Gamification, svecchiare la didattica coi videogiochi

Gamification, svecchiare la didattica coi videogiochi

Apprendere divertendosi: l'importanza della gamification nell'insegnamento scolastico.

Da quando ho memoria il mondo dei videogiochi mi ha sempre affascinato. Sarà il fatto di essere appassionato di storie avventurose con protagonisti di spicco, o semplicemente perché trovavo la cara vecchia via di fuga che altri vedevano nei libri o nei film. Solo che quando ero più piccolo, una quindicina di anni fa, i videogiochi erano considerati una perdita di tempo senza valore, addirittura ricordo di una ragazza che al liceo mi disse che non potevo paragonare un libro a un videogioco. Colpo basso, anche se ho avuto la mia rivincita un paio di volte, mostrando quanto fossero importanti i messaggi veicolati e raccontandoli in una sorta di compendio che l’intera classe aveva stilato per il programma di filosofia di quell’anno.

In quel periodo però la cosiddetta gamification non era così conosciuta, almeno in Italia. La percezione del videogioco come medium di valori, e addirittura di strumento per l’apprendimento, è un tema che ancora oggi fatica a trovare la sua dimensione nel Bel Paese. Colpa anche di una serie di visioni e metodologie, magari efficaci ai fini della didattica, ma non efficienti. E i ragazzi di oggi, come allora, si chiedono ad esempio perché debbano sapere cosa fece Maria Antonietta durante la Rivoluzione Francese, non tanto per una conoscenza personale, ma per una mancanza di stimoli da parte di chi dovrebbe trasmettere il messaggio.

Gamification, svecchiare la didattica coi videogiochi
Gamefroot permette di sviluppare giochi semplici in un ambiente altrettanto intuitivo.

Lo scorso 8 giugno ho avuto modo di partecipare attivamente alla cerimonia di premiazione, online purtroppo, del bando Informatica x Gioco = Fantasia + Regole, un concorso promosso dall’Università di Camerino dove l’obiettivo, ovviamente, era sviluppare un gioco. Essendo rivolto agli studenti delle scuole superiori, non era richiesto l’utilizzo di tool più avanzati come Unity o Unreal, piuttosto è stata sfruttata la piattaforma Gamefroot, che mette a disposizione un ambiente di sviluppo semplice e intuitivo anche per chi non ha mai toccato una riga di codice.

Tuttavia, più che creare un videogioco lo scopo era quello di vedere i ragazzi lavorare in gruppo. “There is no I in Team”, dicono gli anglofoni, e così gli studenti sono stati spinti a elaborare concept, dividersi compiti e portare a termine un un’attività relativamente complicata per gli standard più cartacei o meno emozionanti a cui sono stati abituati. La seduta si è poi conclusa con la premiazione di tutti e tre i progetti. Nonostante tutti i problemi dovuti al lockdown dei mesi scorsi, quello a cui ho assistito è stato un impegno collettivo da parte degli studenti coinvolti. Ho visto un lavoro genuino, presentato in maniera innocente e con la stessa emozione, e magari anche un po’ di sano imbarazzo, che mi ha ricordato quella degli sviluppatori indipendenti che incontri alle fiere di settore, nei booth più nascosti, come mi è accaduto a Los Angeles o ancora prima a Colonia.

È proprio nelle parole di questi ragazzi che si è notato quanto la gamification sia un valido strumento per la didattica. Ma più che per i ragazzi delle superiori, ormai arrivati quasi alla conclusione dei loro studi obbligatori, sono i più piccoli che trarrebbero beneficio dal gioco. Troppo spesso sentiamo lamentarsi gli adulti, e specialmente gli insegnanti, che i ragazzi a scuola non riescono ad appassionarsi alle materie, cadendo nell’atavica domanda “sono io o è lo studente?”.

Minecraft è un valido strumento per aiutare gli insegnanti con la didattica.

Uno degli interlocutori di TEDx UAlberta, Scott Helbert, ha fatto giustamente notare come da un certo punto in poi, il gioco sparisca dai tavoli per fare spazio al libro. Lo stesso vale in Italia, dove dalla prima elementare in poi si gioca molto di meno per fare spazio alla didattica che conosciamo tutti. Si studia per prendere un bel voto, non perché serve a noi. I bambini non trovano appagamento nell’imparare una tabellina o una poesia perché fondamentalmente è qualcosa a cui viene loro imposto, fino a quando un mese prima scorrazzavano nel cortile liberi di giocare.

Da qui appunto la necessità di svecchiare la didattica con misure diverse da quelle a cui siamo stati abituati finora. Le proposte di oggi per implementare la gamification e, nel nostro caso specifico, i videogiochi sono moltissime, vedesi la sopracitata Gamefroot, anche se magari rivolta a un pubblico adolescenziale, oppure CodeMonkey, questo invece rivolto ai più piccoli e di facile comprensione. Insegnare la programmazione ai bambini permette loro di comprendere meglio i meccanismi che si celano dietro alla matematica, ad esempio, oltre a sviluppare il pensiero logico. E se non vogliamo toccare le nodose righe di codice, Minecraft è un’ottima opzione per aiutare i ragazzi a concentrarsi e realizzare qualcosa di unico e, perché no, inerente allo studio come ricreare il funzionamento di un mitocondrio, testare principi della fisica e tanto altro, d’altronde il titolo di Mojang non ha davvero limiti in questo senso.

Motivare quindi a sviluppare videogiochi, a parlarne, o semplicemente giocare può essere il primo passo per una didattica più fresca e snella, che garantisca divertimento e apprendimento allo stesso tempo. È ovvio che le modalità classiche non possono venire sostituite da un momento all’altro e non deve accadere, ma non ci dispiacerebbe vedere i bambini gioire e imparare grazie ai nostri amati videogiochi.