Dark Souls

Quello che mi aspetto dai prossimi giochi FromSoftware

Suggerimenti, ipotesi e speranze sulle future produzioni della software house giapponese.

Dire come sarà, in concreto, il prossimo videogioco FromSoftware (o i prossimi videogiochi, spingendosi oltre quello già annunciato, Elden Ring) è un lavoro da Cassandre: si rischiano clamorosi fraintendimenti e, se si dovesse aver ragione, probabilmente non si verrebbe creduti. Si può tuttavia avanzare qualche ragionevole ipotesi, condita da un paio di speranze, sul futuro partendo da quelli che son stati alcuni elementi cardine dei precedenti titoli, da Demon’s Souls fino a Sekiro: Shadows Die Twice. Elementi che è ragionevole supporre di ritrovare anche nelle prossime produzioni del team di sviluppo nipponico. Ecco quindi una rapida panoramica, a cavallo fra passato e futuro, su quattro degli aspetti caratteristici dei recenti prodotti FromSoftware.

Dark Souls III: The Ringed City
Pur non brillando tecnicamente, le produzione targate FromSoftware vantano un level design di prim’ordine.

Il level design

Si parla spesso di questo aspetto, a proposito dei videogiochi FromSoftware, ma non sempre si va a definire per davvero come mai sia stato così rilevante all’interno di queste produzioni. In merito al level design la struttura degli ambienti è stata spesso fondamentale per definire il tasso di sfida offerto da questi videogiochi. Dove sta la forza effettiva di molti dei nemici memorabili? In un loro posizionamento intelligente all’interno di un livello. Non si deve pensare solo alle imboscate e alle sorprese: è sufficiente uno spazio ristretto per rendere pericoloso un nemico che, altrove, sarebbe molto più vulnerabile.

Si pensi, giusto per fare un esempio, ai Cavalieri Neri del primo Dark Souls: dove sono collocati inizialmente? In spazi ristretti (in cima a una torre, in un vicolo cieco, sulla stradicciola del Darkroot Garden) ed è proprio questo loro posizionamento che contribuisce a farli sembrare, almeno nelle prime ore di gioco, degli avversari veramente temibili. Anche mettendo da parte i nemici, la struttura stessa degli ambienti si è sempre rivelata una fonte di sfida e di potenziali dipartite, mantenendo sempre una certa coerenza con quelle che sono le finalità di quell’ambiente.

La torre di Latria di Demon’s Souls ha molto più senso, come prigione, rispetto alla Bastiglia Perduta di Dark Souls II anche perché quest’ultima non nasce come tale nella fase di sviluppo: è una fortezza marittima che si reinventa come prigione attraverso l’aggiunta di qualche cella e un paio di sbarre. Ma non può raggiungere quell’opprimente sensazione di esser costantemente osservati (in una prospettiva quasi panoptica) dai carcerieri, veri o presunti che siano, come nel primo livello della torre di Latria, in cui la struttura stessa suggeriva al giocatore fin dal primo istante quale fosse il mood generale del luogo.

Il prossimo videogioco di FromSoftware dovrebbe quindi offrire degli ambienti dotati di una loro coerenza interna, che siano di per sé sfidanti e offrano anche un posizionamento adeguato per quanto riguarda i nemici.

Nel prossimo titolo della software house giapponese è lecito aspettarsi orizzonti visivi di notevole impatto scenico.

Il world design

Il secondo elemento è il world design. Qui non si ragiona più secondo compartimenti stagni, ma si va a considerare nel suo insieme quello che è il mondo di gioco. FromSoftware ha saputo offrire degli stimolanti mondi interconnessi, soprattutto (ma non esclusivamente) col primo Dark Souls. Di fronte a un’affermazione del genere verrebbe subito da pensare alle scorciatoie, che sono certamente importanti, ma non rappresentano l’elemento cardine di questo aspetto. Ciò che conta qui è lo sguardo, perchè è tramite esso che il giocatore può effettivamente appagare il suo senso di esplorazione. È pertanto utile mostrare in anticipo, anche in lontananza e sulla linea dell’orizzonte, i luoghi che potranno essere raggiunti in futuro. Questo è un ottimo incoraggiamento per proseguire nell’avventura, perché nella mente si focalizza il prossimo traguardo. E allo stesso tempo è utile mostrare, sempre in lontananza, i luoghi che sono già stati raggiunti e visitati.

Tutto ciò non solo contribuisce alla soddisfazione per il raggiungimento dell’obiettivo, ma aiuta anche a rendere coerente il mondo di gioco. Ovviamente non è certo una prerogativa dei titoli FromSoftware (si pensi a come ICO o Journey, per esempio, sfruttano questa caratteristica), ma questi videogiochi offrono spesso simili scorci come un piccolo premio. Non è scontato che il giocatore veda Lost Izalith dalla Tomba dei Giganti, per esempio, ma quando intravede questo luogo egli può rendere più coerente il mondo di gioco, comprendendo quale ambiente è posizionato in alto e quale in basso. Quando invece non è possibile mostrare attraverso la lontananza il cambio di ambientazione è utile soffermarsi su alcuni elementi di passaggio, che offrono una sorta di “camera di decompressione” fra due luoghi tematicamente differenti. La scala che nel primo Dark Souls collega le Profondità alla Città Infame sfrutta la sua semplice struttura materiale (metà in ferro e metà in legno) per raccontare qualcosa ai giocatori.

È auspicabile che il prossimo videogioco FromSoftware presenti ampie vedute, che vadano ad allargarsi sui paesaggi lontani, senza però tralasciare l’importanza degli elementi contigui. Le ambientazioni dovranno essere separate da un qualcosa che le unisca e le renda diverse al tempo stesso, garantendo un passaggio graduale.

Nei titoli FromSoftware non manca la possibilità di farsi aiutare da NPC o altri giocatori, sarà così anche in futuro?

La difficoltà

Dark Souls e compagni vivono di tutorial impliciti. Quelli espliciti son cose di pochi minuti, che spiegano i comandi di base, ma non ci si ferma di certo lì. Un occhio attento potrà riconoscere una lunga serie di altre spiegazioni progressive, diciamo nascoste, su come poter sopravvivere in questi mondi ostili. In primo luogo ci sono ambientazioni come il Palazzo di Boletaria e il Borgo dei non morti (rispettivamente in Demon’s Souls e Dark Souls) che sono sostanzialmente dei luoghi di prova, dei contesti relativamente sicuri (rispetto a quel che arriverà in seguito) dove si sperimentano in piccolo tutta una serie di meccaniche. Siamo un passo oltre rispetto ai tutorial dichiarati, ma il gioco ancora ci conduce per mano. È una mano dura, rispetto agli standard di gran parte della produzione videoludica attuale, certo, ma non risulta assente. E questo concetto non si esaurisce nelle prime fasi del gioco. Nella Valley of Defilement, solitamente l’ultimo luogo visitato in Demon’s Souls (e uno dei più odiosi), alcune assi si rompono sotto i piedi del personaggio, ma senza conseguenze per il giocatore (si atterra su un’altra piattaforma): questo non è altro che l’ennesimo, piccolo, tutorial implicito.

I videogiochi FromSoftware, insomma, rivelano molti dei loro segreti soltanto a chi sa osservarli con attenzione e agire di conseguenza. Da questo punto di vista non risultano particolarmente ostici; semmai è quando le informazioni risultano carenti che emergono complicazioni, ma questo fattore si è man mano ridotto nel tempo (si pensi anche solo ai menu di Demon’s Souls, molto meno leggibili rispetto a quelli dei suoi successori). È lecito aspettarsi dal prossimo videogioco FromSoftware una maggiore comprensibilità generale, che rimanga sempre ancorata ad alcuni elementi secondari legati a un certo esoterismo: quelle dinamiche che vanno poco a poco sviscerate e che dopo poco tempo riempiono le pagine delle wiki.

Il vero quesito riguarda quella che potrebbe essere definita come una difficoltà più operativa. Il dubbio insomma, detto con altre parole, si pone sull’adottare o meno la formula di Sekiro: Shadows Die Twice. Nei suoi predecessori l’approccio ai combattimenti è estremamente personalizzabile e questo consente, insieme alla possibilità di dedicarsi al farming e a potenziarsi, di portare a termine il gioco anche senza essere maestri del parry e del riposte. Con un po’ di pazienza e una certa dose di inventiva si finisce per superare qualsiasi ostacolo attingendo alle varie opzioni che vengono offerte. Sekiro offre un’esperienza molto più “alla pari” per i diversi videogiocatori. Certo, si possono equipaggiare differenti strumenti prostetici, che in qualche caso aiutano a “rompere” i combattimenti con certi boss, ma alla fin fine bisogna comunque padroneggiare le meccaniche di gioco. Anche qui non mancano i tutorial impliciti ma l’addestramento è certamente più lungo e necessario rispetto ai predecessori.

In termini assoluti non c’è un modello auspicabile per il prossimo videogioco FromSoftware, ma certamente a una maggiore varietà corrisponde anche una migliore rigiocabilità. Ciò significa che guardare il walkthrough su YouTube o Twitch non impoverisce più di tanto la mia esperienza personale di gioco, perché se ho visto giocare un personaggio con la build mago mi sarà sufficiente poi scegliere un guerriero per godermi i combattimenti con maggior freschezza. D’altro canto il modello di Sekiro: Shadows Die Twice consente però di approfondire maggiormente le meccaniche di gameplay. Quando si ha un esubero di armi e poteri come in Dark Souls III è difficile che questi elementi siano sufficientemente differenziati, bilanciati e interessanti da usare.

Sekiro: Shadows Die Twice
Anche in Sekiro: Shadows Die Twice la lore gioca un ruolo importante all’interno del comparto narrativo.

La lore

Croce e delizia di numerosi videogiocatori, su cui si son spesi fiumi di inchiostro e secoli di video su YouTube. La lore dei videogiochi FromSoftware è quel caratteristico elemento del tutto accessorio, ai fini del completamento dell’avventura, capace però di spalancare mirabolanti vette e abissi di possibilità interpretative. Perché quel bassorilievo nel castello di Cainhurst è identico a un altro che si trova nella parte superiore di Cathedral Ward? Semplice riciclo di materiali o chiave di accesso per strabilianti teorie sul mondo di Bloodborne? Un intricato puzzle fatto di tasselli che non combaciano con nessun elemento in modo univoco, e che posson pertanto esser di volta in volta ricombinati, a seconda della prospettiva di chi li osserva. Certo, non mancano “autorità” in materia come Vaatividya (o Sabaku no Maiku per noi italiani), ma rimangono vastissimi spazi per ulteriori interpretazioni.

Tutto ciò offre certamente un ulteriore elemento di rigiocabilità: bisogna ripercorrere saloni e corridoi, studiare le descrizioni degli oggetti, osservare dipinti e statue, porsi domande, tracciare parallelismi… perchè una singola run è del tutto insufficiente. È un po’ come leggere un libro in una lingua che si comprende solo in parte: si arriva comunque alla fine cogliendo il senso generale, ma restano dei buchi, che magari vengono riempiti dalla propria fantasia. L’esempio non è casuale, del resto, perché è quanto accadde allo stesso Hidetaka Miyazaki, come lui ha dichiarato in più occasioni, con i libri in inglese, quando era piccolo.

Come dovrebbe essere, quindi, la lore del prossimo videogioco FromSoftware? Ricca, piena di indizi che diano l’idea di un quadro più ampio, senza però mai comporlo effettivamente. È un equilibrio certamente rischioso, di volta in volta difficile da replicare. Se si scopre subito fin troppo (o, peggio, se non c’è abbastanza da scoprire) il gioco interpretativo viene subito meno e intacca irrimediabilmente la longevità del prodotto. Se, al contrario, l’esoterismo è totale e inscalfibile, se i collegamenti ipotizzati sono troppo fantasiosi e privi di solide basi, ecco allora che subentra la sfiducia e si abbandona la sfida. Non sarebbe male ipotizzare una sorta di tutorial implicito anche per la lore, insomma, che vada a guidare il giocatore (senza dirglielo) durante i primi passi, lasciandogli intuire l’ampiezza delle possibilità che gli si parano davanti, invitandolo a proseguire per conto proprio in questo sistema a incastri di tasselli sparsi qua e là.