The Long Journey Home

The Long Journey Home

La conquista dello spazio di Daedelic Entertainment tra la sopravvivenza e la meraviglia.

Quando mai un viaggio spaziale pionieristico basato sui motori a curvatura ha portato a risultati positivi? Che io ricordi, di rado un equipaggio di queste missioni tra le stelle è riuscito a sopravvivere nel corpo o nello spirito. Da Punto di non Ritorno a The Cloverfield Paradox, passando per Alien, abbiamo una sequela di esempi di ciò che non si dovrebbe mai fare quando si tenta di scoprire cosa c’è aldilà della nostra conoscenza.

Eppure, nonostante le tragedie più viste al cinema, Daedelic Entertainment ci crede ancora moltissimo nella possibilità di un eventuale successo nell’esplorazione di nuovi mondi ai confini del sistema, perciò ci affida l’arduo compito di riuscire in questa impresa titanica, ponendoci al comando della nostra personale astronave in The Long Journey Home: un roguelike atipico a cavallo tra i buchi neri e razze aliene ostili, con una sana dose di nostalgia della nostra Casa.

HOME SICK

La natura di The Long Journey Home è affidata quasi totalmente al caso, come del resto lo è quella del nostro universo. All’inizio di ogni partita, infatti, ci verrà chiesto di selezionare 4 componenti dell’equipaggio, una nave su cui metterli, un modulo d’atterraggio e infine un codice che possiamo personalizzare e che deciderà completamente lo stato degli astri in cui finiremo. L’anima procedurale accompagna benissimo la cieca gestione a “scatola chiusa”, creando un’esperienza sempre diversa nonostante lo stesso principio narrativo: al primo lancio con il nuovo motore si finisce diversi parsec lontani dal Sistema Solare. A quel punto, l’obiettivo è tornare a casa e saltare di sistema in sistema cercando di avvicinarsi alla rotta conosciuta per la Terra.

Il percorso della nostra personale USS Enterprise è irto di insidie, problemi e meraviglie. All’interno dell’oscuro sconosciuto siderale dovremo darci delle priorità pratiche per evitare di perdere del tempo prezioso, come la raccolta delle risorse attraverso gli scavi planetari o il tenere al sicuro dai pericoli sia la nave che i suoi abitanti. L’unico modo per poterla spuntare tutti interi è quello di farsi coraggio e scandagliare i pianeti attraverso il nostro piccolo mezzo di sbarco, il quale ci permette di ottenere minerali o gas e vivere molte delle parti narrative su testo. La parte scritta è una grossa fetta di The Long Journey Home, nonché uno stratagemma che, fin dal passato, aiuta moltissimo queste produzioni indipendenti ad avere più opzioni di trama, soprattutto perché i costi sono molto più bassi di un’esperienza cinematica e doppiata, considerando anche la casualità delle partite. Attraverso le dettagliate descrizioni di queste sezioni verremo a contatto con specie extraterrestri e manufatti antichi dalla strana tecnologia, il tutto elaborato sulla prospettiva delle conoscenze/capacità del nostro quartetto di astronauti pionieri. Anche noi, come giocatori, saremo un elemento importante dell’equazione utilizzando le conoscenze sulle abitudini e culture che impareremo durante le partite, rendendo le run successive più proficue dal punto di vista diplomatico.

Il team terrestre dell’impresa è infatti essenziale per decretare il vostro successo, soprattutto perché tutti possiedono tratti e oggetti unici in grado di cambiare radicalmente la vostra sorte. Un esempio di questa meccanica è all’interno del lato “diplomatico” di The Long Journey Home, nel quale un dirigente corporativo tutto numeri e cifre potrà sicuramente essere d’aiuto nell’interpretare il sistema di scambio interstellare, mentre uno scienziato sotto medicine che studia la teoria dei quanti vi farà scialacquare i crediti, ma quantomeno capirete cosa fanno le tecnologie aliene. Le variabili sono molte, così come i possibili finali e le missioni secondarie da svolgere. A livello contenutistico il titolo è eccellente e quantomeno rende ogni partita “unica”, ma in generale la narrazione testuale non sembra ricevere quello spazio che avrebbe dovuto possedere, quasi ininfluente per colpa di una gestione approssimativa dei menù quasi nascosti.

Ma non è solo l’HUD ad avere problemi strutturali, quanto quasi tutto l’intero apparato di gioco. Ad esempio, è molto interessante il modo in cui il team di sviluppo ha voluto gestire il movimento dell’astronave cercando di imitare il funzionamento delle orbite gravitazionali, ma quando si scende a terra o si entra in un campo di asteroidi i controlli risultano molto più ostici da gestire, soprattutto se bisogna combattere una gravità anomala e un vento superiore a qualsiasi uragano. Un atterraggio un po’ rovinoso e il pilota subirà delle ferite più o meno gravi, così come lo farà per altri imprevisti più o meno letali, diventando un vero e proprio ostacolo che previene molte azioni. The Long Journey Home assume quindi i connotati di un viaggio più crudele che lungo, calcando un po’ l’onda che vede nella difficoltà la massima espressione del divertimento. Tuttavia, a differenza di altri, Daedelic Entertainment non ha proprio centrato il perfetto bilanciamento, rendendo alcuni meccanismi quasi frustranti e senza ricompense valevoli dello sforzo, scalzando completamente l’effetto “bastone e carota”, necessario per tenere in piedi questi scenari. A tamponare questa sensazione c’è la modalità “Avventura” che è più amichevole ma ciò significa togliere anche il buono che c’era nella parte survival.

Oltre alla navigazione, il gameplay si focalizza principalmente sulla gestione delle strumentazioni e dell’equipaggio, incaricandovi di tenere sempre al meglio le unità in base alle risorse raccolte nella casualità della partita. In questi menù avrete anche modo di dilettarvi nella comunicazione con le altre razze aliene, ma spesso si tratterà di conversazioni con poche scelte a disposizione – principalmente affermative o negative – e su cui al massimo ci sarà l’influenza di un particolare membro dell’equipaggio. Ciò smorza un po’ la sensazione di sentirsi parte di un ecosistema coinvolgente dove la nostra azione fa la differenza, nonostante i moltissimi sbocchi verso nuove avventure.

GROUND CONTROL

E dunque lo spazio risulta quasi vuoto, perfino più stretto del ponte della nave su cui siamo finiti alla deriva. C’è una mancanza evidente nel creare un ecosistema che acchiappi il giocatore e lo invogli a scoprire lo spazio ben oltre il semplice bisogno di sopravvivere. In realtà molte cose sono presenti ma quasi nascoste dietro inutili barriere messe appositamente per limitare le possibilità dell’utente, almeno che esso non decida di spendere parecchio tempo a scavare o a farsi trascinare dalla forza inerziale tra i vari pianeti. Le risorse vengono consumate molto in fretta, seguendo logicamente un pizzico di realismo necessario per il genere, ma ciò naturalmente previene un certo grado di libertà necessario per affrontare quest secondarie ed escursioni libere.

Questo è ancora più un fattore negativo se si considera l’ispirata estetica delle superfici dei vari corpi celesti: un tripudio di colori, relitti e flora mastodontica che si avvale del motore grafico come può. Mentre i personaggi e gli alieni utilizzano uno stile cartoonesco molto spartano, i fondali e le ambientazioni sono più curati e portano delle idee originali all’interno della produzione artistica fantascientifica. Luci, effetti atmosferici e costruzioni prendono vita durante le sessioni di sbarco, ma una volta tornati sulla nave ci si deve accontentare di una grafica 3D che non regge il confronto, se non quando incontriamo fenomeni stellari di rilievo come i Buchi Neri.

In soccorso ci viene però l’ottima colonna sonora che, senza troppe pretese, porta dei brani in grado di accompagnare degnamente il nostro viaggio dove nessuno è mai giunto prima. Allo stesso tempo però, questo forte slancio nel comparto tecnico non fa che accentuare le storture del gioco. Non si tratta di certo di qualcosa di stroncante o in grado di invalidare quanto c’è di buono, tuttavia l’amaro in bocca resta dopo ogni accurata descrizione testuale e missione conclusa. Uno scontento derivato dall’eccessiva voglia di stringersi nel genere del survival. The Long Journey Home metterà senz’altro alla prova la vostra sopravvivenza in una vera e propria esperienza rogue-like da manuale, ma è davvero questo quello per cui ricordare il gioco di Daedelic Entertainment? Forse, in minima parte, una volta tornati sulla madre Terra nella vostra mente potrebbe rimanere impresso più la bellezza di quelle stelle sconosciute che la durevolezza con la quale vi hanno trattato.

The Long Journey Home
The Long Journey Home
GIUDIZIO
The Long Journey Home è un buon roguelike e alla fine ha moltissimi spunti interessanti, specialmente nel lato estetico e narrativo. Tuttavia, nonostante le ottime idee e la varietà delle modalità d’approccio, sembra che l’impianto ludico e quello creativo cozzino più e più volte, specialmente quando l’esplorazione viene impedita per via della scarsità delle risorse o della difficoltà delle manovre nello spazio o nell’atmosfera, almeno nella modalità Rogue. Se il titolo fosse stato un po’ più clemente e meno incline a inserirsi forzatamente in determinate meccaniche, creando una serie di menù poco pratici in grado di rompere il coinvolgimento, magari il viaggio nelle stelle sarebbe stato più memorabile. Soprattutto considerando la dettagliata caratterizzazione della cultura aliena e degli scenari da vedere, elementi che finiscono per non risaltare come avrebbero effettivamente dovuto per colpa di un impianto ludico claudicante nella struttura.
GRAFICA
7.5
SONORO
7.5
LONGEVITÀ
7
GAMEPLAY
6
PRO
Universo vasto e ricco, oltre che ben realizzato esteticamente
Ogni partita è sempre diversa grazie alla generazione casuale
Narrazione su testo interessante e ben scritta
Colonna sonora buona
CONTRO
Difficoltà poco bilanciata
Menu e controlli da rivedere
La componente survival cozza con la spinta esplorativa
7
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