Ancora pochi giorni ci separano dall’anno nuovo ed è tempo di tirare le somme su questo intenso anno videoludico. Se c’è un genere che ha letteralmente infranto record su record e raggiunto il successo mondiale in questo 2018, è sicuramente quello dei battle royale, proposti in tutte le salse e che, per la gioia di tanti e la disperazione di molti, sembra aver prenotato un altro anno da protagonista grazie a prossime uscite come la modalità Tempesta di fuoco di Battlefield V.
Se Fortnite e la modalità battle royale di Call of Duty: Black Ops 4 hanno raggiunto il massimo della popolarità, devono gran parte del merito al primo esponente del genere apparso sul mercato, PlayerUnknown’s Battlegrounds. Nata come mod per lo sparatutto simulativo ARMA 2, l’intuizione di PUBG Corp. ha in qualche modo rivoluzionato il mercato con una formula di gioco che ha conquistato gli appassionati nel giro di pochi mesi. Il clamore intorno a questo genere è stato così forte da essere adattato anche per il mobile gaming, arrivando su smartphone e tablet, decretando la definitiva consacrazione dei battle royale.
Al termine del periodo di esclusiva console detenuto da Microsoft, durato un anno esatto, PUBG è arrivato lo scorso 7 dicembre anche su PS4 con un porting che tenta di conquistare anche i possessori della console Sony, che potranno così lanciarsi in una frenetica lotta per la sopravvivenza. Un’attesa così lunga sarà stata ripagata con un gioco migliorato sotto l’aspetto tecnico? Scopritelo nella nostra recensione.
ODI ET AMO
Che ci piaccia o meno, PlayerUnknown’s Battlegrounds (spesso e volentieri abbreviato in PUBG) ha il merito di essere stato pioniere in un genere che ha segnato in modo indelebile questa generazione videoludica. Nei mesi successivi alla sua uscita, pur assistendo a un proliferare di titoli più o meno simili (con una qualità tendenzialmente bassa), il battle royale ideato da Bluehole Studio e PUBG Corp. ha continuato imperterrito nella sua ascesa, macinando record su record, capitalizzando al massimo il fattore novità. Con l’avvento della battaglia reale di Fortnite, palesemente ispirata a PUBG, sono poi emerse criticità e difetti che hanno poi portato diversi giocatori a migrare verso altri lidi.
Alla luce della reazione della community in merito al successo del gioco, si sono sviluppate fazioni di giocatori che amano incondizionatamente lo stile di PUBG o lo odiano a prescindere, anche se tutto il genere può fregiarsi dell’espressione latina “Odi et amo” di Catullo. PUBG è uno di quei giochi che si ama o si odia, proprio perché a differenza di altri esponenti del genere, l’approccio al gameplay risulta tutt’altro che immediato. Se la curva d’apprendimento è piuttosto ripida, PUBG è probabilmente uno dei pochi battle royale in giro a offrire un senso di assuefazione una volta che avrete appreso le strategie fondamentali per sopravvivere nel campo di battaglia. Il clamore intorno al gioco si è in parte spento con l’arrivo di altri titoli e in particolare per il fatto che, al contrario di Fortnite, PUBG è un gioco a pagamento. Pur avendo un bacino d’utenza minore, il titolo di Bluehole è ancora molto apprezzato, sintomo che la community di appassionati è comunque folta e può vantare milioni di giocatori in tutto il mondo, che ogni giorno si danno battaglia in questa lotta alla sopravvivenza fatta videogioco.
NE RIMARRÀ SOLO UNO
Il bombardamento mediatico legato al successo ottenuto da Fortnite ha contribuito in maniera decisa alla diffusione e alla conoscenza dei battle royale, ma per completezza facciamo un passo indietro e spieghiamo nuovamente come funziona il gioco: tutto inizia con la scelta di un punto di atterraggio in una enorme mappa che può ospitare decine di giocatori in una modalità rigorosamente PvP. Una volta che avrete toccato terra avrà inizio la frenetica corsa all’equipaggiamento migliore nel tentativo di sopravvivere fino alla fine, mentre la zona di gioco attiva diventa sempre più piccola, forzando i giocatori a restare sempre in movimento per evitare di perire malamente. Il resto potete facilmente immaginarlo da voi: sarà l’ultimo giocatore (o squadra) che rimane in vita a essere proclamato vincitore al grido di “Winner Winner Chicken Dinner”. Più facile a dirsi che a farsi.
Ciò che differenzia PUBG dagli altri battle royale è il come avvengono gli scontri e gli elementi di contorno che fanno parte dell’esperienza di gioco. Le mappe enormi di otto chilometri per otto fanno sì che il ritmo e la frequenza degli scontri siano piuttosto bassi, con partite che arrivano a durare spesso più di venti minuti. Considerata l’anima simulativa (e talvolta punitivo) del gameplay, è tassativo avanzare con circospezione e alternare saggiamente la visuale tra prima e terza persona a seconda della situazione in cui ci si ritrova. Chiaramente anche qui vige la regola del divertimento moltiplicato per tanti quanti sono gli amici con cui giochiamo. I giocatori che prendono parte ai match sono sempre cento, ma è possibile tentare di portare a casa la vittoria in solitaria, in coppia con un amico o all’interno di una squadra composta da altre tre persone, per un totale di quattro giocatori.
DIFFICILE SÌ, MA ANCHE COMPLICATO DI SUO
Se avete giocato ai tre principali esponenti del genere, converrete che quella di PlayerUnknown’s Battlegrounds è l’esperienza più hardcore del gruppo. L’occhiolino rivolto in favore degli sparatutto simulativi come ARMA (il concept è appunto nato sotto forma di mod del secondo capitolo) o Insurgency si riflette in primis nell’adozione di armi fedeli alle controparti reali e in altri aspetti come una riproduzione credibile della balistica dei proiettili. Fortunatamente nei mesi scorsi gli sviluppatori hanno lanciato una modalità addestramento in cui provare tutto, ma proprio tutto, quello che il gioco ha da offrire, un ottimo modo per prendere confidenza con le complesse meccaniche di gioco. La mancanza di hit marker e il comportamento realistico delle armi, tanto per citarne alcune, sono tutte scelte di gameplay che indicano una precisa strada intrapresa dagli sviluppatori. Anche l’inserimento di kit medici, bende, antidolorifici e bevande energetiche lo differenziano in maniera marcata dagli altri titoli: alcune di queste offrono dei boost temporanei mentre alcune ferite andranno prima bendate per evitare il dissanguamento e poi curate con gli appositi oggetti.
Nello stilare un ipotetico indice di scomodità riguardante l’impostazione dei comandi, probabilmente PUBG vincerebbe a mani basse. Proposto inizialmente solo per PC, gli sviluppatori non hanno avuto grattacapi nello sfruttare appieno mouse e tastiera. Il problema vero, semmai, è sorto quando gli sviluppatori hanno provato ad adattare questo schema di controllo a quelli di un pad, con risultati altalenanti. Se appunto titoli come ARMA probabilmente non vedranno mai la luce su console per questo motivo, con PUBG il problema è più di tipo pratico che teorico. L’esempio più lampante è rappresentato dal trattenere il respiro quando si usano fucili di precisione: dover premere in contemporanea tre tasti dorsali, a cui si aggiunge il movimento dei due analogici per muovere personaggio e direzione dell’arma, è una combo degna del miglior picchiaduro. Sarebbe bastato un preset diverso o aver dato la possibilità di mappare i comandi a piacere, evitando numeri da contorsionista per chi gioca su console; ci saremmo perfino accontentati di un gameplay in parte castrato, pur di avere un’esperienza di gioco più intuitiva. Non è un caso che uno dei battle royale più recenti, la modalità Blackout di Black Ops 4, sia riuscita a offrire un gameplay più immediato laddove PUBG risulta macchinoso anche solo nel passare dall’arma a una granata o nel montare uno o più accessori sulle armi raccolte. In fondo, a rendere questo battle royale per certi versi complicato, è proprio la macchinosità con cui si effettuano queste azioni “basilari”.
UN’ARMERIA SENZA LIMITI
Quando c’è da scaricare piombo sugli avversari, PUBG non si tira di certo indietro e mette a disposizione dei giocatori letteralmente un’infinità di armi contundenti, bocche da fuoco con relativi accessori e oggetti di varia natura. Sono pochi, infatti, gli sparatutto online che possono vantare un’arsenale così vasto e variegato, rendendo il battle royale nato dalla mente di Brendan “PlayerUnknown” Greene un vero paradiso per tutti gli amanti del gun porn. Tutte le armi e relativi accessori sono riprodotti in maniera fedele, tanto nell’estetica quanto nelle campionature dei vari suoni e animazioni di ricarica. Qui un plauso va fatto agli sviluppatori coreani, bravi nell’aver riposto una cura per i dettagli che potremo definire maniacale. Si può dire di tutto sul gioco, elencandone i tanti difetti, ma se c’è una cosa su cui è inattaccabile, questo il numero di contenuti di cui questo si è arricchito nel corso di questi anni. PUBG infatti è l’unico battle royale che offre ben tre mappe, ambientate rispettivamente in Russia, Asia e al confine tra Stati Uniti e Messico, con una quarta attualmente in fase di test per gli utenti PC, ambientata in uno scenario completamente innevato.
Non troverete gli elicotteri e aeroplani introdotti in altri titoli appartenenti allo stesso genere ma il parco veicoli presente nel gioco sorprende per tipologia e quantità: moto d’acqua, dune buggy, automobili e motocicli. Tuttavia anche i mezzi da trasporto offrono una caratteristica peculiare che non troverete altrove: la necessità di riempire il serbatoio del veicolo in uso, raccogliendo e usando le taniche di benzina sparse lungo la mappa. Tutt’altro che perfetto il sistema di guida ma i veicoli risultano divertenti da usare, ricoprendo tra l’altro un ruolo tattico nello spostarsi velocemente lungo gli scenari di gioco e dando la possibilità a chi è all’interno dei mezzi di poter fare fuoco, oppure cercando di investire i giocatori avversari lanciandovi contro di essi a folle velocità.
UN PORTING MOLTO DISCUTIBILE
Gestire una mappa di gioco molto grande e con cento giocatori immaginiamo non sia un’impresa semplice, figuriamoci per uno studio non certo di primo livello come quello coreano. Nonostante una differenza hardware notevole tra Xbox One S e PlayStation 4 Pro, su quest’ultima non si assiste a una differenza così marcata tra le due versioni, a parte la risoluzione di 1440p che però non cambia le carte in tavola. Con un pizzico di rammarico, dobbiamo segnalare la presenza degli stessi difetti grafici che abbiamo riscontrato sulla console Microsoft, facendo di questa versione un porting non troppo riuscito, con l’aggravante che arriva a un anno dalla versione Xbox. I vistosi e continuativi fenomeni di pop-up e un certo ritardo nel caricamento delle texture, che comunque offrono un livello di dettaglio molto basso. La situazione non è fortunatamente così grave da impedire ai giocatori di divertirsi ugualmente ma è chiaro che urge un lavoro di ottimizzazione al più presto, e qui si ripongono le speranze nella promessa degli sviluppatori di concentrarsi per il momento sugli aspetti tecnici del gioco, mettendo in secondo piano il lancio di nuovi contenuti. Decisamente più stabile il frame-rate, anche se 30fps appaiono comunque un limite non da poco, con qualche sporadico calo da attribuire sia al motore grafico che alla stabilità dei server.
Gli scenari delle varie mappe non brilleranno per qualità grafica ma si rivelano comunque vari in termini di level design, riuscendo qualche volta a deliziare i giocatori con paesaggi belli da ammirare, anche grazie all’HDR, ma purtroppo si tratta di eventi più unici che rari. Eccezion fatta per qualche contenuto estetico esclusivo a tema PlayStation, vedi il completo da Nathan Drake da Uncharted e lo zaino di Ellie da The Last of Us, le versioni PS4 e Xbox One si equivalgono sotto ogni aspetto. Ovviamente non mancano elementi estetici con cui personalizzare il proprio alter ego, sfruttando i crediti acquisiti giocando e completando sfide o acquistandoli attraverso delle microtransazioni. In qualche modo, però, Blackout e Fortnite mostrano una propria identità, un’ostentazione del proprio stile attraverso skin ed emote sempre nuove e particolari; PUBG invece, vuoi per l’impostazione più seriosa e simulativa, finisce col risultare un po’ troppo anonimo. A nostro avviso ci sarebbero stati tutti i presupposti per l’inserimento di ulteriori skin a tema, proprio per ovviare a questa mancanza di personalità, sfruttando anche il grande universo PlayStation da cui attingere per la personalizzazione del personaggio.