Days Gone

Le Crudeli Montagne di Days Gone – Editoriale

Le recenti esclusive PlayStation hanno decisamente investito molte risorse per proporre agli utenti ambientazioni eccezionali. Ripensiamo, ad esempio, a Horizon Zero Dawn e il suo mondo post apocalittico che fondeva la tecnologia con la natura, il misticismo con una modernità trasformata in primitività. In tempi recenti invece abbiamo avuto God of War e le sue ambientazioni norrene, al confine tra realtà e leggende di diverse estrazioni. Paesaggi così d’impatto sono frutto di un enorme lavoro da parte del team artistico e dei concept artist, spesso espresso accuratamente nei dettagliati artbook o nei diari di sviluppo pubblicati sotto forma di video.

La prossima esclusiva, soggetto di questo articolo, non è certo da meno nei riguardi della costruzione ambientale, per quanto abbandoni la fantasia per rimanere all’interno dei confini della “realtà”. Days Gone, sviluppato da Sony Bend Studio, ha già avuto modo di stupirci nella nostra prova di una settimana fa. Tra le tante cose positive che ci hanno colpito, l’ambientazione di gioco è stata sicuramente uno dei fattori più in rilievo.

COSTRUIRE L’AMERICA

Fin dal primo reveal, il team di sviluppo non ha affatto nascosto ai aver voluto posizionare il mondo di gioco nel “giardino dietro casa”, ovvero ambientandolo in una fittizia ricostruzione delle terre vicino alla cittadina di Bend, nella quale lavora lo studio. Ispirati dalla loro quotidianità e dal folklore della zona, hanno deciso di lavorare sul campo per dare vita alla location dell’esclusiva, lanciandosi in una sorta di indagine tutta americana per capire come trasmettere al meglio le zone rurali dell’Oregon con pixel e texture.

Effettivamente, l’abbondanza di caratteristiche tipiche ha agevolato la presentazione estetica, soprattutto nei riguardi del decantato sistema meteorologico dinamico che simula il clima delle aree chiamate “High Desert” dai meteorologi dei canali statunitensi. Il clima che rientra in tale categoria è molto ballerino, proprio perché le zone limitrofe si alternano tra verdeggianti montagne, distese desolate e picchi innevati. Nel gioco, infatti, i cambiamenti repentini delle condizioni atmosferiche sono all’ordine del giorno, con pioggia e sole che si alternano allegramente simulando quanto effettivamente avviene in quella regione.

Tuttavia il meteo non è il solo protagonista della ricostruzione, anche la vegetazione è stata riprodotta con estrema cura, dando la sensazione di essere davanti ai tipici paesaggi che è possibile osservare nelle scampagnate ai confini dei territori californiani o nelle cartoline vendute dai negozi di souvenir. Non a caso, Bend si trova proprio vicino a un’enorme area boschiva contenente diverse montagne e riserve, tra cui il Mt. Hood e il meraviglioso Parco Nazionale di Crater Lake. Quest’ultimo in particolare è una delle attrazioni principali dello stato dell’Oregon, sia a livello geografico che storico. Si tratta infatti di un enorme lago formatosi dopo che una violenta eruzione vulcanica provocò il collasso di un altissimo picco, avvenuto all’incirca quando i nativi ancora abitavano quelle libere terre. Al momento, non sappiamo se tale paesaggio sarà visitabile all’interno di Days Gone, tuttavia abbiamo già visto come siano presenti alcune montagne della zona – come il Monte Bachelor – e diversi riferimenti ai luoghi importanti per il popolo indiano natio.

Proprio la testimonianza storica è qualcosa che ha molta valenza per lo scenario culturale dell’Oregon e infatti è possibile osservare come musei e punti d’interesse turistici tendano a esaltare le tradizioni sia americane che indiane. Nella prima ora di gioco mostrata dallo studio, quella che abbiamo avuto modo di provare noi di VGN.it, notiamo Deacon recarsi al motel Crazy Willie (che potrebbe essere un omaggio al musicista Willie Nelson e al suo successo Crazy). Dal cartello pubblicitario apparso nella schermata, è chiaramente visibile un indiano indicare la via e la ricca offerta di souvenir. Proprio in riferimento ai molti eventi vulcanici della zona, vediamo la vendita di quelle che vengono spacciate per rocce vulcaniche e veri fossili, mere riproduzioni per turisti in cerca di un ricordo. Questo complesso di edifici è solo uno dei tanti riferimenti ai pit-stop per visitatori che nella realtà accolgono le persone con tende indiane e leggende folkloristiche, mentre nel gioco vengono sfruttati proprio per dare l’idea che neanche laggiù si poteva trovare scampo dai Freaker.

Questa location abbondante di storia, natura e tradizione viene utilizzata con cura per raccontare la storia dell’apocalisse, lontano dai devastati centri urbani. Essendo una catastrofe avvenuta appena due anni prima dell’inizio del gioco, poche cose sono andate veramente distrutte e molte infrastrutture sono rimaste integre, seppur spoglie dai loro abitanti. Oltre alla ragione pratica che giustifica la presenza di benzina, elettricità e abbondanti risorse, questo lasso temporale permette al team artistico di creare un perfetto contrasto tra paradiso naturale e inferno infetto, tra la vita comune di appena poco tempo fa con quella di stenti dei sopravvissuti, come sottolineato proprio dall’esplorazione delle aree di ristoro per viaggiatori.

Days Gone

Il mezzo per esplorare queste dualità è Deacon, il quale purtroppo vive al suo interno l’angoscia di aver perso tutto quello che c’era di saldo nella sua vita, a partire dalla moglie che sembra deceduta o scomparsa. Girando tra gli alberi e percorrendo le strade colme di macchine abbandonate, è possibile notare come zone naturali, drive-in e abitazioni montane si siano trasformati in rifugi di banditi, postazioni di ricerca temporanee della NERO e in ripari di fortuna di civili sbandanti. La conservazione delle loro fattezze originali permette di accentuare la condizione di disperazione in cui sta versando il mondo di gioco, a cavallo tra l’imminente rassegnazione e la speranza di tornare alla normalità.

SLOW RIDER

Tentare di aggrapparsi agli usi e i costumi pre-catastrofe è dunque un elemento vivido sia nell’ambientazione che nella narrativa, soprattutto se si sceglie di ambientare un racconto del genere all’interno dei confini americani, forti della loro popolazione orgogliosa di essere nata sotto la bandiera a stelle e strisce. Proprio l’attaccamento allo stile di vita statunitense è qualcosa di palpabile in ogni angolo di gioco, ma soprattutto nella scelta di rendere Deacon un biker, simbolo per eccellenza della vita sulle grandi autostrade che percorrono l’High Desert. È senza dubbio una forte testimonianza di appartenenza alla terra degli Stati Uniti, un’icona che accomuna la tenacia necessaria per affrontare una situazione simile con una figura perfettamente idonea per approfondire e potenziare la scelta dell’ambientazione.

L’ispirazione principale è stata, per stessa ammissione dei sviluppatori, la serie TV Sons of Anarchy. Non fu però la violenza dei centauri a spronarli nelle loro decisioni, bensì il rapporto di fratellanza tra i protagonisti dello show, un qualcosa di così ferreo da essere il candidato adatto per testare la sua solidità durante l’arrivo dell’inferno sulla terra. Inoltre, molti del team di Bend Studio erano dei veri e propri biker, con tanto di Harley Davidson e raduni rombanti sotto l’ufficio.

Che sia sulla strada o sul picco di una montagna, Days Gone punta a regalare degli scorci che sottolineino la bellezza dell’ambiente dell’Oregon, collocandoci però il male derivante dall’infezione dei Freaker. A testimonianza di questa fusione non abbiamo solamente il contributo del fattore urbano o civile, ma anche la natura va a sottolineare la potenza corrosiva della malattia che colpisce il mondo.

Ben lontani dalle famose spore di altre produzioni del genere, il contatto diretto degli infetti ha palesemente intaccato anche la vita animale, trasformandola in cadaveri abominevoli come l’orso apparso alla fine del trailer per l’E3 2017. È chiaro, anche da quanto si evince dalle righe sopra, che la volontà di Bend Studio fosse quella di sfruttare tutta l’ambientazione in maniera intelligente, rendendola coesa con la narrazione, il gameplay e gli elementi viventi (o meno) presenti al suo interno. Una tecnica simile a quanto abbiamo visto con Horizon Zero Dawn, solo che al posto delle macchine ci sono gli zombie. Per Guerrilla Games è stata senza dubbio una mossa vincente, che ha donato un carattere unico all’opera multimediale. Days Gone tenta di raggiungere la stessa sensazione e, dal nostro provato, sembra aver azzeccato gli ingredienti giusti per riuscirci.

Days Gone

Dal lato prettamente civile, il paragone più vicino potrebbe essere relativo alla costruzione ambientale che Ubisoft ha fatto con The Division. Sebbene in quest’ultimo non ci siano zombie o simili, ciò che ci interessa è come la devastazione di una malattia infettiva lasci il segno nei luoghi che colpisce. Il titolo di Tom Clancy è utile alla nostra indagine proprio perché presenta una metropoli, l’opposto al paesaggio rurale dell’Oregon. Ciò che Days Gone ha voluto evitare è quella sensazione di grande cataclisma che si avverte passeggiando per le vie del gioco Ubisoft, dove effettivamente sembra quasi troppo tardi per poter fare qualcosa. Posizionando l’intreccio narrativo in un’area più circoscritta, lontana dalle luci al neon di Manhattan, si evita di rendere chiara la dimensione della diffusione del virus. Un piccolo ecosistema del genere da quindi spazio ai personaggi, alle dinamiche tra i sopravvissuti e a come l’infezione possa essere affrontata lontano dall’apocalisse.

Deacon, al centro delle interazioni tra gli attori del gioco, è tanto naturale quanto riflessivo. La possibilità di compiere delle scelte morali in una cerchia di sopravvissuti stretta, differente dalla moltitudine di una grande città, permette un impatto più significativo nell’ecosistema di gioco e nelle conseguenze – psicologiche o concrete – che le nostre decisioni scaturiranno.

Days Gone

Come ribadito dal team di sviluppo, la lotta alla sopravvivenza non si vive solamente raccogliendo risorse, ma in molti altri modi relativi sia alla struttura narrativa che del puro gameplay. L’esplorazione è uno di questi fattori, soprattutto perché sfrutta la costruzione ambientale per dare al giocatore utili indizi sul come e perché questa situazione si sia evoluta così ferocemente. I laboratori della organizzazione d’emergenza sanitaria NERO, l’elemento più estraneo del panorama, saranno essenziali in questo senso, ma al momento sappiamo molto poco sul loro effettivo coinvolgimento nelle vicende della storia.

Quello che è sicuro è l’assoluta attenzione mostrata nei confronti dell’ambientazione, ben più che una semplice decorazione da osservare tra una missione e l’altra. Gli elementi caratteristici, la storia americana e l’interazione con le meccaniche del gameplay rendono il mondo di Days Gone vivo e sorprendentemente coinvolgente, mantenendo ben salda la focalizzazione sull’aspetto apocalittico. L’America dipinta da Bend Studio non è mai stata così bella quanto letale ed è veramente un ottimo traguardo per un team che non si è mai dedicato all’open world, un po’ come lo è stato per i colleghi di Guerrilla Games.