The Art Inside Videogames

The Art Inside Videogames #5 – La classificazione e generi dei videogiochi

Un viaggio nei tanti e diversificati generi che negli anni hanno contraddistinto il medium videoludico.

Fondamentale per comprendere il percorso storico è necessario parlare brevemente di una classificazione per generi o tipologie di videogiochi, ed è necessario per orientarsi in un universo in costante espansione e allo stesso tempo per modulare gli approcci di ricerca che possono dare vita a differenti interpretazioni di lettura. Come per un medium narrativo, si applicano le etichette tematiche di genere mutuate dai media audiovisivi e poi si cerca di indentificare le meccaniche di gioco in atto, poi è possibile anche indicare il supporto e la collocazione d’origine di ogni titolo distinguendo le varie versioni. Una prima distinzione è quella operata da Bittanti che descrive quattro grandi tipologie: i videogiochi per console, gli arcade/coin-op, i computer game per PC e gli handheld per le console portatili. La seconda categoria riguarda la sfera di fruizione, da quella domestica per console fissa e PC, pubblica per gli arcade, handheld console e PC portatili. Una terza categoria riguarda la fruizione online che è trasversale oggi per tutti i medium, tranne che per gli arcade.

All’inizio degli anni Novanta anche il semiologo Myers propose una classificazione in base ai materiali testuali, alle strutture, alle funzioni interattive in sei categorie di gioco: arcade, adventure, simulation, RPG, war game, strategy, ai quali per esempio al primo corrispondono i materiali testuali nella forma di astrazioni geometriche, poi strutture di tipo cognitivo legate al rapporto di stimolo e risposta, funzioni interattive basate sull’evoluzione del ciclo scoperta e apprendimento. Altra proposta riguarda il gameplay, che distingue i generi propri del videogioco da quelli di altri media, perché lo studio dei generi videoludici è molto diverso da quello dei generi letterari o cinematografici a causa della partecipazione diretta e attiva dell’utente. Mentre il professore Arsenault rinuncia all’idea di genere come strumento categorizzante fisso e immutabile, rivelandone la natura evolutiva e il bisogno di riconoscere di volta in volta capacità funzionali e idee estetiche del videogioco.

Un gioco come Atomicrops ospita all’interno della sua esperienza ludica più generi: tower defense, sparatutto, gestionale e tanti altri.

Varie ipotesi di classificazione di genere

Disporre di una catalogazione, di un metodo che individui le topologie ludiche, aiuterebbe meglio a comprendere quella realtà estremamente complessa e sfaccettata che sfugge ai tentativi di descrizione e semplificazione. Individuare una tipologia in grado di descrivere il gioco è un compito veramente difficile, con il quale si sono cimentati vari studiosi, scontrandosi con l’estrema mutevolezza e inafferrabilità che lo caratterizzano. Considerare il gioco, solo dal punto di vista scientifico non è sufficiente e quindi si è cercato di trovare punti di osservazione dai quali sia possibile proporre o individuare categorie, anche solo parziali, per comprendere alcuni aspetti del gioco e di permetterne uno studio migliore, facilitandone la comprensione di chi ci gioca, di chi ne studia gli artefatti e la pratica di chi li progetta.

Osservando il gioco sotto numerosi ed eterogenei punti di vista è possibile creare delle possibili classificazioni. L’attività ludica potrebbe essere analizzata in base al tipo di persone che la praticano, chiunque giochi vive un’esperienza che può essere divertente, appassionante, rilassante, istruttiva, creativa o fonte di una seria riflessione e potrebbe emergere una classificazione esperienziale, fondata sull’esperienza che può generare. Si potrebbero suddividere i giochi sulla base dell’occasione che li ha generati, ottenendo una classificazione eziologica in cui trovare le classi dei giochi nati da ispirazione, da commissione, dai vincoli che riguardano la meccanica, materiali o altri numerosi componenti.

Altre ipotesi di classificazione, riguarderebbe la suddivisione dei giochi in base al forte legame tra il gioco e la narrazione, creando una classificazione narratologica, in cui distinguere tra giochi che raccontano con la piacevolezza dell’esperienza che si lega alla qualità della narrazione; e giochi che costruiscono storie inventate mentre si gioca. Si può pensare anche per una classificazione estetica anche se forse è la più complessa da costruire e nemmeno la classificazione tecnologica è semplice da costruire, perché all’interno di ciascuna classe tecnologica si possono individuare folti gruppi di casi e sotto casi, come quelle piattaforme digitali su cui un gioco può funzionare ma non funziona sulle altre. Una classificazione delle meccaniche consentirebbe di sfruttare un lessico già esistente, sviluppatosi per distinguere, per esempio, i giochi a percorso fisso da quelli dotati di un ambiente liberamente esplorabile.

Queste sono solo alcune delle tassonomie possibili in un contesto complesso. Altre classificazioni, potrebbero essere quelle basate sul supporto digitale partendo dal presupposto che: i videogiochi sono quei giochi le cui regole sono gestite automaticamente da un dispositivo elettronico utilizzando un’interfaccia uomo-macchina e un display come sistema di output. Una definizione corretta anche se non fa distinzione tra hardware e software, e non vengono approfondite le implicazioni culturali e simboliche prodotte dal medium nel corso delle sue continue mutazioni stilistiche e strutturali. Infatti le proprietà fisiche dell’hardware e quindi i supporti tecnologici, hanno rappresentato a lungo criteri di classificazione e tassonomie del videogioco come la definizione di arcade game, computer game e console game. Di conseguenza analizzando il medium ludico nell’insieme delle sue componenti si può procedere per una tassonomia del videogioco, operando una distinzione tra opera ludica narrativa e non narrativa, quella semi ludica e quella non ludica. Questo metodo prende in esame la presenza o la mancanza di un contenuto narrativo, di un messaggio che l’opera intende veicolare, le finalità e le modalità d’interazione.

Tutte le distinzioni basate sulla piattaforma di gioco risultano oggi poco rilevanti se da un lato i titoli moderni vengono sviluppati per più sistemi di gioco senza differenze sostanziali tra le diverse versioni, farebbero cadere questa teoria, perché allo stesso tempo, una classificazione basata sulla tecnologia risulterebbe molto variabile e soggetta a modifiche e ripensamenti in archi di tempo limitati poiché c’è un rapido e inevitabile sviluppo dei device informatici. Un esempio è il mobile gaming sviluppato grazie alla crescente diffusione degli smartphone o dei tablet, e non sarebbe possibile creare una classificazione sistematica universale, poiché dovrebbe poter prescindere da categorizzazioni troppo fluide e mutabili, come quelle basate sull’aspetto tecnologico. Un criterio di sistematizzazione più efficace potrebbe concentrarsi sulle caratteristiche comunicative del medium: cioè sul contenuto. Anche per questo indirizzo di ricerca si potrebbe considerare una diversa accezione del termine videogioco, senza mettere in evidenza solo l’aspetto ludico ma il medium interattivo per come si è sviluppato negli anni.

Assassin's Creed Odyssey
Nel corso degli anni la serie Assassin’s Creed è passata dal proporre un gameplay basato sulla furtività a un’esperienza di gioco più incentrata sull’azione diretta.

Alcuni studiosi hanno optato per il termine di storia interattiva, anche se non è del tutto preciso visto che non tutti i videogame raccontano storie, altri invece preferiscono parlare di opera multimediale interattiva. Quest’ultima si distinguerebbe per il fatto essere un’opera, quindi espressione artistica del pensiero umano caratterizzata dalla molteplicità dei linguaggi espressivi utilizzati (visivi, sonori e audiovisivi) con l’aggiunta dell’interattività che permette guidare la storia. Analizzando il medium ludico nell’insieme delle sue componenti si può procedere per una tassonomia del videogioco, operando una distinzione tra ludica narrativa e non narrativa, quella semi-ludica e quella non ludica. Questo metodo prende in esame la presenza o la mancanza di un contenuto narrativo, di un messaggio che l’opera intende veicolare al fruitore insieme alle finalità per le quali è stato ideato e alle modalità d’interazione previste.

Un esempio è il lavoro svolto dal SIMM, Seattle Interactive Media Museum, un’istituzione museale che ospita al suo interno un’ampia collezione di videogiochi e che organizza regolarmente esposizioni dedicate. Il SIMM ha avviato un programma di ricerca con lo scopo di trovare un sistema di classificazione univoco del videogioco, riprendendo da zero l’approccio e correggere le falle progettuali che hanno storicamente caratterizzato i precedenti tentativi di classificazione. Il metodo usato dal SIMM fa uso dei metadati, sostituendo le classiche chiavi di ricerca usate per i videogiochi come piattaforma con una selezione più accurata e ragionata, tipo atmosfera, che ne valorizza la natura di veicolo per trasmettere contenuti simbolici significativi.

È necessario comunque, almeno distinguere aspetti riguardanti le meccaniche di gioco e le modalità di inquadratura per rendere più chiari i riferimenti per le diverse tipologie di gioco. Gli action game, giochi come Devil May Cry, God of War, Dante’s Inferno e Assassin’s Creed che sono tutti titoli inquadrati in terza persona e strutturati con una meccanica a combinazione di tasti per realizzare diverse mosse di combattimento o di movimento. Gli adventure game, fra cui occorre distinguere generi esplorativi come Tomb Raider o Uncharted, i giochi stealth in stile Metal Gear Solid o Thief e poi quelli collocati in universi aperti ed esplorabili chiamati open-world/sandbox come GTA (Grand Theft Auto), o i survival horror come Resident Evil.

DOOM (1993)
Parlando di sparatutto in prima persona uno dei primi giochi che viene in mente è quello di DOOM di id Software.

I giochi di guida, si intendono dai simulatori più fedeli come Gran Turismo e Forza Motorsport agli arcade racing della serie Need for Speed o Mario Kart, e in questi titoli la modalità di inquadrature sono molteplici e variabili. I picchiaduro, a scorrimento come i classici arcade Final Fight o a quelli a incontri di Street Fighter e Mortal Kombat, fino alle contemporanee versioni di Marvel vs Capcom. Il punto di vista è sempre in terza persona e si evolve dalle due dimensioni dei primi titoli fino al completo 3D poco prima del 2000. I platform, come Donkey Kong e sia a scorrimento da Super Mario, passando per Sonic. I titoli in due dimensioni o in falso 3D in cui il giocatore deve muoversi da schermo a schermo o da sinistra verso destra.

I puzzle game, da Tetris fino al successo di Angry Birds, titoli dotati di una superficiale contestualizzazione narrativa, un po’ come se fossero dei giochi enigmistici. I role-playing games (RPG) come Mass Effect e Dragon Age sono variazioni di action e adventure con la prevalente attenzione allo sviluppo del proprio avatar, e ai rapporti che intercorrono fra lui e gli altri personaggi non giocanti (non-player character, NPC). La serie Final Fantasy mantiene l’attenzione sul personaggio e sull’evoluzione narrativa, ma con l’aggiunta che sono più strategici e non proseguono in tempo reale ma a turni. Agli RPG si affiancano i MMO (massive multiplayer online) come World of Warcraft, in cui il gioco si sviluppa in universo online persistente e in continua evoluzione. I rythm game come Guitar Hero e Rock Band accompagnati dalla loro particolari periferiche che vengono utilizzate come controller. Gli sparatutto sia in prima persona (first person shooter, FPS) sia in terza persona (third person shooter, TPS) con titoli come DOOM e Halo che appartengono alla prima tipologia, mentre Gears of War e Army of Two invece fanno riferimento al secondo genere.

I giochi sportivi, dalle simulazioni in cui si controlla un singolo protagonista dall’evento, a quelle in cui il giocatore può controllare tutti i compagni di squadra con titoli come FIFA e PES. I giochi strategici sia in tempo reale (real time strategy, RTS) come Starcraft e Halo Wars, oppure Age of Empires a tema storico. Sempre in questa categoria si collocano i god games come SimCity in cui il giocatore controlla il mondo virtuale a livello sovrastrutturale senza modificare le azioni dei singoli. The Sims è indicato anche come simulatore di vita e può far parte di questa categoria, in quanto il giocatore gestisce la vita del personaggio in tutto e per tutto. Tra tutte queste categorie vi sono ovviamente numerosi esempi ibridi. Queste distinzioni non sono categoriche ma delineano dei confini fra oggetti diversi, poiché l’organizzazione del panorama dell’intrattenimento videoludico è un’impresa molto difficile e ardua per il continuo evolversi del medium.

Everspace
In Everspace ogni partita è diversa dalle altre a causa della proceduralità degli scenari, una caratteristica che può creare diverse difficoltà proprio a causa del fattore randomico.

Le modalità e lo spirito del videogioco

Fra le diverse letture del fenomeno ludico, una in particolare è stata a più riprese utilizzata come base teorica dagli studiosi di videogame. Johan Huizinga, propose una formalizzazione del concetto di gioco attraverso un’analisi transdisciplinare, fra etnografia, sociologia, psicologia e linguistica. Huizinga considera il gioco come principio universale dell’evoluzione culturale umana e osservando le possibili configurazioni del ludico in senso storico e analizzando la cultura. Nel suo libro Homo Ludens (1938), l’uomo per lui era quel soggetto che gioca per vocazione culturale e che produce cultura piuttosto che riceverla.

La sua idea era che il gioco si presentasse come condizione necessaria alla formazione della cultura stessa, infatti anche Roger Callois nel 1967 scrisse alcune riflessioni in seguito al libro di Huizinga, in cui esaminò il gioco come fondamento di ogni cultura dell’organizzazione sociale, evidenziando il fatto che, anche gli animali giocano, il gioco può rappresentare un fattore pre-culturale, concordando sul fatto che il gioco fosse un elemento essenziale per comprendere le caratteristiche essenziali di ogni cultura. La parte più importante è la classificazione dei giochi, esprimendo le diverse modalità di gioco e spirito con cui il giocatore prende parte all’attività ludica. Callois individua quattro componenti nei giochi in cui dominano la competizione, la casualità, il mascheramento, la vertigine e questo capitolo serve per illustrare la multiforme e la stratificazione del medium elettronico prendendo in considerazione le quattro componenti di Callois.

La competizione sembra che domini la maggior parte dei videogiochi ma non è proprio così, ci sono diversi tipi di competizioni poiché il gioco si presenta sotto forma di sfida elettronica che può essere contro un’intelligenza artificiale, oppure contro uno oppure più umani, o ancora contro sé stessi. Per esempio, una partita di calcio giocata tra persone vere e una simulata al PC, dal punto di vista agonistico sono identiche, ciò che cambiano sono le modalità di gioco. Molto importante nei videogiochi è che il risultato della sfida non sia predeterminato, e nel caso di superiorità da parte di uno dei due sfidanti, compreso il gioco stesso, è possibile modificare il livello di difficoltà. La competizione può assumere caratteristiche a seconda del gioco: può essere reale ma mediata, cioè quando il programmatore sfida il giocatore a competere con l’intelligenza del videogioco o a risolvere un enigma contro sé stessi e il giocatore non può vincere ma solo resistere più a lungo, oppure illusoria quando il videogioco è programmato per perdere.

Diablo III: Eternal Collection
Il celebre action RPG Diablo spinge continuamente i giocatori a mettersi alla prova per ottenere equipaggiamenti sempre migliori.

Infatti, un esempio dei primi giochi è Space Invaders (Taito, 1978) e l’obiettivo del gioco consiste nell’ostacolare, con l’armamento della propria astronave, l’avanzata di quarantotto piccoli alieni, disposti su sei file orizzontali che marcino attraverso lo schermo dall’alto verso il basso. Più l’orda si riduce di numero più gli alieni si muovono velocemente, quando il giocatore riesce a eliminare gli avversari il nuovo gruppo di alieni ricomincia l’assalto partendo da un livello più basso del precedente. Dal momento che il giocatore è destinato a perdere, lo scopo diventa resistere il più possibile e la categoria del divertimento si manifesta attraverso la presenza di contatori di punteggio e di una schermata che memorizza i record, un mezzo che serve per misurare la propria abilità contro i propri compagni.

Nei videogiochi invece che non prevedevano l’aumento di della difficoltà oltre un certo livello come in Pac-Man (Namco, 1980), basta apprendere le strategie del software per riuscire a giocare quasi senza riuscire a perdere. I giochi adventure e gli RPG sono generi nei quali la componente narrativa è molto importante e i programmatori si trovano di fronte a riaffrontare la questione della competizione. Questo tipo di gioco è programmato per perdere, pur coinvolgendo emotivamente il giocatore, mettendone a dura prova le sue abilità ludiche che devono sempre essere risolvibili.

Non a caso, in questi giochi, la registrazione del punteggio riveste un ruolo marginale, un esempio è Diablo (capostipite dell’omonima serie e pubblicato su PC nel 1996), ottenendo immediatamente un grande successo di critica e di pubblico, e portando alla nascita di un vero e proprio nuovo sottogenere (action RPG), che mischiava meccaniche da gioco di azione a quelle tipiche dell’RPG, venendo poi imitato da una moltitudine di titoli videoludici venuti dopo. Questa tipologia racchiude a volte un’altra forma di competizione, ovvero che se non viene visualizzato costantemente un punteggio nel corso della partita, è tuttavia prevista una forma di valutazione complessiva della propria performance che viene comunicata al termine dell’avventura.

A distanza di anni Space Invaders offre un tasso di sfida decisamente alto ma estremamente appagante.

Il completamento del gioco in una particolare modalità permette di accedere a livelli segreti e sotto questa luce torna la forma della competizione tra giocatore e programmatore ma non solo, la sfida si fa poi collettiva e il giocatore entra in competizione anche con gli altri giocatori che sparsi per il mondo, tentando di ottenere la miglior votazione per esempio risolvendo l’avventura nel minor tempo possibile, oppure scoprendo segreti che altri ignorano. Ovviamente questa competizione è virtuale, non si attualizza e i giocatori non si conoscono tra di loro realmente, si conoscono per nick e sanno di appartenere a quella cerchia di giocatori che hanno vissuto fino in fondo il videogioco. La casualità nell’universo ludico riveste un ruolo molto definito, e il piccolo mondo contenuto in un gioco funziona per una meritocrazia perfetta perché per esempio la situazione iniziale di un videogioco è sempre uguale ogni volta che si ricomincia la partita ed è identica per ogni giocatore.

Nei videogiochi, vincere o perdere è solo una questione di abilità, non di fortuna, infatti nei puzzle game come Tetris (Spectrum Holobyte, 1985) e Puzzle Bobble (Taito, 1994), i pezzi che il gioco fornisce all’utente per giocare sono estratti casualmente da un insieme predeterminato. Paradossalmente, il senso del gioco non è quello di aspettare il pezzo giusto e quindi tentare un po’ la sorte, ma di raggiungere il successo con quello che la fortuna offre e quindi contando sulle proprie abilità di ingegno e destrezza. Uno dei pochi spazi ludici nei quali il caso continua a svolgere un ruolo determinante è il bonus stage, citato pocanzi, ed è un sotto-gioco al quale è possibile accedere solamente dopo aver compiuto determinate azioni. Per esempio, in Blade Runner (Westwood, 1997) lo scopo del giocatore è distinguere gli esseri umani dai cyborg per poi procedere alla loro eliminazione. All’inizio di ogni partita, il software definisce casualmente quali dei personaggi che si incontreranno nel corso dell’avventura saranno umani e quali no, quindi diventa essenziale che il programmatore calibri con precisione il grado di imprevedibilità del gioco e ciò comporta che più l’imprevedibilità ci sarà nel videogioco, più quest’ultimo sarà realistico.

Però d’altra parte si viene a creare un problema, perché l’imprevedibilità può portare ad un aumento sregolato della difficoltà e può renderlo frustrante. Ogni videogioco però presuppone l’accettazione temporanea da parte del giocatore di un universo fittizio, di un mondo illusorio in cui è chiamato ad assumere un ruolo diverso rispetto a quello che riveste nel mondo reale. Nel gioco il giocatore ha sempre a che fare con il simulacro di sé stesso e quest’ultimo a volte tende a identificarsi il più possibile con il giocatore, oppure altre volte possiede delle caratteristiche proprie che lo differenziano in modo sostanziale dall’utente giocatore e in questo caso parliamo di mascheramento.

In Spacewar (1962), il compito del giocatore è quello di distruggere l’avversario sfruttando l’armamento della propria navicella. Sullo schermo sono rappresentati, in forma stilizzata, i due velivoli che duellano nello spazio e in questo caso il giocatore si identifica con il personaggio che guida il veicolo anche se vede solo il veicolo, quindi è sottointeso che ci sia un pilota. Ovviamente poi nel mondo videoludico ci sono tanti altri vari tipi di simulacri in cui il giocatore è chiamato ad assumere un’identità più precisa e l’utente tende a identificarsi totalmente con il simulacro. DOOM è ritenuto uno degli esempi più influenti del genere sparatutto in prima persona e il giocatore dimentica volontariamente e momentaneamente la propria identità reale per assumere quella di un intrepido marine spaziale su una base extraterrestre nei pressi di Marte.

Sonic è recentemente approdato anche al cinema, a dimostrazione che alcuni personaggi dei videogiochi sono apprezzati anche in altri medium intrattenitivi.

Per permettere questa personificazione è importante che il personaggio non sia ulteriormente definito, infatti è importantissima la visuale soggettiva, che aumenta la sensazione di essere fisicamente presenti nel mondo simulato. Negli sparatutto, quindi, la visuale soggettiva non permette di guardare in faccia il proprio avatar, se non quando riflesso durante la sessione di gioco. Questa scelta ovviamente non è casuale, perché più il personaggio è dotato di caratteristiche specifiche, più il giocatore lo percepisce come altro da sé. Grazie a questa forma di mascheramento, i personaggi che incontriamo all’interno del gioco si rapportano a noi non i quanto a giocatori, ma in personaggi che recitano un ruolo specifico. Quando il simulacro digitale è definito, diviene un personaggio e il giocatore non lo percepisce più come una parte di sé, ma un soggetto con il quale instaura una relazione di collaborazione.

Il giocatore quindi si identifica in parte con il personaggio delle vicende narrate e al, tempo stesso, grazie alla visuale in terza persona partecipa emotivamente alle sue avventure. La terza persona permette l’osservazione dell’aspetto, il modo di muoversi, camminare, parlare e sono tutte informazioni che accrescono la distanza tra simulacro e giocatore ma al tempo stesso implica una partecipazione emotiva più coinvolgente. Questo perché nel videogioco la vista è il senso che domina la percezione degli eventi e l’inquadratura soggettiva esclude gran parte della visione, per esempio quella del dolore: come l’espressione del volto, la vista del sangue, la posizione, la gravità delle ferite, che con la rappresentazione in terza persona sono tutte visibili.

Solid Snake (Metal Gear Solid, 1999), Cloud (Final Fantasy VII, 1997), Max Payne (Max Payne 2001), Marcus Fenix (Gears of War, 2006), Bayonetta (Bayonetta, 2009), Cole Phelps (L.A. Noire 2011), Trevor Philips, Michael Townle (Grand Theft Auto V, 2013), Lara Croft (Tomb Raider, 2013), Nathan Drake (Uncharted 4: Fine di un ladro, 2016) sono solo alcuni degli esempi dei più famosi protagonisti di videogiochi che sono riusciti ad acquistare quasi una vita propria, una vita mediatica non solo videoludica, ma anche televisiva, cinematografica, letteraria.

Metal Gear Solid V: The Phantom Pain
Nella serie Metal Gear Solid la filosofia è uno dei temi principali affrontati, venendo discussa a più riprese dai personaggi ideati dal game designer giapponese Hideo Kojima.

L’evoluzione dei videogiochi a volte, finisce per coincidere con l’evoluzione sia estetica che non dei personaggi dei videogiochi stessi. Soprattutto le ultime generazioni di personaggi virtuali assumono un certo spessore: Liquid Snake si dilunga in discorsi filosofici nel corso delle sue missioni, infatti il giocatore ha il controllo del suo corpo ma il protagonista nel frattempo pensa in modo autonomo, raccontando i suoi ricordi ad altri personaggi, oppure esprime le sue idee, i suoi progetti.

Di conseguenza la sempre più complessa caratterizzazione del personaggio dà vita a una personalità; un soggetto sul quale il giocatore ha un controllo parziale. Questa distanza tra videogiocatore e simulacro sta alla base dei maggior videogiochi e il mascheramento può essere considerato un marchio di riconoscimento della pratica ludica ma che varia moltissimo a seconda delle tipologie di gioco. In questi videogiochi spesso le immagini scorrono rapide sullo schermo, cambiano forma e colore in modo tanto rapido e radicale che creare appunto un senso di disorientamento. Ogni aspetto del gioco viene studiato per scombussolare il sistema percettivo del giocatore con la musica, i colori e il ritmo dell’azione.