogliamo, e sorprenderci della distanza percorsa, riconoscendo laggiù, sul profilo dell’orizzonte, un elemento caratteristico del paesaggio, che identifica dove ci trovavamo prima. E allo stesso modo, guardando in avanti, possiamo intravedere ciò che ci attende. Vediamo un monte, o un castello, o una città, in lontananza, vicino alla linea dell’orizzonte? Già ci proiettiamo laggiù col pensiero, non vediamo l’ora di avanzare per scoprire cosa ci potremo trovare.

Final Fantasy VII Remake

E così, cammina cammina, per usare la classica espressione formulaica delle fiabe, col tempo si finisce per vedere tutto il mondo di gioco. Un insieme che però non sarà mai un’effettiva tonalità. Perché sappiamo che c’è sempre un oltre, uno spazio interdetto, che si apre al di là dei mari, dei monti e delle selve che fanno da confine al mondo di gioco, alla sua parte effettivamente esplorabile. Davanti a questo momento c’è una poesia di Giorgio Caproni che mi torna sempre in mente: L’ultimo borgo. Parla di un gruppo di persone che, dopo un lungo e faticoso viaggio («La strada / era stata lunga. / I sassi. / Le crepe dell’asfalto. / I ponti / più d’una volta rotti / o barcollanti»), giungono alla sera in un borgo, un paesello, che scoprono essere l’“ultimo”. Si può andare oltre? Cosa ci sarà? «Un tratto / ancora, poi la frontiera / e l’altra terra: i luoghi / non giurisdizionali».

È una poesia che parla di morte, e di fede, ma che si presta piuttosto bene anche in rapporto ai videogiochi. Sarà capitata a molti, infatti, quella sensazione dolceamara di quando si è giunti al limite estremo di un videogioco. Quando si capisce che oltre non c’è niente, o perlomeno niente di esplorabile. I territori visitabili sono esauriti, tutto ciò che accadrà da lì in avanti sarà circoscritto in quello spazio. Qui dentro c’è un po’ uno dei grandi paradossi della fruizione videoludica (ma non solo): quando si è presi da una storia ci si lascia trasportare da essa, ci si lancia a capofitto nel voler esplorare quel mondo, spinti dal desiderio di vedere e conoscere sempre di più, il prima possibile. Una sorta di bulimia esplorativo-conoscitiva che, nell’appagarci, finisce anche per velocizzare il momento della fine, quello in cui non c’è più niente da vedere.

Final Fantasy VII Remake

Cito un ricordo, fra i molti possibili, temporalmente più vicino di altri, da Final Fantasy XV. Ricordo tutt’ora con molta lucidità, a distanza di parecchio tempo, la prima volta che ho visto il mare vicino al faro, percorrendo l’autostrada che costeggia le spiagge e le scogliere meridionali. Una sconfinata distesa d’acqua, illuminata da un sole al tramonto, che rintuzzava la speranza di un mondo vasto, sterminato, ancora tutto da esplorare. Ma soprattutto pieno di simili momenti di bellezza. Ho usato questo termine, “bellezza”, che è piuttosto generico e fin troppo abusato, nella retorica del cercare la bellezza nelle cose. Sarebbe meglio dire, per quanto potrebbe apparire esagerato ad alcuni, che è stato un momento di estasi.

Un istante in cui, dinnanzi a quel mare, tutto si è fermato. Non solo nel gioco, ma anche al di fuori. Ero totalmente immerso in quella vista. E lo ero non tanto e non solo perché era un bel paesaggio, ma perché la visione risvegliava in me il desiderio dell’esplorazione, la speranza di un mondo che appariva infinito. Scoprire poi, in un secondo momento, che solo un piccolo tratto di spiaggia era realmente esplorabile è stato certamente un contraccolpo piuttosto forte. Ma, fin quando è durata quell’illusione di slancio in una esplorazione infinita, la piacevolezza estatica dell’esperienza ludica è stata fortissima.

Final Fantasy VII

E il contagio? In questo periodo, a causa del Covid-19, molte persone si trovano a casa. Magari non proprio in quarantena, ma hanno comunque ridotto i loro effettivi viaggi. Per chi ha tempo e modo, allora, un videogioco di carattere esplorativo potrebbe essere il riempitivo ottimale per i momenti in cui si è a casa. Un ampio mondo digitale, magari proprio quello di un episodio di Final Fantasy, che si squaderna progressivamente davanti ai propri occhi. Un’esperienza da vivere sempre in bilico fra il desiderio di conoscer sempre di più, fino ai confini del mondo, e il timore di raggiungere effettivamente quei confini, senza potersi spingere oltre.

Un’occasione ideale, insomma, per vivere un’esperienza videoludica in modo nuovo. Non più con l’animo del turista, che vive un’esperienza preconfezionata, da cui tirar fuori qualche foto/santino da mostrare ad amici e parenti, ma con lo spirito dell’avventuriero, pronto a lasciarsi travolgere e coinvolgere in un turbinio di scoperte, deviazioni dal percorso tracciato e rivelazioni epifaniche. Si potrebbe scegliere, magari, proprio la demo del remake di Final Fantasy VII, gioco che ha da sempre anche aperto a diversi temi ecologici, altro argomento certamente molto sentito, negli ultimi tempi.

Cosa c’è di meglio, in fondo, di godersi l’esplorazione di un mondo immaginario, sapendo anche che si può cogliere al suo interno un elemento di ecocritica (per utilizzare il termine che definisce quel settore della critica letteraria dedito a un’analisi ecologico-ambientale dei testi)? Il contrasto ideale, insomma, con l’immobilità generalizzata di questo momento. Perché la commozione per lo stupore di un’estatica esperienza paesaggistica può giungere facilmente, grazie ai videogiochi, anche restando nella propria stanza.


Francesco Toniolo, collaboratore di VGN.it e docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha recentemente pubblicato un saggio sull’universo di Final Fantasy intitolato “Cristalli di sogni e realtà. La cultura di Final Fantasy. Per maggiori informazioni sul volume dedicato alla storica saga di Square-Enix vi invitiamo a visitare la pagina dedicata a Cristalli di sogni e realtà. La cultura di Final Fantasy.