Ed eccoci qua, a discutere di nuovo di Blooroots, un particolare e adrenalinico action game sviluppato Paper Cult e pubblicato lo scorso 28 febbraio per PC, PlayStation 4 e Nintendo Switch. Sono passati all’incirca sette mesi da quando ve ne ho parlato in uno speciale dedicato ai migliori titoli indie provati alla Gamescom 2019; tra errori e tentativi maldestri, bibite alcoliche dal sapore discutibile e battute dissacranti su Hideo Kojima (lo so, sono una brutta persona), il mio tête-à-tête con Bloodroots si è rivelato piuttosto interessante.
Talmente interessante che, come dicevo, ve ne parlerò in questa recensione, sviscerando (tanto per usare un termine propriamente azzeccato) quelli che sono i suoi pregi e quei difetti di un titolo che è entrato di pieno diritto nella mia personale top ten dei giochi pù assurdi che io abbia mai provato. Credete che stia esagerando? Allora non vi resta che leggere la nostra recensione di Bloodroots.
WHERE IS MR. BLACK WOLF?
A guardare bene l’incipit con cui si alza il sipario su Bloodroots è impossibile non constatare chiari riferimenti cinematografici. Quel non so che di “tarantiniano” emerge infatti di prepotenza quando il protagonista del gioco, tale Mr. Wolf, viene quasi ammazzato da quella che era una volta la sua cricca, ripercorrendo quasi le stesse vicende narrate in Kill Bill. Una dopo l’altra, le citazioni a film di un certo spessore si manifestano palesemente mentre si posa lo sguardo sull’aspetto del protagonista e il suo nome, riferimenti espliciti alla pelliccia che sfoggia Leonardo Di Caprio in Revenant e quel Mr. Wolf che risolve problemi in Pulp Fiction.
Comincia in questo modo l’ossessiva ricerca della nemesi del protagonista, quel Mr. Black Wolf (che al contrario i problemi li crea anziché risolverli) che tormenta gli incubi del protagonista, pronto a lottare con le unghie e con i denti pur di dargli la lezione che si merita. In realtà dietro la riduzione in brandelli di interi battaglioni non c’è soltanto il sadismo del protagonista, ma un tremendo desiderio di vendetta da parte del “Signor Wolf” che sarà raccontato anche attraverso brillanti dialoghi che ricostruiranno le ragioni che hanno l’hanno portato a essere tradito dalla sua vecchia gang.
ARMI IMPROVVISATE E DOVE TROVARLE
Quello che mi aveva colpito inizialmente di Bloodroots era che pure una carota, all’apparenza così arancione e innocua, poteva essere usata per massacrare chiunque provava a fermarmi. Una carotata in testa e tanti saluti. Non mancano in questo caso analogie con titoli come Hotline Miami o Honk Kong Massacre, frenetici giochi d’azione in cui è vero che chi spara per primo spara due volte, ma è altrettanto innegabile che se non si è carnefici allora si diventa vittime. Questa caratteristica di poter uccidere (o essere uccisi) con un solo colpo è la chiave di volta su cui poggia l’intera esperienza, rendendo Bloodroots tanto adrenalinico quanto impegnativo.
Qualsiasi oggetto che troverete può essere usato per seminare morte e distruzione così da lasciarvi dietro una scia di sangue non indifferente. Dal cibo agli oggetti da lancio, passando per armi da fuoco e strumenti al limite del ridicolo come un fucile NERF, nel turbinio di follia messo in piedi da Paper Cult potrete sperimentare realmente le combo più assurde trucidando nemici senza soluzione di continuità. Ognuna di queste armi del delitto però potrà essere usata un numero limitato di volte, segnalato con un’apposita icona nella parte bassa dello schermo. Ci sono poi elementi dello scenario come carri che trasportano paglia o barili su cui possiamo fare affidamento per schiacciare nemici o evitare trappole mortali che spuntano dal terreno, che all’occorrenza possono anche essere sfruttate a proprio vantaggio.
Lo scopo è muoversi di scenario in scenario eliminando così tutti i soldati nemici, la quale non staranno di certo a guardare e partiranno all’attacco non appena entreremo nel loro campo visivo, o che non esiteranno a spararci a vista. C’è quindi un pulsante per l’attacco e uno per saltare, ma niente dash, mentre la visuale isometrica (spesso non impeccabile in alcuni situazioni) fornice un’ampia panoramica dell’area di gioco. Vi dico da subito che le mosse finali con cui il nostro eroe redivivo si libera dell’ultimo nemico presente sul livello, poco importa se l’arma in questione è una carota o un fenicottero rosa (esatto, quelle decorazioni da giardino oscenamente kitsch), valgono da sole il prezzo del biglietto per la loro estremizzata creatività.
Quasi dimenticavo: nel corso della campagna sbloccherete diversi copricapi che doneranno al protagonista interessanti (e altrettanto assurde) abilità da usare nei livelli già completati e che in alcuni casi possono essere sfruttart per raccogliere alcuni collezionabili.
BASTARDI INGLORIOSI
Quando ci si mette Bloodroots sa essere veramente bastardo, ovviamente nell’accezione buona del termine, considerato che il “try and die” è una delle colonne portanti dell’esperienza di gioco. Il divertente titolo sviluppato da Paper Cult non raggiunge i diabolici picchi di difficoltà visti in produzioni come Super Meat Boy, ma non raramente mi è capito di provare una singola porzione di un livello anche quaranta volte. Sta di fatto che Bloodroots non è assolutamente un titolo consigliato a chi cerca un’esperienza pacata e rilassante, anche se a dir la verità sfogare un po’ di rabbia depressa sui malcapitati battaglioni di turno è stato per me un vero toccasana.
Il proprio istinto omicida può essere placato anche nei livelli bonus che ogni tanto fanno capolino tra una missione e l’altra, dove viene richiesto di distruggere entro lo scadere del tempo tutti i fantocci presenti nell’area. Non troppo sorprendentemente il picco di difficoltà si raggiunge in occasione delle boss fight, tra l’altro ben strutturate, che fortunatamente offrono una serie di checkpoint tra una sezione e l’altra.
Per venire incontro a chi magari ha riflessi poco allenati, o semplicemente vuole godersi il gioco senza rischiare di far volare il controller dalla finestra, il team di sviluppo ha inserito un’opzione che semplifica la vita ai giocatori che preferiscono un’esperienza meno frenetica ma comunque appagante. Al contrario, gli amanti delle sfide piuttosto impegnative potranno dannarsi l’anima per completare i livelli col maggior numero di punti e il più velocemente possibile, cercando allo stesso tempo di non soccombere sotto i colpi nemici. Si entra così in quel meccanismo che spinge i giocatori a riprovare e riprovare, anche una cinquantina di volte, lo stesso livello per provare a scalare le classifiche online.
CINQUANTE SFUMATORE DI ROSSO (SANGUE)
La follia che contraddistingue Bloodroots è tangibile anche nelle ampie pennellate rosso sangue che colorano gli stage nel giro di una manciata di secondi, che ben testimoniano il passaggio di Mr. Wolf. Gli scenari, disegnati a mano dal team di sviluppo, propongono un po’ quello che è l’immaginario western tra grandi canyon e le tipiche costruzioni bianche e squadrate che esaltano anche la verticalità del gameplay.
Bloodroots ha stile da vendere, e non solo perché offre citazioni cinematografiche di un certo richiamo; lo stile un po’ da cartoon tra l’altro ben si sposa con la violenza gratuita tanto cara a Mr. Wolf, per quanto questi due elementi possano sembrare agli antipodi. Per essere una produzione indipendente a sorprendere è anche la stabilità del frame-rate che raramente mostra qualche incertezza, un aspetto decisamente importante considerata la frenesia di Bloodroots.
Ottimo anche il lavoro che Paper Cult ha svolto sulle musiche di gioco e gli effetti sonori, che ben si inseriscono all’interno di un titolo che non si prende mai troppo sul serio. La mancata localizzazione in italiano è purtroppo una scelta che potrebbe far desistere dall’acquisto qualche giocatore, sebbene la comprensione dei dialoghi richiede una conoscenza dell’inglese piuttosto basilare.