The Last Guardian

The Last Guardian

È quando scorrono i titoli di coda di The Last Guardian che capisci effettivamente il valore e la portata della “creatura” che Fumito Ueda ha plasmato nel corso di quasi dieci anni. Quando ripercorri con la mente il viaggio che ti ha portato a conoscere Trico, comprendi che il legame creatosi è speciale, di quelli indelebili. Una storia, quella narrata dall’autore di IcoShadow of the Colossus, che punta sull’empatia tra due creature estremamente diverse tra loro, sull’amicizia tra uomo e bestia, l’istinto di protezione reciproco, l’amore incondizionato che spinge al sacrificio.

Lo fa con un gioco ben lontano dall’essere perfetto, ma che riesce comunque a rapire il giocatore e avvolgerlo in un mondo dall’atmosfera misteriosa, quasi magica, a tratti incomprensibile ma decisamente affascinante. Lo fa dimenticandosi che, dieci anni dopo, l’industria dei videogiochi è cambiata. Lo fa con scelte discutibili, che però contribuiscono a renderlo così diverso, particolare, unico. The Last Guardian non rappresenta il capolavoro che molti attendevano sin dall’annuncio all’E3 2009, ma è di sicuro una storia di grande impatto che merita di essere vissuta. Dall’inizio alla fine. Titoli di coda inclusi.

È la storia di un ragazzo senza nome, risvegliatosi di fianco a una bestia dalle fattezze mitologiche, che giace al suolo, incatenato. Un grifone in realtà più simile a un gatto, ma con ali e piumaggio al posto del classico pelo. La bestia è ferita, ma non permette a nessuno di avvicinarsi. Soffre visibilmente… d’altronde, le due lance ficcate nel corpo non devono essere piacevoli. Il ragazzo prova ad aiutarlo, tentando di rimuovere le lance, ma la bestia non si fida. Spaventata, lo scalcia via. Il ragazzo non demorde e, non curante di ciò, si aggrappa alla coda della bestia, poi alle folte piume per estrarre le lance e curarne le ferite. Visibilmente esausto, l’animale lascia che il ragazzo lo aiuti. È ancora diffidente, ma le forze stanno per abbandonarlo. Infine, il ragazzo riesce a rimuovere le lance, cerca del cibo con cui curarlo e lo libera dalla sua prigionia. La bestia gli è riconoscente, e mette da parte la diffidenza. È l’inizio della magia.

The Last Guardian ci racconta l’evoluzione del rapporto tra il ragazzo e Trico, la bestia. Un po’ gatto, un po’ cane, un po’ uccello, Trico fa parte di una razza di misteriose creature che popolano il mondo fantastico creato da Ueda, controllate da una strana entità che può condizionarne il comportamento. Dopo esser stato liberato dal ragazzo, Trico sfugge al controllo mentale e comincia a interagire con il suo salvatore. Risponde al richiamo quando, con il tasto R1, il ragazzo grida il suo nome. Lo aiuta quando si tratta di superare ostacoli troppo grandi per un semplice bambino, facendolo adagiare sul suo corpo per poi compiere balzi poderosi e raggiungere l’area successiva. Qui, il ragazzo deve aiutare Trico a superare un cancello che gli impedisce di proseguire. Il ragazzo usa un interruttore e gli apre la strada, ma Trico si rifiuta di proseguire. Ha fame.

IL MIO AMICO TRICO

The Last Guardian mantiene il concept delle avventure precedenti di Team Ico. Pur rappresentando un titolo a sé stante rispetto ai predecessori, quello che fu presentato con il nome in codice di Project Trico ha saputo prendere gli aspetti migliori di Ico e Shadow of the Colossus, come l’interazione con gli ambienti e il rapporto tra creature di dimensioni differenti, e miscelarli nel gameplay di The Last Guardian. Così, il ragazzo va in giro alla ricerca di cibo. Sa che Trico è particolarmente ghiotto di speciali casse, al cui interno c’è una strana essenza bluastra. Gli lancia una cassa, poi gliene porge un’altra. Trico è finalmente sazio e accetta di proseguire.

Lentamente, i due imparano a conoscersi. Ora dopo ora, il rapporto diventa più solido, un legame che va oltre la semplice amicizia: il ragazzo ha bisogno di Trico così come Trico ha bisogno del giovane ragazzo. Non si tratta di un mezzo per raggiungere uno scopo comune che, almeno inizialmente, appare incomprensibile. È pura empatia, ed è proprio quando scatta questa scintilla che viene introdotto nel gameplay un nuovo elemento. Il ragazzo può interagire con Trico, “ordinandogli” di compiere determinate azioni utili per risolvere un puzzle ambientale. Ora, è importante sottolineare che nonostante gli ordini del ragazzo, Trico mantiene il carattere tipico di un animale, in particolare di un gatto. È possibile, dunque, che a un’azione impartita dal giocatore non corrisponda reazione alcuna da parte di Trico. Per una, due, dieci volte.

Che si tratti di libero arbitrio, capricci di un animale o semplici errori di progettazione dell’intelligenza artificiale, è difficile stabilirlo. I più romantici sono portati a credere che Fumito Ueda abbia volutamente inserito una certa causalità nella risposta ai comandi di Trico, facendo sì che la bestia reagisse in modo random agli ordini. Il che è sinonimo di frustrazione, perché non è raro dover attendere per cinque, dieci, venti minuti che Trico si posizioni in modo corretto per superare un puzzle, spesso portandoti a credere che sì, forse stai sbagliando tu, forse c’è un modo diverso per raggiungere un’area che, guarda caso, ha proprio le dimensioni di Trico e sta chiamando il tuo nome a gran voce. Il tutto per poi prendere l’iniziativa autonomamente, compiendo in un attimo quel salto che gli stavi pregando di fare da ormai trenta minuti.

Lo stesso designer ha confidato in un’intervista inclusa nel kit alla stampa di aver voluto rendere più credibile il comportamento di Trico, creando una IA che reagisse in “modo naturale” agli input del giocatore. Ed è per questo che inizialmente risulta apprezzabile che Trico non si precipiti a raggiungere la propria posizione a ogni richiamo da parte del giocatore, un aspetto che aveva reso il personaggio di Rutilia (il cavallo di The Witcher 3: Wild Hunt) un po’ paradossale. Allo stesso tempo, però, il rischio di una scelta simile è quello di portare il giocatore a cedere alla frustrazione, sopratutto nelle fasi più avanzate dell’avventura. Il trucco avrebbe potuto essere quello di fare in modo che la risposta di Trico ai comandi del giocatore fosse proporzionale al loro legame: più forte il rapporto tra i due esseri, più veloce, meno casuale e più precisa la risposta ai comandi da parte di Trico.

L’avventura procede in modo piuttosto lineare, sfruttando il legame tra Trico e il ragazzo come colonna portante del gameplay ai fini di risolvere puzzle ambientali (alcuni particolarmente suggestivi) o sporadici combattimenti contro strane armature, possedute dalla stessa entità che condiziona gli esseri come Trico. In questi frangenti, è l’animale a proteggere il ragazzo dall’attacco dei nemici, che tentano di rapire il bambino per portarlo nella torre più alta della montagna, centro nevralgico che i due proveranno disperatamente a raggiungere. L’utente non può far altro che aggrapparsi a Trico aspettando che si liberi dei nemici, oppure scappare cercando di non finire nelle grinfie degli avversari. Non esiste un vero e proprio sistema di combattimento, né è possibile controllare Trico in modo manuale per eliminare gli avversari.

In alcuni casi il giocatore potrà utilizzare uno speciale specchio con cui indirizzare la luce verso un punto preciso: dopo alcuni secondi, Trico scaglierà un fulmine dalla propria coda verso il punto designato dal giocatore, aspetto che in alcuni casi sarà utilizzato per risolvere enigmi interagendo con l’ambiente, in altri casi permetterà di disfarsi velocemente di un nemico riducendolo in polvere. Per il resto, il gameplay di The Last Guardian si basa molto sulla componente platform, con il giocatore chiamato a correre, saltare e arrampicarsi per tirare la leva di turno, attivare un meccanismo o sfruttare un oggetto per farsi strada verso l’agognata meta, liberando il cammino per il più ingombrante compagno di avventure. Peccato che i controlli non siano il massimo, vuoi per la scelta dei tasti molto lontana dagli standard (come l’uso del tasto Triangolo per il salto), vuoi per una certa imprecisione e legnosità dei movimenti del ragazzo, aspetto che rende particolarmente tediose alcune sezioni platform.

ARTISTICAMENTE MERAVIGLIOSO

The Last Guardian, come dicevamo, non è un gioco perfetto, ma nonostante i problemi del gameplay e una IA che spesso e volentieri sembra remarti contro, può contare su due frecce incredibilmente potenti nel proprio arco, da sommare a un comparto narrativo dall’indiscutibile impatto emotivo. Il primo punto di forza è il level design, che merita un plauso per la capacità di Ueda di realizzare aree complesse, ambientazioni ariose e in grado di ospitare sia Trico che il ragazzo senza che nessuno dei due protagonisti sia mai fuori luogo. Scenari, questi, che emergono in particolare nella seconda parte dell’avventura, quando i riflettori si spostano verso il cielo, quando piattaforme sospese nel vuoto diventano improvvisamente degli appigli per uno dei balzi di Trico, quando ti trovi a saltare su una piattaforma per liberare il tuo amico dal condizionamento mentale generato da speciali specchi a forma di occhio.

Il secondo motivo che rende The Last Guardian unico nel suo genere è la direzione artistica: quello che dapprima è un gioco cupo, a tratti claustrofobico, diventa progressivamente un dipinto colorato che si palesa sotto gli occhi increduli del giocatore, una vera e propria opera d’arte che crea giochi di luce mozzafiato mettendo da parte un comparto grafico al di sotto degli standard moderni, che tradisce la sua maschera next-gen sbattendo in faccia tutte le difficoltà di uno sviluppo travagliato, del salto di una generazione. È quasi come se la prima parte di The Last Guardian fosse stata sviluppata su due generazioni precedenti e trasportata sulla nuova console Sony senza sforzi, salvo poi proporre sul finale scorci da lasciarci con la bocca aperta, sprazzi di bellezza disarmante, attimi d’autore. Un gioco dalle molteplici anime: non sempre piacevole, a volte frustrante, spesso lento nella narrazione, ma poi improvvisamente poetico. Questo è The Last Guardian: come tutte le creature di Fumito Ueda, o si ama o si odia.

Di motivi per amarlo ce ne sono tanti: l’avventura di Trico e il ragazzo, seppur lineare e a volte troppo lenta, può vantare un impatto emotivo estremamente potente che pochissimi altri esponenti del medium videoludico hanno eguagliato nella storia. E lo capisci solo quando arrivano i titoli di coda, quando assisti alla vera scena finale che il papà di Ico e Shadow of the Colossus ha concepito per mettere la parola fine alla saga di cui The Last Guardian è a tutti gli effetti l’erede spirituale.

D’altronde, i motivi per odiarlo non mancano di certo, ed emergono specialmente nel caso in cui siate interessati meno alla componente artistica e maggiormente al discorso ludico: oltre ai problemi già trattati in precedenza legati all’imprevedibilità di Trico, il gameplay di The Last Guardian è minato da una gestione della telecamera a dir poco problematica. Gestire i movimenti di due personaggi dalle dimensioni così diverse sulla stessa scena non dev’essere stata impresa facile per Ueda e compagni, ma la sensazione è che il team avrebbe dovuto investire più tempo nel rendere meno fastidiosa l’inquadratura, che cambia posizione arbitrariamente nelle fasi platform, andando a ostacolare il giocatore nel completamento di un enigma. Per il più dell’avventura, siamo stati costretti a toccare e ritoccare la telecamera per cercare di centrare al meglio la posizione del ragazzo rispetto alla scena, ma non sono stati rari i momenti in cui Trico è passato davanti in fase di puntamento con lo specchio, costringendoci a ripartire da capo una, due, dieci volte, oppure tenere a bada repentini cambi di visuale mentre si salta nel vuoto, decisamente una sensazione poco piacevole.

IL PESO DI UN PASSATO TRAVAGLIATO

Il problema più grave di The Last Guardian è tuttavia di natura strettamente tecnica: il motore utilizzato dal team Gen Design fondato da Ueda è decisamente datato e soffre particolarmente nel mantenere una stabilità, con cali di frame-rate particolarmente evidenti sopratutto nella seconda parte, quando si accede ad ambientazioni forse troppo vaste rispetto a quello che l’engine nato su PlayStation 3 può sopportare. I cali, vale la pena sottolinearlo per i feticisti della tecnica, non sono un difetto da sottovalutare: su PS4 standard difficilmente il gioco mantiene i 30fps, aspetto garantito (e non sempre, purtroppo) solo avviando il gioco sulla nuova PS4 Pro. Sul finale, quando il numero di elementi su schermo è decisamente più elevato che nel resto del gioco, l’avventura sembra procedere costantemente in slow-motion.

Le cose migliorano, come dicevamo, utilizzando PlayStation 4 Pro, a patto di concentrarsi sulla modalità 1080p e non lasciarsi tentare dalla variante in Ultra-HD, che come potrete immaginare restituisce una cornice in 4K che è ben lontana dai fasti di un Uncharted 4: Fine di un Ladro o altri giochi spaccamascella disponibili su PS4. Anche in questo caso, però, The Last Guardian deve fare i conti con dei cali di frame-rate, che può portare il conteggio a meno di 20 fotogrammi al secondo su entrambi i modelli di PS4. Sfortunatamente, vista l’assenza di un menu da cui gestire la risoluzione, nel caso in cui foste in possesso di TV Ultra-HD dovrete impostare manualmente la risoluzione 1080p dal pannello di controllo del televisore per accedere a questa modalità di visualizzazione, un altro aspetto su cui la produzione avrebbe potuto e dovuto dedicare qualche attenzione in più.

Certo, non si vive di sola tecnica e non sarà un comparto grafico al di sotto degli standard attuali a gravare sulla nostra valutazione di The Last Guardian, ma mettendo da parte per un attimo la poesia, la componente artistica e l’indiscutibile valore della produzione concepita da Fumito Ueda, non possiamo che considerare come in termini di puro gameplay l’esclusiva Sony deve fare i conti con dei seri problemi, che potrebbe letteralmente dividere in due la community.

Il consiglio è quello di approcciarsi a The Last Guardian solo nel caso in cui siate disposti ad avventurarvi in una storia affascinante con la consapevolezza dei tanti difetti che potrebbero più di una volta portarvi ad abbandonare prematuramente la storia di Trico e del suo giovane amico. Lo dico con cognizione di causa, perché per la fretta di scrivere la recensione del gioco e pubblicarla alla scadenza dell’embargo imposto da Sony, avevo abbandonato la campagna un paio d’ore prima di giungere al finale. Per la fretta, sì, ma anche per la frustrazione. Per l’ennesimo comando ignorato da Trico, per un frame-rate che quasi toccava lo zero assoluto, per una telecamera che proprio ce la mette tutta per farti dannare. Poi ho ripensato al viaggio percorso finora con Trico, e ho desistito. Me la sono presa con la dovuta calma e ho deciso di aiutare il mio nuovo amico animale, strano nel suo essere un po’ gatto e un po’ pennuto, a portare a termine il suo viaggio. E non me sono pentito.

The Last Guardian
THE LAST GUARDIAN
GIUDIZIO
Emozionante, artisticamente eccezionale e di notevole impatto narrativo, ma anche datato tecnicamente e non al passo coi tempi a livello di gameplay. The Last Guardian è estremamente poetico nel raccontare la storia di Trico e il suo giovane amico, ma lo sviluppo travagliato di quasi un decennio anni si rispecchia in un gameplay d'altri tempi che potrebbe far storcere il naso ai giocatori più giovani, anche a causa di una IA che (per scelta o negligenza?) ignora buona parte dei comandi impartiti dall'utente e decide in modo autonomo quando compiere un'azione, causando spesso una comprensibile frustrazione. Un frame-rate assolutamente instabile rende l'avventura a tratti ingiocabile su PS4 standard, mentre la gestione della telecamera diventa problematica muovendo i protagonisti in ambienti ristretti. Eppure, se avrete la forza di superare i tanti difetti della creatura di Fumito Ueda, assisterete a una delle storie più belle che siano mai state raccontate in un videogioco, un'opera d'arte che merita di essere vissuta dall'inizio alla fine. Titoli di coda inclusi.
GRAFICA
7
SONORO
8.5
LONGEVITÀ
8
GAMEPLAY
7
PRO
Storia decisamente emozionante e d'impatto
Riesce a creare un legame tra giocatore e i due protagonisti
Direzione artistica meravigliosa, level-design degno di nota
CONTRO
IA di Trico risponde in modo troppo casuale
Gestione della telecamera da dimenticare
Evidenti cali di frame-rate su PS4 standard
Tecnicamente non al passo con i tempi
8
1524
Exit mobile version