Into the Breach
Versione testata: PC

Into the Breach

Le produzioni indipendenti sono state spesso una ventata di aria fresca per il genere strategico, sdoganando vecchi dogmi e inventando formule nuove. Mentre, ancora oggi, vediamo prosperare grandi nomi come Age of Empires e Civilization, nelle retrovie si compiono esperimenti che fanno nascere vere e proprie gemme. Tra esse, è impossibile non menzionare il grande lavoro di Amplitude Studio e le serie Endless o il più recente Stellaris di Paradox Interactive. Tuttavia, una piccola e significativa rivoluzione di design avvenne qualche anno fa, quando arrivò sul mercato quell’opera chiamata Faster Than Light, o FTL per gli amatori.

Questo terremoto creato dal piccolo studio di Subset Games ebbe una risonanza enorme nel mondo videoludico, sia per via dell’estrema qualità del gioco, sia per il boom dell’era dei Let’s Play. Con la sua difficoltà ben bilanciata e un gameplay vario quanto randomico, aveva letteralmente conquistato i cuori dei giocatori, ormai già intenti a far sopravvivere la propria navicella nei terrori del cosmo. Dopo un silenzio durato anni, il team ha rilasciato il suo nuovo atteso progetto: Into the Breach. Abbandonando lo spazio per tornare sulla Terra, questa volta il tema centrale gira intorno a un’invasione aliena e alle ultime difese rimaste all’umanità. In una sorta di mix tra mecha, linee temporali alterate e scenari apocalittici, Subset Games riprova a conquistare in nostri cuori con “tremito nella Forza” del genere. E noi abbiamo avvertito tale grido chiaramente.

SALI SUL ROBOT, ANCORA UNA VOLTA

Partendo proprio da FTL, vediamo nuovamente la narrazione ridotta all’osso per concentrare tutte le energie sul gameplay, rendendo la storia funzionale a esso in modo da contestualizzare le varie meccaniche di gioco. Quello che veniamo a sapere dal primo avvio in assoluto è che l’umanità è stata neutralizzata da una crudele minaccia aliena: i temibili Vek. Al fine di evitare il totale annientamento della specie, alcuni coraggiosi piloti e i loro rispettivi mecha vengono inviati in un’altra linea temporale antecedente, incaricati di evitare l’inevitabile a ogni costo. Come un novello Tom Cruise in Edge of Tomorrow, il protagonista dovrà affrontare una marea di battaglie per conquistare un futuro libero dagli invasori. Nel malaugurato caso in cui moriremo, dovremo ricominciare da capo mantenendo però l’esperienza accumulata nel mondo precedente.

Risulta evidente che i riflettori siano puntati solamente sull’azione, lasciando tutto il resto come contorno per abbellire lo scenario, quasi letteralmente per i dialoghi. Una volta scelta squadra iniziale ci si butta direttamente nel conflitto, il quale verte principalmente sul riconquistare le isole del gioco affrontando i nemici, una zona alla volta. In una maniera simile a quanto succedeva nel precedente titolo dello studio, le diverse squadre di robot e le altre variabili si sbloccheranno nel corso del gioco in maniera casuale o raggiungendo determinati obiettivi prontamente segnalati. Volenti o nolenti, la ripetizione sarà qualcosa a cui non si potrà sfuggire, tanto per i giocatori quanto per i piloti.

Into the Breach potrebbe essere generalmente descritto come una sorta di letale partita a scacchi, con pezzi fatti di metallo e chitina. All’interno delle piccole scacchiere di terra dovremo posizionare le nostre unità e conseguire determinati obiettivi diversi di volta in volta. I Vek che affronteremo in esse continueranno ad apparire nel corso della partita e la loro unica missione è quella di spazzare via la razza umana, convenientemente rappresentata da una barra di energia costantemente presente nel corso del gioco. Se tale Energia si riducesse allo zero, o la squadra che la difende morisse, sarà Game Over e si dovrà ricominciare portandosi il peso delle molte morti civili (e militari) dovute alla nostra inettitudine.

Più che sui puri danni inflitti, il gioco si basa sulla direzione delle mosse e il movimento da effettuare, dando risalto a ostacoli, effetti sulle zone e via dicendo. Mentre i Vek punteranno agli edifici, o ci metteranno in situazioni di stallo, noi dovremo cercare di evitare che i loro attacchi causino danni spostandoli (o eliminandoli) con i nostri. Sfruttando l’ambiente, i vari tipi di danno e l’arsenale a disposizione, si punterà tutto a dare lo scacco ai nostri nemici tentando di bloccare le loro mosse o prevederle prima che combinino disastri. Fateli bruciare nelle caselle con le foreste o buttateli nell’acqua, qualsiasi tattica, per quanto spartana, potrebbe essere la vincente. Statistiche, armi e tutti gli altri elementi bellici assumono un ruolo marginale per dare spazio al movimento e alla capacità strategica del giocatore, regalando battaglie ardue ma sempre giuste.

Ogni volta che si muore non si ha mai la sensazione di essere stati raggirati da strane percentuali del gioco, o di essere costantemente in netto svantaggio, piuttosto si tratterà di un’occasione per capire quale approccio non sia andato a buon fine, o quale sequenza di mosse si sarebbe potuta utilizzare per spazzare via quei dannati insettoni. Un effetto simile è prevalentemente dovuto alla geniale quanto creativa idea di basare Into the Breach sul movimento delle unità, portando un’equazione di elementi e meccaniche molto originale e innovativa. Inoltre, il grado di sfida sempre crescente ha una curva abbastanza generosa e permette ai neofiti degli strategici di abituarsi quanto basta per tollerare i numerosi trial & error che seguiranno nelle crude ore successive al tutorial.

Non solo diverte, ma il gameplay tiene sempre alta l’attenzione dando un enorme peso a qualsiasi mossa si compie. Perciò è stato necessario inserire un’opzione per “eliminare l’ultima mossa compiuta”, la quale però non può essere sempre utilizzata e quindi inaffidabile quanto basta per non renderla un modo per barare la morte. Tutto quindi gira intorno all’unica cosa che dovrebbe contare per uno gioco di strategia: le tattiche del giocatore.
In tal senso, Into the Breach è in grado di essere complesso, subdolo e molto meccanico nei riguardi dei power-up. Però, grazie agli elementi casuali, all’abolizione di un game over netto e all’equilibrio delle battaglie, non solo diverte, ma lo fa con stile e dannatamente bene.

DISTRUZIONE A CUBETTI

Il lungo cammino verso la vittoria è tuttavia scandito da moltissime ore di gioco, che varieranno in base a quanti tentativi si faranno nel corso della “campagna”, sfociante in uno scontro davvero ostico, perfino superiore perfino alla famosa astronave madre di FTL. La longevità del titolo è ovviamente costituita solamente dai vari scontri e dalla fondamentale accortezza nel gestire le risorse. Le piccole sfumature da gestionale, sistemate con accortezza tra uno scontro e l’altro a mo’ di rifornimenti, sono solamente una delle tante caratteristiche che permettono a Into the Breach di non scadere mai nella ripetitività indipendentemente da quanti combattimenti si affrontano e dai giorni spesi al suo interno. Il microcosmo di unità e potenziamenti da gestire, così come le diverse missioni da affrontare nelle zone, rendono differente e “nuovo” ogni scontro, perfino quelli già affrontati in precedenza.

Queste condizioni sono favorite soprattutto dalla presenza dell’elemento casuale, o roguelike se vogliamo, che randomizza ogni partita. A differenza del precedente titolo di Subset Games, la sua incisività non è così dominante, principalmente per il minore ruolo affidato a statistiche e armamenti. Sebbene ci sia effettivamente un’enorme varietà di armi, e un vantaggio ad avere combinazioni ottimali, quest’ultime necessitano di una pianificazione attenta per essere usate nella maniera corretta. Paradossalmente, non basterà avere i migliori Mecha sulla piazza per vincere lo scontro o tutti gli upgrade, anche un mostro base potrebbe costarvi caro se non prestate attenzione all’ambiente e agli obiettivi. La tendenza è dunque opposta a quanto visto nel genere in passato, soprattutto per quei strategici in cui tutto si basa sulla crescita delle unità. E di certo non aiuta la presenza del “fuoco amico” dovuto agli impatti tra le unità; una perfetta arma a doppio taglio.

Infine, l’ultimo elemento che soffoca il tedioso ripetere combattimenti su combattimenti è il fantastico lato tecnico. Into the Breach conferma nuovamente l’intenzione dello studio di sfruttare una pixel art abbastanza minimale ma funzionale. Leggero come una piuma su qualsiasi PC, questo gioiellino 2D sfrutta sapientemente la semplicità come arma per creare un’estetica colorata, vivace e in grado di saltare all’occhio dell’utente. Le arene sono scandite dalle varie palette di cromature diverse, mentre la cura dei dettagli è affidata ai ritratti dei vari piloti e NPC. Non si tratta di creare uno stile ricercato o visivamente d’impatto, quanto qualcosa di funzionale alle dinamiche ludiche. La chiarezza diventa dunque il focus principale del lato tecnico, e l’obiettivo è stato soddisfatto pienamente.

La stessa cosa potrebbe essere applicata al lato sonoro, che non propone di certo una colonna sonora memorabile scritta da Hans Zimmer, ma solamente dei piccoli brani d’accompagnamento a cui difficilmente si farà caso, se non per particolari menzioni. Il feeling comunicato dagli effetti audio ricorda moltissimo le vecchie glorie da sala giochi, così come l’apparenza e il tema scelto per la backstory, dando quella piccola gioia a noi nostalgici dei bei tempi andati. L’assenza di un doppiaggio o della lingua italiana sono mancanze dettate più dal budget che da precise scelte artistiche.

In generale, si tratta dunque di un approccio piuttosto blando alla parte visiva, specializzata principalmente negli elementi da HUD e nelle scorciatoie per la tastiera. Il lavoro migliore viene proprio sottolineato dall’accessibilità dei vari indicatori del gameplay: colorati, ben visibili e in grado di enfatizzare le conseguenze delle varie azioni nella maniera più chiara possibile. Dite pure addio ai miliardi di menù, sotto menù, pagine della scienza e statistiche dell’unità, tutto ciò che vi serve è contestualizzato in un’unica schermata e nel bel mezzo dell’azione. La guerra è così, non è fatta di fronzoli e merletti, ma di crudo metallo sporco delle interiora di qualche marziano, come ci insegna Will Smith.

Into the Breach
Into the Breach
GIUDIZIO
Into the Breach di Subset Games è l'ennesima conferma del genio creativo dello studio. Arduo, divertente e appassionante, questo strategico ha tutti gli elementi per monopolizzare il vostro tempo libero. Sebbene sia basato sulla ripetizione di combattimenti, gli elementi randomici e l'efficiente comparto tecnico rendono ogni scontro innovativo e mai noioso. A contornare l'ottima struttura basata sul movimento c'è una marea di potenziamenti, power-up e risorse da gestire. Si tratta di un titolo accattivante che, ancora una volta, dimostra il potenziale innovativo dei giochi indipendenti nel genere degli strategici.
GRAFICA
8
SONORO
8
LONGEVITÀ
9
GAMEPLAY
9
PRO
Gameplay solido basato sull'abilità del giocatore, simile agli scacchi
Grafica accattivante e funzionale alle meccaniche di gioco
Corretto equilibrio tra fattori casuali e statici
CONTRO
Veramente arduo per i neofiti del genere
Alcuni obiettivi opzionali posizionati in maniera troppo svantaggiosa
8.5
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