Quanto in basso si deve cadere prima di toccare il fondo e finalmente iniziare a risalire? Quanto deve durare la permanenza nel baratro prima che qualcosa nella nostra mente scatti e ci dia la forza per tornare a vivere? I ragazzi di Krillbite Studio provano a darci un’idea di cosa significhi vivere una vita al punto più basso che si possa toccare, una vita grigia, senza colori, animata dalla costante sensazione di non farne parte.
Ambientato in un’immaginaria città distopica, Mosaic ci fa vestire i panni di un cittadino afflitto da una grave forma di disinteresse nella vita, o almeno di quella di cui fa parte, che si snoda tra la solitudine e il continuo essere giudicati, il tutto condito da un mondo privo di colori.
VIVI E LASCIA VIVERE
L’esperienza di gioco che ci viene fornita durante le poche ore di gameplay necessario a portare a termine l’intero atto narrativo si incentra sulla ricerca, via via sempre più consapevole, di una via d’uscita dalla monotonia. Per farlo ci verrà richiesto di vivere letteralmente la vita del protagonista, a cominciare dall’alzarsi dal letto, forse l’azione più difficile da svolgere emotivamente parlando, fino ad arrivare sul posto di lavoro, dove saremo costantemente in ritardo.
Nel mezzo, un percorso, sempre uguale, fatto di scoperte e indifferenza sociale, di incontri colorati e di una folla nera, nella quale la nostra camicia bianca, la stessa del giorno prima, è l’unica a risaltare, il tutto sempre in compagnia di un pesce rosso, nostro fidato compagno di viaggio, che ci darà quello stimolo in più per arrivare ancora una volta a destinazione.
METTIAMOCI AL LAVORO
Una volta arrivati davanti al monitor della nostra postazione di lavoro, ciò che ci verrà richiesto di fare altro non è che raggiungere un dato obiettivo, rappresentato da un mini-gioco in cui dovremo raggiungere una pietra miliare tracciando un percorso quanto più lineare possibile, stando attenti a schivare i vari impedimenti al successo, quali la disobbedienza, rappresentati da diversi colori.
Il sistema di gioco in questo frangente è estremamente semplice, andandosi ad articolare mano a mano che si progredisce nella storia. Non dovremo far altro che costruire estrattori, i quali produrranno energia, che sarà poi necessario convogliare nei vari gradini del percorso fino a farli giungere in prossima della pietra miliare. Una volta convogliata tutta l’energia nella pietra il nostro lavoro sarà compiuto, e saremo liberi di tornare a casa, consapevoli che, il giorno dopo, nulla sarà diverso.
UN BUONGIORNO… DIVERSO
È ancora una volta la sveglia del nostro smartphone a svegliarci, assieme al suono degli innumerevoli messaggi della banca che ci ricordano che il nostro conto è in rosso, e del nostro capo, che ci tiene a risollevarci il morale dicendo che siamo estremamente meno produttivi di un impiegato medio, e che se tarderemo ancora ad arrivare al lavoro il nostro contratto verrà interrotto. È proprio il giorno del nostro ipotetico licenziamento che qualcosa definitivamente scatta nella nostra testa.
Incuranti dei diviet, ci incamminiamo in un’area della nostra azienda proibita ai dipendenti, ed è lì che scopriamo ciò che per anni abbiamo contribuito ad alimentare. Si tratta di un enorme server centrale, nel quale tutte le energie estratte durante le nostre ore di lavoro vengono convogliate, intrappolando i colori della natura e le emozioni delle persone, per la creazione di un mondo cupo e popolato da automi.
L’ULTIMA TESSERA DEL MOSAICO
Così prende finalmente forma l’ultimo atto narrativo di Mosaic, dando risposte alle nostre domande e soprattutto un senso a ciò che prima ne era privo. Il viaggio emozionale di un Uomo che non ha mai accettato il suo posto in un mondo al quale non sentiva di appartenere, un mondo che ora può tornare a colorarsi delle emozioni e dei sentimenti dei suoi abitanti, liberi di esprimersi e di socializzare, e liberi finalmente dal giogo di un servilismo portato alla sua estrema concezione.