Demon's Souls

Demon’s Souls

Nessun Dualsense è stato maltrattato durante il playthrough.

Non ve lo nascondo. Non sono fan sfegatato del genere soulslike: uno di quei giocatori che leggono e rileggono ogni singola riga di descrizione di ogni oggetto presente nei capitoli sviluppati da FromSoftware per intuire una teoria sulla lore, sugli avvenimenti e sui background di ogni personaggio incontrato in ogni avventura pensata da Hidetaka Miyazaki. Non sono nemmeno uno di quei giocatori alla ricerca di sfide sempre più ardue da affrontare in nuove partite da completare nel minor tempo possibile, o senza subire alcun danno. Però, anche se il mio approccio al genere e al mondo di Dark Souls sia iniziato solo pochi anni fa con il terzo capitolo della saga, non nascondo che in questi quattro anni il genere mi abbia completamente stregato. Vuoi per le affascinanti ambientazioni, vuoi per le spettacolari colonne sonore, vuoi per l’impegno che necessita ogni sessione di gioco, vuoi anche per lo stress che trasmettono e vuoi soprattutto per la sensazione di appagamento che si prova a ogni parry o backstab. I soulslike sono diventati per me quasi un’ossessione fino a sentirne la mancanza e la voglia di giocarne uno nuovo, anche dopo il lancio di Sekiro: Shadows Die Twice.

Non nascondo quindi nemmeno un certo entusiasmo quando, Sony, questa estate ha presentato la sua line-up di lancio per PlayStation 5 mostrando le prime immagini del remake che tutti i fan e appassionati del genere stavano aspettando: Demon’s Souls. Sì, il primo, l’iniziatore, il gioco da dove tutto ha avuto inizio. Sì, perché è innegabile che questo titolo abbia influenzato il mondo dei giochi e il modo di fare un videogiochi in quanto, dal 2009 (anno in cui Demon’s Souls è stato lanciato in esclusiva su PlayStation 3) moltissime case di svilluppo hanno tentato di imitare questo genere, quello del soulslike nato appunto con questa produzione giapponese che ha lanciato FromSoftware e il suo presidente Miyazaki tra le più influenti e ispiratrici software house del panorama videoludico. Non c’è da stupirsi quindi che Sony abbia scelto proprio Demon’s Souls come titolo su cui puntare il lancio del suo nuovo hardware, affidando i lavori di remake al team di Bluepoint Games, uno studio ormai specializzato nel dare nuova luce a titoli datati, spesso dimenticati e non trattati con l’onore che meritano.

Una mossa, quella di Sony, che punta a un doppio obiettivo per la società nipponica: spingere anche i giocatori più di nicchia ad acquistare PlayStation 5 al lancio e di offrire al remake un palcoscenico più ampio, da condividere giustamente insieme a suoi successori. Qui ora la domanda sorge spontanea (no, non è “sarò morto più di mille volte?”): saranno riusciti i ragazzi di Bluepoint Games a rendere omaggio al capostipite della saga di Dark Souls, Bloodorne e a confezionare per il pubblico un titolo che possa far appassionare altri giocatori al genere? Scopritelo nella nostra recensione. E comunque no, non sono morto mille volte. Un centinaio sì però.

Demon's Souls
La prima volta in quel di Boletaria non si scorda mai.

PRIMA VOLTA IN QUEL DI BOLETARIA

C’è però un ultimo aspetto che non posso nascordervi. Sì, lo ammetto, non ho mai avuto PlayStation 3 e di conseguenza non ho mai giocato la versione originale di Demon’s Souls. Quello che ho affrontato su PlayStation 5 è stato il mio primo e unico viaggio per i meandri di Boletaria, totalmente all’oscuro di ciò che mi aspettava, senza la minima idea di dove andare e senza conoscere i punti deboli dei boss incontrati. Vi giuro, non ho imbrogliato. Non sono andato alla ricerca su internet su come facilitarmi la vita negli scontri con i nemici, nemmeno ho trovato guide che mi spiegassero dove andare dinnanzi a porte chiuse o vicoli ciechi. Forse in questo modo avrò saltato alcune quest o perso oggetti preziosi, ma ho voluto vivere l’esperienza totalmente all’oscuro di tutto e viverla come i giocatori del 2009 con la versione originale.

Ci sono due sensazioni che si sono susseguite nei dai primi minuti di gioco, la prima è stata lo stupore del comparto tecnico che mi si è parato davanti. Beh, siamo nella nuova generazione di console e Demon’s Souls ne costituisce sicuramente la porta di ingresso. Non nego la meraviglia, seduto sulla poltrona e davanti a uno schermo nel godermi una risoluzione in 4k con dettagli di texture visibili a perdita d’occhio e una fluidità della telecamera, dei movimenti del personaggio e dell’atmosfera che mai si erano viste per un gioco del genere su una console. Non era facile per i ragazzi di Bluepoint consegnare un gioco privo di difetti al lancio e, di fatto, all’inaugurazione della nuova generazione di console hardware. Qui c’è da porre il primo elogio a questi ragazzi e dal punto di vista tecnico, infatti, il remake di Demon’s Souls è perfetto: non si tratta solo di un miglioramento grafico ma ci troviamo davanti un lavoro che ha saputo valorizzare nuovi aspetti del gioco. Ne è un esempio l’ambiente circostante, che non solo è stato migliorato dal punto di vista scenografico, ma è stato anche arricchito di dettagli che ne hanno esaltato la resa realistica.

Sembreranno piccolezze ma mai si era visto in un soulslike una magia di fuoco che potesse incendiare e consumare oggetti di scena o un’illuminazione, seppur priva del ray-tracing, in grado di calcolare luci e ombre in tempo reale per rendere colori più naturali e realistici. Il tutto è ancora più apprezzabile grazie alla stabilità del frame- rate che non si schioda dai 60 fotogrammi al secondo. Ho cercato durante la partita situazioni in cui potesse spuntare un rallentamento o un intoppo e, con grande stupore, vi posso confermare che non ci sono riuscito. Nemmeno un’incertezza è saltata fuori dai miei tentativi, anche in situazioni che possono essere considerate come “la città infame” del primo Dark Souls. La software house ha introdotto due modalità video selaeionabili in qualsiasi momento: la modalità cinematica e quella dedicata alle prestazioni. La prima porta la risoluzione del gioco a 4k nativi bloccando tuttavia il framerate a 30fps, mentre la seconda ridimensiona le immagini di gioco facendole variare tra i 4k e i 1440p in modo da mantenere saldo il frame-rate sui 60fps. Ed è proprio quest’ultima versione che vi consiglio di provare e quella che reputo la migliore, perché la fluidità dei movimenti costituisce davvero quell’aspetto in più che tutti cercavamo in un soulslike senza tuttavia rinunciare alla meravigliosa offerta estetica di Bluepoint Games.

Accantonato l’effetto meraviglia del comparto tecnico, come detto ho avvertito sin dai primi minuti di gioco una seconda sensazione: quella di un forte senso di familiarità. Sì, certo, stiamo sempre parlando di un gioco che possiede tutte le modalità e meccaniche del genere, ma è stata una percezione inaspettata. Cerco di spiegarmi meglio: sapevo che Demon’s Souls era il capostipite della saga di Dark Souls ma constatare con mano che tutto sia nato da questo gioco è stato sorprendente. C’è una meccanica che richiama il primo Dark Souls, poi un’altra che richiama il secondo, un’altra ancora che invece richiama Dark Souls 3 e addirittura un paio che richiamano Bloodborne. Però non è così, perché in realtà sono questi giochi che rimandano a Demon’s Souls.

È il motivo per cui non ho voluto giocare o informarmi sulla versione originale, proprio per provare questa strana sensazione nello scoprire che Demon’s Souls è la culla di ogni gioco di questo genere, l’ispirazione per ogni capolavoro di FromSoftware. Ammetto di aver provato un certo divertimento nel proseguire e scoprire tutti gli aspetti utilizzati per ispirare la saga di Dark Souls, Bloodborne e addirittura Sekiro. In che titolo incontri un boss dopo nemmeno cinque minuti di gioco? E in che titolo quel boss è obbligato a ucciderti per consentirti di iniziare il gioco vero è proprio? E dove mai lo stesso boss può essere sconfitto con tanta pazienza, affondo dopo affondo, senza essere colpito dai suoi letali attacchi? Ecco, tutto questo descrive i primi venti minuti di Demon’s Souls e gli altrettanti di Dark Souls, Bloodborne e Sekiro: Shadows Die Twice. Un mix di tutto il repertorio di FromSoftware, ecco cosa è in realtà Demon’s Souls: un mix dai quali poi una o più caratteristiche sono state ispirate per creare i successi della casa giapponese.

SEI MORTO

Tuttavia, seppur diversi tra loro in alcuni aspetti, esiste un comune denominatore per tutte le produzioni di FromSoftware: la scritta “Sei Morto”. Questo è la base di tutti i gameplay, da Dark Souls fino a Sekiro e l’idea non poteva certo non nascere che da Demon’s Souls. La frase è ciò che sta dietro a ogni tentativo andato male contro nemici e boss, è quella che vi indica che state sbagliando qualcosa e vederla così tante volte vi renderà la bestia più nervosa del pianeta. Ma è anche la frase che vi spingerà a superare i vostri limiti, a fare di più, a pensare e ragionare soluzioni diverse per superare l’ostacolo e rendervi un giocatore migliore. In questo remake di Demon’s Souls non nego la frustazione di leggere e rileggere ancora la suddetta frase ma, questa, è stata lo spunto per riflettere su un aspetto dell’opera di Bluepoint: i caricamenti. Tutti i giocatori del genere conoscono i tempi da attendere tra un fallimento e la successiva ripresa del gioco; tempi che si estendevano per molte decine di secondi in cui la pazienza del giocatore, già messa alla prova dall’ennesima punizione del gioco, veniva sopraffatta dalla rabbia con conseguenze dannose per controller, console e televisore.

Qui, sfruttando tutta la potenza della nuova macchina di Sony e la velocità di lettura e scrittura del suo SSD, i tempi di caricamento sono pressoché inesistenti regalando al gioco una maggiore continuità da una morte alla rinascita all’ultimo falò (ehm pardon, volevo dire arcipietra) visitata. Non è un aspetto da sottovalutare poiché rende tutto il gameplay più fluido, migliorando così il senso di confidenza con le meccaniche di gioco. Per i veterani che hanno dimestichezza con il genere non potrà sembrare una caratteristica sconvolgente, ma c’è da pensare a tutti i nuovi giocatori che si approcciano per la prima volta al mondo dei soulslike che possono trovare vantaggio nel prendere dimestichezza con il gioco, impiegando meno tempo per rientrare in gioco tra una morte e l’altra. E consideriamo che per loro sicuramente le morti si susseguiranno senza sosta.

Sotto l’aspetto delle meccaniche di gioco, il remake di Demon’s Souls non offre differenze rispetto a quelle viste nella saga di Dark Souls e Bloodborne. Abbiamo la scelta della nostra classe iniziale con caratteristiche di punti forza, destrezza, vitalità magia e così via, a seconda del tipo di personaggio che sceglieremo per poi potenzialo come meglio crediamo durante il gioco utilizzando le anime raccolte da nemici e boss. Le anime, la più grande risorsa del gioco, ci verranno sottratte a ogni morte e, per non perderle definitivamente, dovremo ritornare al punto della nostra sconfitta e recuperarle. Naturalmente, durante il nostro viaggio, dovremo vedercela ancora contro tutti i nemici già affrontati in precedenza e ripristinati dal gioco al momento della nostra rinascita all’arcipietra. Esatto, proprio come avviene in tutti gli altri capitoli Dark Souls, dove imparare i moveset delle nostre armi e conoscere le movenze di attacco dei nemici sarà fondamentale per non soccombere e perdere tutte le nostre anime utili per potenziarci. D’altronde, se tutto è iniziato da Demon’s Souls…

DITEMI CHE QUI DIETRO SI TROVA UNA SCORCIATORIA

Ma allora, se il gameplay e le meccaniche di gioco sono identiche a tutti gli altri soulslike che abbiamo già giocato, perché Demon’s Souls è definito come il più ostico del genere? È la domanda a cui ho cercato di rispondere fin da subito e dopo una decina di ore di gioco penso di aver trovato la risposta. Andiamo con ordine però e diciamo che Demon’s Souls ha meccaniche simili più alla saga di Dark Soul,s ma come struttura si avvicina di più a quella di Bloodborne. Dal nostro hub centrale, il Nexus, siamo liberi di viaggiare nei 5 mondi di Boletaria utilizzando le arcipietre, così come succedeva in Bloodborne nel Sogno del Cacciatore. A differenza di Dark Souls, questi mondi non sono interconessi tra di loro, creando di fatto un’unica area di gioco in cui il level design degli sviluppatori sapeva connettere tutte le aree con sentieri e scorciatorie, ma sono indipendenti l’uno dall’altro. Demon’s Souls infatti mantiene una struttura “a livelli” con il giocatore che può decidere quale mondo affrontare e completare, fino ad arrivare all’ultimo boss di quell’area che segna la conclusione del livello per poi passare così a un altro mondo.

Quindi, mentre negli altri esponenti del genere si percepisce che stiamo affrontando sentieri quasi ciclici che, grazie alla scoperta di scorciatoie ci riportano a un punto di partenza e ci permettono di affrontare strade più brevi per arrivare allo scontro con un boss, in Demon’s Souls si percorrono passaggi più lineari e rettilinei, ed è stato per me sorprendente constatare la quasi assenza di scorciatoie. Mi direte, ma che centrano con la difficolta del gioco? Beh, pensateci un attimo e ricordate un qualsiasi boss affrontato nelle produzioni di FromSoftware, ora pensate a tutto il percorso che avete dovuto affrontare per arrivarci la prima volta. Ecco, questa è la vera difficolta di Demon’s Souls: ogni volta che fallirete contro un boss di quella zona dovrete ricominciare quella zona da capo e riaffrontare tutte le insidie che avete già affrontato, senza scorciatoie. Non nego che alcuni boss possono essere tranquillamente sconfitti al primo tentativo ma, pensare di dover ripercorrere tutta la strada piena di insidie per arrivare al boss che vi massacra poi con un colpo, più e più volte, sa essere davvero davvero, ma davvero davvero snervante come nessun altro soulslike. Tutti i giocatori che inizieranno per la prima volta questo gioco non potranno che pensare “dai, qui ci deve essere una scorciatoia. Ci deve essere. Ma stiamo scherzando? Dov’è? È qui, vero? No, era una trappola e… sei morto!”

Per chi sarà alle prese per la prima volta con il genere, Demon’s Souls risulterà indubbiamente un gioco difficilissimo: inizialmente per entrare in confidenza con le meccaniche del gioco e poi per dover subire tutte le insidie che si celano dietro di esse. Ve lo assicuro, tutta la vostra pazienza sarà messa a dura prova e non mancheranno le situazioni in cui penserete seriamente di disinstallare il gioco o riportarlo indietro al negozio. Vi chiederete però, “ma tutta questa sofferenza ne vale la pena?” Sì, fidatevi di me. Un soulslike è sempre un genere da consigliare, indipendentemente dal tipo di giocatore che siete. La sfida è ostica e molte volte vi sentirete delle nullità, ma non esiste migliore sensazione nel battere un nemico dopo diversi tentativi, dopo aver capito il suo punto debole e l’esatto momento in cui sferrare un colpo. È una sensazione di appagamento e di orgoglio che si prova quando vediamo che tutti i nostri sforzi vengono alla fine ricompensati. Non poteva esserci gioco migliore per inaugurare una nuova generazione di console, con un titolo che ci riporta al passato, quando dovevamo impegnarci al massimo, provare ore e ore solo per poter superare un particolare livello. Una concezione di gioco che in questi anni è andata sempre più a perdersi con titoli che offrono sempre più scappatoie per superare un ostacolo.

UMBASA

C’è da considerare però che proprio questa sua natura diretta rende Demon’s Souls un titolo molto scorrevole, grazie anche alla trama decisamente molto più lineare di Dark Souls e Bloodborne, con minime sfaccettature lasciate all’interpretazione del giocatore. Almeno durante la mia prima run, durata all’incirca 35 ore con una settantina di morti sulle spalle, non ho avvertito quell’alone di mistero e incertezza che ho provato durante le sessioni su Dark Souls. Demon’s Souls non offre infatti una dettagliatissima descrizione del folclore delle terre di Boletaria incisa negli oggetti di gioco, ma si limita a lasciare solo un ristretto approfondimento dei vari NPC che incontreremo durante il nostro cammino. È un aspetto che sinceramente non mi ha fatto storcere troppo il naso, e che credo che possa servire a tutti i giocatori poco pratici col genere. Approcciarsi ai soulslike è già ostico di suo e scervellarsi nel capire trama e usanze della lore, ipotizzando trame senza mai ricevere risposte concrete, credo che possa spingere nuovi giocatori a snobbare definitivamente il genere.

È un aspetto che penso sia stato affrontato dai ragazzi di Bluepoint Games, che avrebbero potuto tranquillamente inserire nuove descrizioni e creare una lore ad hoc, ma è probabile che deciso di lasciare le cose così come erano portando rispetto per il lavoro di FromSoftware. E di rispetto se ne respira in tutto il titolo: dai primi minuti di gioco fino ai titoli di coda. I ragazzi della software house statunitense sono ormai abili nelle lavorazioni di remake, e non è un caso che Sony abbiamo scelto proprio loro nell’affidare un processo di rimodernizzazione di Demon’s Souls. La direzione artistica intrapresa dal team è riuscita infatti a rendere moderno un titolo di oltre dieci anni non limitandosi, tuttavia, soltanto a lavori di restyling di tipo grafico. L’impronta di Bluepoint è presente in ogni aspetto del gioco, fino anche al comparto audio che è stato sviuppato in maniera magistrale per adattarsi alla nuova tecnologia Tempest 3D di PlayStation 5, da sfruttare non solo con l’headset Pulse 3D di Sony ma anche con la maggior parte di cuffie già disponibili sul mercato.

Se ve lo state chiedendo, sì, è una nuova esperienza che amplifica la percezione degli ambienti, che si traduce con un maggior senso di coinvolgimento parte del giocatore in grado qui di individuare la direzione da cui è stata scoccata una freccia, o la direzione da cui un nemico si sta avvicinando di soppiatto. Restando in tema, è da lodare anche la magistrale colonna sonora del gioco che per l’occasione è stata riarrangiata in maniera orchestrale da Bill Hemstapat, venendo registrata presso gli AIR Studios di Londra con l’ausilio di un centinaio tra strumentisti e coristi. Ben congeniata è anche la chicca, da parte dello studio di sviluppo americano, di inserire la possibilità di scegliere a proprio piacimento la lingua del doppiaggio dei personaggi e quella dei sottotitoli. Sebbene sia altamente consigliabile godere il gioco in lingua originale con sottotitoli in italiano, è stato piacevole trovare anche una completa localizzazione in italiano abbastanza accettabile e ben caratterizzante per i personaggi.

Il punto forte di Bluepoint Games è da ricercare però sotto altri aspetti: quella della resa grafica. Il gioco è sicuramente una gioia per gli occhi, ricco di dettagli e di particolari che la versione originale non poteva di certo permettersi. Effetti particellari, animazioni e giochi di luce ci fanno entrare in piena consapevolezza di essere entrati nella nuova generazione e anche sotto questo aspetto, che potrebbe sembrare facile, lo studio è riuscito a creare una veste grafica stupenda, coerente e rispettosa del gioco originale. Tuttavia, il team ha voluto andare oltre e sperimentare qualcosa di più andando a inserire una nuova telacamera: Bluepoint ha infatti modificato la visuale avvicinandola al punto di vista del personaggio. Naturalmente, per i nostalgici de genere, tra le opzioni è presente la possibilità di modificare la telecamera ritornando a un punto di visuale più familiare.

Demon's Souls
Bluepoint Games ha ampiamente rispettato l’opera originale, seppur tirandola a lucido sotto ogni punto di vista.

TOCCA IL DEMONE CHE È IN ME

Sebbene non siamo di fonte al più longevo dei soulslike, il gioco offre comunque molti spunti per rigiocarlo. Sappiamo già che, così come ogni Dark Souls, scegliendo una strada piuttosto che un’altra per potenziare le caratteristiche del nostro personaggio ci ritroviamo a un approccio diverso al gioco. Ad esempio, se impostiamo uno stile di combattimento improntato sugli attacchi a distanza o su scontri più ravvicinati, Demon’s Souls offre qualcosa in più che stranamente non è stato utilizzato per i successivi titoli. È presente infatti una tendenza cromatica della nostra anima che varia dal bianco, al neutrale fino al nero. Questa tendenza la troviamo diversificata per il mondo che stiamo esplorando e per il nostro personaggio, e possiamo verificarla nell’inventario con il tasto Options del Dua lSense.

La tendenza neutrale non avrà alcuna influenza con l’ambiente del gioco ma, tuttavia, a seconda che il nostro sia bianco o nero si apriranno sentieri che ci portano non solo a raccogliere nuovi oggetti, ma anche a incontrare altri NPC per sbloccare nuove questline. Parecchie volte ho trovato strade sbarrate che, in seguito, ho ritrovato sgombre una volta che la mia tendenza per quel mondo si fosse convertita totalmente al bianco o al nero. Anche questo possa spingere qualche giocatore a ritornare ancora al Nexus e nei mondi di Boletaria, manca, a mio avviso, una vera e propria modalità end-game che possa tenere i giocatori impegnati per un numero maggiore di ore. In Bloodborne erano stati aggiunti i Calici, mentre in Dark Souls un comparto PvP con varie modalità dove mettere in scena le proprie abilità di combattimento. Ecco, se c’è qualcosa da criticare a Bluepoint Games è che la software house avrebbe potuto osare di più, andare oltre e sviluppare qualche idea aggiuntiva che potesse regalare nuove esperienze ai giocatori che già avevano affrontato l’avventura originale in questi anni precedenti al remake.

Demon's Souls
Demon’s Souls
GIUDIZIO
Il remake di Demon’s Souls è un'opera di assoluta importanza per l’intero mondo videoludico, che rende giustizia a una versione originale limitata dalla tecnologia del tempo. È senza dubbio il lavoro più importante del genere soulslike in quanto racchiude tutte le idee che sono state, poi, alla base dei successi di Dark Souls, Blodborne, Sekiro e altri ancora. C’è da dare merito ai ragazzi di Bluepoint che, ormai specializzati in lavori di ristrutturazione, sono riusciti a riportare alla ribalta un titolo spesso poco celebrato ma che invece meritava di essere affiancato ai nomi dei suoi successori ogni qualvolta si parla di soulslike. Il remake di Demon’s Souls non può che essere apprezzato dai veterani della serie e, molto più importante, potrò essere goduto anche da chi si accinge a giocarlo per la prima volta. Nonostante si potranno riscontrare alcuni aspetti ormai datati di gameplay e superati nei giochi successivi, saprà sicuramente regalare emozioni positive, soprattutto quando si capiranno gli aspetti da cui i successori hanno preso spunto. Sony è stata ottima stratega nel scegliere il momento giusto nel rivitalizzare una delle sue proprietà intellettuali più preziose sfruttando il lancio e l’hype della sua nuova console, per spingere quanti più giocatori possibili a scoprire e riscoprire un titolo che merita di essere giocato da tutti.
GRAFICA
9.5
SONORO
10
LONGEVITÀ
8.3
GAMEPLAY
8.2
PRO
Comparto tecnico e sonoro sublime
Caricamenti quasi inesistenti
Tasso di sfida altissimo...
CONTRO
...ma forse non adatta a tutti i giocatori
Si avverte la mancanza di attività end-game extra
9