Alzi la mano chi di voi è rimasto del tutto impassibile nell’apprendere che Call of Duty: Black Ops 4 non avrebbe contenuto una campagna single player per ferma volontà di Activision. Come fazioni opposte all’interno di uno stesso schieramento, i fan della saga sparatutto per eccellenza hanno inondato forum e social di critiche ma anche di consensi per quella che è risultata essere una svolta importantissima per la serie. Fatto sta che, per la prima volta dopo anni, ci siamo ritrovati a dover fare a meno di un elemento che ha praticamente dato genesi a quella che è riconosciuta come una delle serie sparatutto più famose di tutti i tempi, al pari di mostri sacri come Doom, Battlefield o Wolfeinstein. Ma Activision ha dimostrato di saper il fatto suo e in tutta risposta ha tirato fuori il cosiddetto asso dalla manica, dando mansione a Treyarch di sviluppare una modalità battle royale secondo lo stile caratteristico tipico della saga.
Dopo un viaggio durato svariati mesi è finalmente giunta l’ora di tirare le somme su Call of Duty: Black Ops 4: abbiamo seguito le vicende di questo capitolo sin dal suo annuncio, avvenuto a maggio, provandolo in lungo e largo in ogni sua build e sfumatura, da Los Angeles a Colonia, passando per il divano di casa grazie alle tante sessioni di prova organizzate da Activision per far provare la sua nuova creatura a milioni di giocatori. Abbiamo dapprima analizzato la modalità battle royale Blackout, spostando poi il focus sulla ricca modalità Zombi. Eccoci dunque giunti quindi al terzo e ultimo atto di questa avventura, nel quale ci occuperemo della componente multiplayer presente in Black Ops 4 e arriveremo a fornirvi così un giudizio generale sulle tre esperienze di gioco da noi provate.
L’INNOVAZIONE INCONTRA LA TRADIZIONE
Alle fondamenta del gunplay ritroviamo le solide basi già ampiamente apprezzate con Call of Duty: WW2, che ha visto protagonista il ritorno della filosofia “boots on the ground” in favore di un gameplay di matrice futuristica che aveva iniziato a mostrare i primi segni di cedimento. Insomma, per il momento jetpack, esoscheletri e robot possono rimanere tranquillamente in soffitta. C’è però un elemento di rottura con il passato che ha suscitato non pochi interrogativi sin dal suo annuncio, ovvero l’abolizione del ripristino automatico della salute, sostituito dalla necessità di curarsi manualmente con un apposito accessorio. Questo “cambiamento epocale” ha portato in dote anche un nuovo elemento mostrato a schermo, quello relativo allo status del nostro personaggio, espresso in un valore numerico di centocinquanta punti salute.
Il time to kill è stato di conseguenza tarato ulteriormente verso il basso, consentendo però l’applicazione di questa nuova meccanica sia durante lo scontro che alla fine di esso. Entrano quindi in scena elementi come la scelta del giusto tempismo nell’uso dello strumento di cura, con relativo tempo di attesa prima di poter essere utilizzato nuovamente, che rendono gli scontri più tattici e imprevedibili. Piccole aggiunte come la nebbia di guerra, grazie alla quale i nemici vengono mostrati sulla minimappa solo se nel nostro campo visivo o quello degli alleati, stratificano ulteriormente un gameplay che riesce a miscelare sapientemente frenesia, spettacolarità e tattica. Siamo ovviamente lontani dal gameplay hardcore e punitivo scelto da Ubisoft per Rainbow Six: Siege, ma le contaminazioni tattiche apportate al gameplay esaltano ancor di più questo elemento, mettendo di nuovo al centro di tutto l’abilità pad alla mano del giocatore. Adesso uccisioni e assist vengono calcolati come una cosa sola, un po’ come succede con Overwatch, segno della volontà di voler avvicinarsi sempre di più a quella tipologia di titoli, facendosi liberamente ispirare dal capolavoro Bilizzard anche per quanto riguarda il replay della miglior giocata mostrata a fine round/match.
Altro elemento di congiunzione che sancisce il passaggio di consegne tra Black Ops 3 e questo capitolo è da ricercare nel ritorno del sistema di creazioni classi Pick 10. Riproposto a fasi alterne nel corso degli ultimi anni, questa caratteristica lascia la più totale libertà ai giocatori nell’assemblare il proprio armamentario, sfruttando appunto dieci slot da riempire con armi, perk e accessori a secondo delle necessità e gusti. Il nuovo che avanza ma senza dimenticare la tradizione. Una scelta per certi versi comoda dato che modificare radicalmente quello che è ormai il gameplay distintivo della serie sarebbe stato con molta probabilità uno shock troppo difficile da gestire da parte dei fan della serie. Ecco quindi che grandi cambiamenti come l’assenza di una campagna e l’introduzione della cura manuale sono stati dapprima criticati ma poi metabolizzati anche abbastanza velocemente. Siamo comunque sulla strada giusta e in termini qualitativi-contenutistici ci troviamo di fronte al miglior Call of Duty uscito in questa generazione, che si avvicina ai fasti di un tempo conosciuti dalla serie nella scorsa generazione.
UN FORTE SENSO DI DEJA-VU
A mappe nuove di zecca come Payload e Gridlock, si sono aggiunte quelle considerate storiche come Slums o Summit, ma l’elenco di quelle inedite è comunque buono in termini numerici, portando a quattordici il numero degli scenari giocabili in questo capitolo. Il level design delle nuove proposte offre una discreta varietà in termini di grandezza, anche se alcune risultano un po’ troppo strette e di conseguenza caotiche, soprattutto in quelle modalità dove i giocatori sono chiamati a radunarsi in massa nei pressi di un obiettivo. Non tutte le mappe però sono invecchiate bene come le altre, e rigiocarle in un contesto moderno, ha evidenziato alcuni limiti di level design, attribuibili in parte anche a una gestione errata dei punti di respawn: è il caso di Firing Range che, soprattutto nelle modalità che differiscono dal classico deathmatch, è un tripudio costante di uccisioni che si susseguono in maniera incontrollata, date le dimensioni tutt’altro che generose della mappa. Discorso inverso per Summit e Jungle che tengono botta anche a distanza di anni, grazie soprattutto a un design certosino e alle loro dimensioni generose.
Non manca poi la solita, incredibile, quantità di armi, accessori, perk e serie di uccisioni che è possibile sbloccare attraverso un sistema di progressione lineare e funzionale. Completano il quadro poi statistiche di ogni genere, editor di emblemi, partite private e split-screen per due giocatori. Rispetto al passato si nota un bilanciamento forse migliore sotto questo aspetto, dove le mitragliette appaiono finalmente non efficacissime sulla lunga distanza mentre alcuni accessori risultano fin troppo determinanti nell’economia di gioco. Tanta carne al fuoco sì, ma anche qualche contenuto riciclato di troppo, inserito probabilmente tanto per accontentare i veterani della serie più che per rimpolpare un’offerta di contenuti comunque molto ampia. Piuttosto, resta da capire in che modo Treyarch saprà supportare le tre modalità cardine sul lungo periodo, fatta eccezione per i contenuti a pagamento, dovendo questa volta occuparsi anche del suo battle royale: se l’obiettivo è quello di imporsi su Fortnite e PUBG allora non dovranno mancare contenuti e supporto da parte degli sviluppatori.
GLI SPECIALISTI DELLA GUERRA
Apparsi per la prima volta tre anni fa in Black Ops 3, gli specialisti ritornano in questo nuovo capitolo arricchendosi di nuove caratteristiche improntate al gioco di squadra. Questi dieci soldati d’élite dispongono tutti di un’abilità, nient’altro che accessori come granate, rampini e sensori rivelatori, e una sorta di super che varia a seconda del personaggio. Entrambe sono soggette a tempi di ricarica, con granate e simili che ovviamente si ricaricheranno molto più velocemente rispetto all’altra abilità speciale. Sorprende e non poco la cura riposta da Treyarch nel proporre specialisti con stili di gioco diversi e pensati per essere sfruttati al massimo a seconda di come si evolve la partita, aprendo a scenari tattici che mai si erano visti nella serie: non solo personaggi votati all’attacco ma anche di supporto o specifici per difendere gli obiettivi. Ruin ad esempio può contare su un rampino con cui spostarsi velocemente lungo la mappa e cimentarsi in un devastante attacco ad area che colpirà tutti i nemici situati nel punto di impatto, altri difensivi come Nomad sono indicati per tenere a debita distanza gli avversari, mentre Recon è il classico personaggio da supporto specializzato nel rivelare la posizione dei nemici sulla mappa grazie a un sensore da applicare alle pareti o fornendo a tutti una visione dei bersagli attraverso le architetture della mappa.
Anche in questo ambito troviamo un legame con il terzo capitolo della serie, con specialisti già visti tre anni fa. La maggior parte di essi è stata dunque riproposta, ma non manca qualche new entry come Ajax, Torque e Recon. Questa volta gli sviluppatori hanno mostrato un impegno maggiore nel donare a ognuno di essi una sorta di background, con tanto di filmati di accompagnamento che ci racconteranno aspetti della loro personalità. Abbiamo inoltre imparato a conoscerli tutti attraverso dei tutorial davvero ben ideati, corredati da situazioni pensate appositamente per testarne le abilità per poterle poi sfruttare al meglio durante le partite online. L’aver adottato un modello a metà tra Rainbow Six: Siege e Overwatch ha certamente dato i suoi frutti, creando un sistema di ruoli appena accennato ma totalmente libero nell’interpretazione da parte dei giocatori. Non mancheranno poi bilanciamenti e aspetti da rivedere anche per quanto concerne gli specialisti, andando a modificare un po’ quello che è il loro meta a seconda dei feedback dei giocatori e l’utilizzo di quel personaggio piuttosto che dell’altro.
Per un analisi ancora più approfondita su questo argomento potete consultare la nostra guida dedicata agli specialisti e alle loro caratteristiche.
GIOIE E DOLORI
Sul versante modalità siamo pressappoco in linea con i capitoli precedenti, fatta eccezione per Furto e Controllo che aggiungono un po’ di pepe e varietà rispetto a quelle già presenti. Nella prima bisogna recuperare un borsone pieno di soldi e procedere alla sua estrazione, il tutto con una sola vita a disposizione per round e iniziando la partita con soltanto una pistola in dotazione: uccidendo gli avversari o estraendo il malloppo si otterranno crediti con cui acquistare armi, killstreak ed equipaggiamenti sempre più potenti. La seconda invece prevede l’alternanza di attacco e difesa nelle due postazioni con un numero di rientri fissato a trenta e la possibilità di vincere la partita portando a zero il contatore avversario o conquistando e difendendo a turni i luoghi designati entro lo scadere del tempo. Furto è quella che tra le due ci ha convinto maggiormente, ponendosi come una divertente alternativa al classico Cerca e distruggi mentre la seconda è risultata fin troppo statica nelle meccaniche, anche se sempre piuttosto piacevole da giocare.
Con un certo disappunto però ci siamo dovuti scontrare con quei piccoli e grandi difetti che la serie proprio non riesce a scrollarsi di dosso già da qualche anno a questa parte. Alla mancanza di server dedicati ormai ci siamo ampiamente abituati, anche se la speranza è l’ultima a morire, ma è impossibile non rimanere indifferenti circa la gestione dei punti di respawn, spesso capaci di generare una certa frustrazione dopo aver subito l’ennesima uccisione da un nemico sistematicamente posizionato alle nostre spalle. Permane quindi qualche aspetto poco rifinito e un bilanciamento generale da limare ulteriormente, niente insomma che una ricca patch non possa sistemare.
Avevamo già rimarcato la necessità di un nuovo motore grafico dopo aver analizzato le performance grafiche riguardanti la modalità Blackout che allo stato attuale, almeno su PS4 Pro, fatica a raggiungere un frame rate stabile. 60fps che invece il titolo riesce a garantire quasi sempre nel comparto multigiocatore, fluido in ogni frangente; qualche incertezza invece la si nota nel caricamento di alcune texture, che testimoniano comunque una qualità generale discreta che tocca il punto più alto con i filmati dedicati agli specialisti. Se confrontata con il capitolo dell’anno scorso, la palette cromatica appare più armoniosa, con l’uso di colori più accesi: se in WW2 l’aggiunta di elementi gore era stata giustificata dalla drammaticità evocativa del secondo conflitto mondiale, Black Ops 4 prosegue comunque su quella strada: smembramenti, anche multipli, di gamba e braccia sono frequenti nel comparto multigiocatore e in quello Zombi. In ogni caso, in fase di avvio o in seguito, i giocatori più sensibili potranno sempre e comunque scegliere di censurare tali elementi.