All’interno della vastissima simbologia videoludica, il dragone minaccioso di Mortal Kombat rappresenta da sempre una garanzia per il genere dei picchiaduro. Nessuna scolaretta giapponese né ragazzini in jeans e cappellino con visiera: il torneo più violento tra tutti i mondi prevede solo la partecipazione di letali guerrieri dalle pessime maniere. D’altro canto, la creatura di Ed Boon e John Tobias ha conquistato le luci della ribalta proprio grazie al suo insaziabile appetito per la violenza visiva, a volte talmente esagerata da risultare quasi ridicola e quindi esorcizzata. In quanto team di sviluppo di videogiochi, sai di aver svolto un ottimo lavoro quando il tuo prodotto ha contribuito alla creazione dell’ESRB, il sistema di rating americano simile al nostro PEGI, che invece gestisce il rating per il vecchio continente.
Concepito durante un’era in cui il monopolio dei picchiaduro era detenuto da Capcom e dal suo Street Fighter, Mortal Kombat si è subito contraddistinto come qualcosa di completamente diverso: un mondo destinato a un pubblico adulto, sanguinolento e sopra le righe. Sarebbe però un crimine svilente ridurre una saga tanto iconica al semplice “è bello perché ci si mena forte”, specialmente se si considera la grande cura riposta nella creazione di una mitologia ricca, coerente e originale. Attendendo spasmodicamente l’arrivo dell’undicesimo capitolo numerato, fresco protagonista della nostra Cover Story di aprile, andiamo a sviscerare ogni piccola fonte d’ispirazione alla base della serie ed esploriamo assieme i mondi che ne compongono l’immaginario. Preparatevi a scoprire un universo più vasto di quanto pensiate.
CENNI STORICI E MESCOLANZE FOLKLORISTICHE
Con un team di sviluppo composto da sole quattro persone, la gestazione di Mortal Kombat ebbe inizio nel lontano 1991: Ed Boon, John Tobias, John Vogel e Dan Forden sono le menti alla base del progetto originale. Quello che avrebbe dovuto essere inizialmente un titolo a tema ninja – dopo un iniziale rifiuto di Midway – si trasformò in un tie-in del film Universal Soldier con Jean-Claude Van Damme, in uscita nelle sale nel 1992. Dal canto loro, Boon e Tobias continuarono a cullare il sogno di produrre un gioco più serio, maturo e violento, sulla falsariga di Enter the Dragon e Bloodsport. Fortunatamente, Van Damme si rifiutò di prestare le proprie sembianze al protagonista, mentre il grande successo di Street Fighter convinse Midway a lasciare carta bianca al proprio team, con lo scopo di creare un picchiaduro arcade totalmente nuovo.
Il rischio di partorire l’ennesimo clone del prodotto di Capcom era però elevato: per questo motivo, gli sviluppatori decisero di differenziare la propria visione in ogni aspetto. I modelli dei personaggi non sarebbero più stati degli sprite disegnati a mano, bensì digitalizzazioni di attori in carne e ossa. I colpi non sarebbero andati a segno con la leggerezza di un buffetto ma avrebbero fatto sgorgare litri di sangue da ogni orifizio dell’avversario. Mantenendo fede alle pellicole asiatiche a cui tanto s’ispirarono, Boon e Tobias infusero nel prototipo tutto il loro amore per i ninja e le arti marziali. Bodybuilder e stuntman professionisti indossarono quindi costumi e tutine colorate (spesso di qualità davvero scadente) per essere digitalizzati e trasformati in veri lottatori. Proprio la figura di Van Damme venne utilizzata come base per Johnny Cage mentre le opere di Bruce Lee e tanti altri artisti del combattimento furono di grande aiuto per ideare Liu Kang, Kano, Scorpion e Sub-Zero. Il resto, ovviamente, è storia: in attesa di un nuovo episodio di The Time Machine dedicato al brand di Mortal Kombat, concentrarci su dettagli ben più succosi.
Cinema, arti marziali, letteratura e folklore orientale si sono fusi in un emblema pop-culturale radicato e sfaccettato. Oltre ai divi dei film d’azione, i creatori hanno trovato proprio nel mito dell’est e nell’immaginario fantasy occidentale delle valide fonti d’ispirazione, non solo per la caratterizzazione dei personaggi ma anche per imbastire l’ossatura di una saga che con il tempo sarebbe divenuta solida e imponente. Come i più accorti avranno infatti già scoperto, dietro la violenza bruta di Mortal Kombat si cela una storia intricata e colma di personaggi da ricordare. Il letale torneo – nato per garantire equilibrio tra i mondi – non è solo un semplice stratagemma per intrattenere il malvagio Shao Kahn: impedendo all’imperatore del Regno Esterno di riunire tutti i reami sotto un unico pugno di ferro, gli dèi anziani sperano di rimandare il più possibile il ritorno dell’Unico Essere.
Si parla di un’entità eterna e onnipotente è stata divisa in frammenti dalle divinità antiche grazie ai Kamidogu, strumenti i quali hanno scisso l’Unico, disperdendone l’essenza. Ogni brandello del suo potere ha poi assunto una propria fisionomia, divenendo un regno ove nuove forme di vita hanno iniziato a prosperare. Un evento tanto catastrofico come il suo ritorno comporterebbe la distruzione di tutti gli ecosistemi e l’estinzione del creato. Leggende narrano che finanche i cattivi più iconici della serie fossero al suo servizio, spinti inconsapevolmente a perseguire obiettivi volti alla ricostituzione dell’Unico. Bisogna ringraziare Mortal Kombat: Deception, capitolo uscito molti anni or sono su PS2, per aver fatto luce su tali dettagli di lore, fondamentali per comprendere al meglio le motivazioni di svariati personaggi. Quello che inizialmente sembrava essere un semplice espediente – nato per fornire al giocatore tanti scontri all’ultimo sangue – si è rivelato poi essere una guerra per la sopravvivenza, per scongiurare il pericolo incombente dell’apocalisse.
A SPASSO TRA I MONDI
In che modo questo melting pot culturale si riflette sui mondi di gioco? Sempre nel secondo titolo pubblicato su PlayStation 2 abbiamo avuto la chance di esplorare vari regni nei panni di Shujinko. Personaggio non esattamente memorabile, il protagonista di Deception ci ha però consentito di esplorare meandri e villaggi dei mondi che compongono l’universo di Mortal Kombat: la modalità Konquista ci pone l’obiettivo di collezionare i Kamidogu per indebolire e sconfiggere Onaga, il re dragone tornato per reclamare il proprio trono. Ognuno degli strumenti divini è situato in uno dei sei reami esplorabili, i quali rispecchiano a livello strutturale differenti fonti d’ispirazione. Come in una puntata di Passaggio a Nord Ovest, seguiteci in questo viaggio fra differenti culture.
EarthRealm
Un mondo verde, vivibile e ricco di corsi d’acqua, in altre parole casa nostra. Mentre gli ultimi episodi della serie hanno mostrato scorci più realistici della Terra – basti pensare alla metropoli presa d’assedio durante l’introduzione di Mortal Kombat X – Deception ci catapulta nel lontano oriente, in una cittadina dai tratti squisitamente giapponesi. Tra pagode, dojo e templi per la meditazione, muoviamo i nostri primi passi con un giovane Shujinko, ancora sotto l’ala protettiva del maestro Bo’ Rai Cho.
I due diversi filoni narrativi presentano quindi un EarthRealm appartenente a epoche differenti, con scelte stilistiche e architettoniche ben distinte. Nel caso più recente troviamo una descrizione decisamente più concreta, con la civiltà contemporanea intenta a difendersi dalla minaccia esterna; in quello precedente invece ci viene introdotto un ambiente bucolico, appartenente a un tempo mitico lontano dai nostri lidi, più fedele al materiale asiatico tanto caro a Boon e compagni.
Outworld
Per quanto al cinema hollywoodiano piaccia utilizzare il nostro pianeta come scenario d’inenarrabili catastrofi, gran parte della trama di Mortal Kombat si svolge nel Regno Esterno. Le terre governate dalla spietato Shao Kahn sono costantemente in tumulto, lacerate da conflitti interni o pronte a muovere guerra agli altri mondi. Lo scenario – che abbiamo avuto modo di conoscere più volte – vive di pesanti influenze cinematografiche: da Mad Max a Star Wars, le lande desolate e le aride cittadine ospitano una popolazione sottomessa, praticamente identica a quella terrestre per aspetto fisico. Le abitazioni sono piccole, malmesse e costruite con materiali poveri, mentre i luoghi del potere appaiono come le roccaforti del male, tra pile di teschi, catene e spuntoni acuminati in ogni dove. Le strade della cittadina imperiale ricordano molto da vicino il pianeta Tatooine, sia per l’aspetto architettonico sia per quello demografico.
A far compagnia ai comuni mortali dell’Outworld troviamo le razze più disparate, appartenenti talvolta a regni andati dimenticati, scomparsi o distrutti dall’implacabile martello di Shao Kahn. Goro, Sheeva e Kintaro sono alcuni tra i più importanti nonché eminenti Shokan, una popolazione nativa del luogo, esemplari a metà tra l’umano e il draconico, dotati di ben quattro braccia e muscolatura superiore. Le razze non autoctone compongono però la fetta maggiore degli abitanti: poiché nomadi, fuggiaschi o rifugiati, numerosi popoli hanno trovato una casa proprio al fianco dei succitati. Reptile appartiene agli Zaterriani, esseri lucertoloidi che infestavano la Terra prima dell’avvento dell’Homo Sapiens; Kotal Kahn è un Osh-Tekk, civiltà simile a quella azteca, sia per cultura che iconografia; Baraka è invece un Tarkatan, una popolazione nomade e belligerante. Il prode guerriero dalle spade avambrachiali presenta i tratti più nobili per la propria specie, vale a dire lunghe zanne affilate, pelle semi-squamosa, irta di piccoli spuntoni e un insaziabile appetito per la carne nemica. I Kytinn, insettoidi provenienti dall’isola di Arnyek, trovano in D’Vorah una degli esponenti più importanti. Oltre a tale sequela di mostruosità, anche gli Edeniani sono stati costretti a occupare parte del Regno Esterno una volta visto cadere il proprio per mano del Kahn, ma di loro parleremo a breve.
NetherRealm
Quanto di più simile all’Inferno ci possa essere, il Regno Occulto è un luogo dove regnano caos, fuoco e malvagità. Casa degli Oni (Moloch, Drahmin), di demoni e anime perdute, il NetherRealm è anche la culla di tanti personaggi principali, i quali hanno trovato la via per la rinascita proprio tra le fiamme degli inferi. Scorpion e Noob Saibot vi sono risorti come spiriti vendicativi; il dio anziano Shinnok è stato ivi imprigionato dalle altre divinità per le sue malefatte; lo stregone Quan Chi vi ha trovato invece una perfetta casa, adatta a compiere i suoi rituali più macabri.
Oltre ai getti di lava e alle stalagmiti composte da teschi, tutti gli altri ambienti presentano elementi tipicamente riconoscibilmente nei film horror, come Hellraiser. Gigantesche lame rotanti, tritacarne senza un preciso scopo, fiumi di sangue che bagnano rive coperte d’ossa sono solo alcuni simboli tipici di questo felice parco giochi. Le sale del terrore ospitano aberrazioni d’ogni tipo, da homunculus putrescenti a corpi dilaniati sui tavoli da tortura: chi non vorrebbe trascorrervi le vacanze invernali?
Edenia
Non è un caso che precedentemente sia stata tirata in ballo la mitologia fantasy occidentale. Molto simile per vegetazione e gusto estetico alle gloriose città elfiche, Edenia è una terra rigogliosa, ricca di corsi d’acqua e costruzioni sopraelevate. Con le sue guglie d’oro e i suoi drappi verdi e viola, il regno della regina Sindel ha dato i natali ad alcuni dei personaggi più amati della serie, come la principessa Kitana, la sua protettrice Jade e il principe Rain.
I colori scelti per ricreare le strutture richiamano spiccatamente anche i costumi dei suoi lottatori, a riprova del fatto che gli edeniani siano solo dei fashion blogger.
Mortal Kombat 11 è quasi alle porte e dopo aver svolto un’allegra scampagnata per i mondi che ne compongono l’universo, la voglia di mettervi sopra le mani è più alta che mai. In questo nostro viaggio abbiamo dato uno sguardo non solo alle fonti d’ispirazione alla base del mito, ma anche agli scenari. In un altro approfondimento della nostra Kover Story, dedicato al roster dei lottatori, troverete analizzati tutti i personaggi dell’undicesimo capitolo finora annunciati, Fatality incluse.