Road to Battlefield V – Le Donne della Seconda guerra mondiale

La storia non è fatta da soli uomini: anche le donne hanno cambiato il mondo in tempi di guerra.

Con l’arrivo di Battlefield V sui nostri schermi, l’attesa dei vari fan si fa via via più spasmodica, smaniosi di calcare alcuni dei più famosi campi di battaglia della seconda guerra mondiale, soprattutto dopo l’ottimo lavoro fatto con Battlefield 1 e la sua modalità Storia. Tuttavia, per quanti sforzi ci siano dietro la sua realizzazione, Battlefield V è ben lontano dall’essere una trasposizione perfetta di quella che è stata realisticamente la Seconda guerra mondiale, principalmente perché ricade nel modello che utilizza questi conflitti come mezzo intrattenente, tarato per far divertire il pubblico e non per farvi vivere in maniera accurata ciò che i soldati vivevano in quei sanguinosi campi di battaglia.

Nonostante questo sia un punto molto chiaro a chiunque voglia condurre un’analisi di questo prodotto o lo segua da un abbondante lasso di tempo, una delle polemiche mosse più ferocemente contro il nuovo capitolo della serie è quella di aver incluso delle donne soldato tra le sue fila, rendendole perfino centrali nella storia e dedicandogli l’immagine di copertina. Non si tratta certo di una novità per il franchise, anche perché in Battlefield 1 è successa la stessa cosa quando uscì “In the Name of the Tsar“, eppure l’utenza si è infervorata più del solito, reclamando a gran voce una fedeltà storica perfetta che mai è esistita nella serie.

Come detto nell’apertura, il punto di Battlefield è quello di avvicinarsi il più possibile all’ambientazione scelta ma, al contempo, alterando dove possibile per diversificare il gioco, rendere la storia adatta all’intrattenimento, favorire le meccaniche di gameplay e, infine, la libertà creativa. In questo caso, la presenza delle donne ricade in queste scelte arbitrarie insieme alla gestione degli arti mozzati sostituiti da oggetti di fortuna e alle capacità miracolose dei medici che rialzano i soldati con una semplice iniezione. La domanda che rimane da chiederci però è: le donne hanno mai effettivamente combattuto nella seconda guerra mondiale? È conoscenza comune vedere la figura femminile come una sorta di crocerossina negli accampamenti e nelle città, dedita alla cura dei soldati che tornano feriti dalle loro lotte. Ma nel gioco le vediamo, invece, imbracciare i fucili e riempire di pallettoni i soldati nemici e ciò, per chi non si è mai preso la briga di approfondire, può risultare “strano”. Invece, come dimostreremo, non si è trattato di alcuni casi isolati ma, piuttosto, esistono esempi di grandi donne che hanno servito il loro paese direttamente in prima linea, diventando perfino famose per le loro capacità belliche.

QUOTE ROSA TINTE DI ROSSO

Per quanto la Seconda guerra mondiale sia stata un evento particolarmente cruento per la storia della nostra razza, è diventata una sorta di “trampolino di lancio” per la figura femminile americana. Prima del 1940, la donna doveva restare in casa mentre il proprio marito si dedicava alla nobile arte di uccidere il prossimo, ma con l’arrivo del secondo conflitto, a un certo punto le potenze mondiali capirono che servivano “tutte le risorse possibili” per fronteggiare i propri avversari. L’America in special modo, con la sua politica patriottica ed espansiva, aveva un estremo bisogno di ognuno dei suoi cittadini per poter essere la vincitrice indiscussa della guerra su ogni fronte.

Questo reclutamento di massa creò un enorme buco nel settore lavorativo americano, il che permise alle donne di entrare nel mondo del lavoro ricevendo un vero stipendio e uscendo, finalmente, dalle claustrofobiche mura della propria abitazione. Questo fu un evento epocale per la storia dei diritti femminili, seppur nel 1940-45 fu ancora solo un inizio e con diverse complicazioni da non sottovalutare come l’inadeguatezza delle strutture per accudire i figli delle madri lavoratrici. Tra le 5 milioni di donne che ottennero un vero e proprio lavoro, 350.000 americane (circa) ottennero delle mansioni nell’esercito. La fetta più grossa andò alla marina e all’aviazione, dove potettero diventare piloti, tecnici, chimiche e molte altre posizioni importanti sia attive che passive nei riguardi dell’effettivo combattimento. Il problema maggiore d’inclusività rimaneva comunque nelle minoranze, infatti le donne afro-americane furono a stento ammesse a stento a bordo delle navi della marina solamente nel 1945. In un certo senso però, le donne americane venivano comunque trattate come tali, con diverse pressioni da parte del governo sul mantenere a tutti i costi la loro immagine legata alla bellezza, credendo che aiutasse enormemente il morale delle truppe caricate a testosterone. Non a caso, lo Zio Sam spinse molto sulla propaganda con dei bei volti felici di giovani americane orgogliose di poter dedicare la propria vita al paese senza dimenticarsi di utilizzare il rossetto anche nelle trincee.

Fuori dal paese a stelle e strisce, le donne videro diversi trattamenti a seconda dello stato e della zona in cui si trovavano. Nella nostra bella Italia ci sono “pochi” esempi di donne combattenti, infatti si può semplicemente dire che non furono mai ufficializzate all’interno dell’esercito italiano. Tuttavia, la resistenza anti-fascista si servì abbondantemente delle quote rosa del nostro paese, maggiormente come corrieri o spie in territori locali nel quadro dell’azione partigiana. Ci furono dunque delle vere e proprie donne combattenti all’interno dello stivale e, infatti, molte di esse morirono scontrandosi col nemico o venendo giustiziate nelle piazze più famose. Mentre il corpo poteva essere distrutto, il loro indomito spirito rimase acceso durante e dopo la guerra in organizzazioni come Unione Donne Italiane. Questa tipologia di approccio fu approssimativamente ciò che avvenne anche negli altri principali paesi, dove sebbene molte donne lavoravano in ambiti militari solo poche di esse raggiungevano effettivamente la prima linea. Però, in questo quadro, c’è un’eccezione notevole: La Polonia.

Presa proprio come principio della figura femminile in Battlefield V, la resistenza creatasi in Polonia fu forse l’esempio più fulgido delle sue capacità combattive. Interi battaglioni di sole erano formati all’interno delle forze militari, tanto da creare quello che viene chiamato “Allenamento Militare Femminile” comandato da Maria Wittek: un generale iconico che ha servito con onore durante la guerra.

Già che esista un fenomeno simile vi fornisce una chiara idea di come questo paese si differenzi rispetto agli altri, ma c’è molto di più. Dopo l’occupazione, le figure militari femminili furono ovviamente divise insieme al resto dell’esercito e, perciò, crearono diversi problemi alle forze tedesche attraverso piccole cellule di guerriglia compiendo azioni come: far scappare gli ebrei dalle grinfie della polizia nazista, creare network di spie direttamente in Germania e affrontando le forze nemiche in blitz studiati a tavolino. A Varsavia in particolare, ci fu un’enorme insurrezione contro l’occupazione tedesca capitanata proprio da donne polacche ed ebree. A comando di questa unità, chiamata DYSK (o Unità di Sabotaggio delle Donne), pronta a imbracciare le armi c’era l’indomabile Wanda Gertz, la quale ottenne il più alto riconoscimento militare proprio per le sue azioni in quella battaglia. La storia della Polonia è letteralmente piena zeppa di donne combattenti riconosciute, tanto da essere una parte fondamentale dell’esercito dell’epoca e della liberazione del paese.

Anche l’unione sovietica risulta un esempio fulgido di figure femminili che hanno fatto la storia dei conflitti bellici. Possiamo ricordare, per esempio, il 558° reggimento bombardiero notturno, o “Streghe della Notte“, il quale fu composto da quasi sole donne che compirono 230.000 missioni dal 1942 fino alla fine del conflitto, sganciando incessantemente bombe sulla testa di Hitler e soci. Per non parlare poi di Lyudmila Pavlichenko: il cecchino più letale di tutta la Russia sovietica, così importante da essere utilizzata come propaganda e da essersi tramutata in leggenda dopo aver ucciso 309 tedeschi con le proprie mani.

LA VOCE DELL’IGNORANZA

Tutti questi casi esposti in questo articolo sono tutt’altro che segreti o fuori dall’accessibilità di qualsiasi individuo dotato di Internet, come è evidente dai link che vi abbiamo allegato nel pezzo e che vi invitiamo a visitare. Certo, si potrebbe criticare che in Battlefield V DICE si sia presa alcune libertà creative sull’assegnazione della nazionalità delle donne e dei campi di battaglia in cui combattono, ma sarebbe un’obiezione davvero sterile all’interno del contesto del videogioco in questione, il quale, ribadiamo, è ben lontano dal rappresentare con perfetto realismo un qualsiasi scenario storico.

Ancora più sterile e ridicolo è, invece, dimostrare la propria assoluta ignoranza di fronte a dati chiari che affermano inequivocabilmente come le donne abbiano attivamente contribuito in ogni aspetto durante la seconda guerra mondiale (e perfino nella prima in alcuni casi, come in Polonia). Si tratta dell’ennesima dimostrazione della retrograda, e anche chiusa, mentalità che nega qualsiasi tipo di rappresentazione inclusiva all’interno del panorama videoludico, che sia per le donne o per le minoranze etniche. Un pensiero così marcio e radicato da tirare fuori bile in ogni occasione, tanto da essere ottusi di fronte a delle semplici ricerche o al basilare “mettersi in discussione” che ogni essere umano dovrebbe possedere. Anche stavolta, questa corrente di pensiero ha torto, come qualsiasi altro ragionamento venga fuori dall’ignoranza della non-cultura. Proprio i più strenui difensori di tali teorie dovrebbero essere i primi ad acquistare Battlefield V, augurandogli con tutto il bene di ricredersi una volta vissuta in prima persona la narrativa d’impatto che il franchise ha voluto portare, specialmente da Battlefield 1 in poi. Solo attraverso gli occhi di una giovane donna che vede il proprio paese in fiamme, lo stesso dove ha vissuto con la sua famiglia e i suoi figli, si può capire il perché questa categoria abbia combattuto ancora più ferocemente di tanti uomini lodati nelle lucide pagine dei libri di storia. Forse è ora di adottare una prospettiva diversa, tanto per cambiare.