Con la recente uscita sul mercato di World War Z, il nuovo titolo sviluppato da Saber Interactive e approdato lo scorso 16 aprile su PC, PS4 e Xbox One, abbiamo approfittato dell’occasione per dare una seconda chance all’omonimo film (tratto a sua volta dal romanzo scritto da Max Brooks) che ha dato poi il via alla trasposizione videoludica. Qualche anno fa, all’epoca della prima visione, il film non mi aveva colpito particolarmente e… niente, non sono riuscito a farmelo piacere neppure dopo la seconda volta.
In virtù dello scarso gradimento per la pellicola diretta da Marc Foster e con protagonisti Brad Pitt e Pierfrancesco Favino, il videogioco su licenza di World War Z era stato bellamente snobbato. Ma un po’ com’era successo con Ace Combat 7: Skies Unknown ho deciso di dargli una possibilità, attirato dai recenti filmati di gameplay che hanno suscitato prima la mia curiosità poi trasformatasi in attenzione, tanto per citare Django Unchained (gran bel film, altroché). Sarà riuscita la controparte videoludica del gioco post-apocalittico a convincere il sottoscritto più di quanto non abbia fatto quella cinematografica? Per scoprirlo non vi resta che leggere la nostra recensione.
WORLD TOUR Z
Appurato il mio personale giudizio poco lusinghiero sulla pellicola cinematografica, è doveroso sottolineare che il gioco di World War Z ha poco o nulla a che fare con il film, perlomeno in termini narrativi. Il team di sviluppo ha scelto di non ricalcare la sceneggiatura del lungometraggio usando un modello basato sulle fattezze di Brad Pitt o di sfruttare un filone narrativo parallelo o derivato, ma di fare le cose in maniera differente. Lo sparatutto propone infatti quattro episodi ambientati in altrettante città del mondo, ognuno di questi (eccetto uno) suddiviso a sua volta in tre capitoli. Non la più alta delle longevità, che si attesta all’incirca sulle cinque ore. Dalla metropolitana e i grandi magazzini di New York, i giocatori visiteranno una polverosa Gerusalemme, affronteranno le gelide temperature moscovite e si ritroveranno a combattere in una zona portuale di Tokyo. Va da sé che non c’è un ordine preciso per affrontare gli episodi di cui si compone la campagna principale, ma chiaramente seguire almeno l’ordine dei capitoli rende più semplice comprendere le vicende dei sopravvissuti che, però, non brillano né per originalità né per capacità di coinvolgimento.
Ad ampliare il background dei sedici personaggi troviamo anche una raccolta di brevi biografie, e corredati da interessanti filmati realizzati in stile graphic novel. Viene fatta così luce sulla storia e i drammatici momenti che hanno preceduto l’arrivo della pandemia che ha stravolto il mondo. Il punto è che questa intrigante caratterizzazione non viene riproposta né all’interno dei brevi filmati né durante le fasi di gameplay, limitandosi a pochi dialoghi che al massimo riescono a strappare una risata e nulla più. Decisamente un’occasione mancata per fornire un contesto narrativo degno di nota. Lo stesso dicasi per i filmati iniziali e finali che caratterizzano ogni capitolo, che svolgono più che altro il compitino nel dare in pasto ai giocatori uno stralcio di incipit generale sulla trama per poi concentrarsi sul piatto forte dell’esperienza, corrispondente allo sterminio di un numero incalcolabile di zombi in cerca di carne fresca.
SOPRAVVISSUTI IN CERCA D’ORRORE
Quattro sono anche i personaggi che in ogni location dovranno vendere cara la pelle (e non solo quella), per un totale di sedici sopravvissuti giocabili. Oltre a cercare di non diventare carne da macello, i giocatori dovranno affrontare missioni che prevedono in sostanza la ripetizione di una serie di azioni che vanno dal proteggere NPC al ripulire zone che brulicano di non morti. Il gruppo ad esempio sarà impegnato a scortare un bus verso il porto di Tokyo proteggendolo dagli attacchi degli zombi o attivare generatori per ripulire zone da gas tossici. Decisamente più ampio il numero di classi tra cui scegliere, caratterizzate da un sistema di progressione a livelli che dà accesso a una serie di abilità attive e passive che determinano anche l’equipaggiamento iniziale e lo stile di gioco. Le sei classi offrono una varietà di stili di gioco molto ampia: alcune sono maggiormente in grado di supportare gli alleati, come ad esempio il medico (che può fornire un temporaneo aumento della salute), mentre altri sono più adatti a combattere in prima linea, come il pistolero (che include nel suo equipaggiamento delle granate a frammentazione). Questa suddivisione in classi si avvale di un sistema di progressione formato da trenta livelli raggiungibili accumulando esperienza alla fine di ogni missione: salendo di livello saranno disponibili un gran numero di abilità attive e passive specifiche, acquistabili con i crediti accumulati al termine di ogni sessione.
Se avete un gruppo di amici con cui cimentarvi nel massacrare orde di zombi allora potrete godere al massimo dell’esperienza cooperativa di cui World War Z si fregia; le sessioni di gioco rimangono però godibili anche se affrontati con perfetti sconosciuti, ma con tutti le limitazioni che ne conseguono, oppure giocare in solitaria con l’ausilio di altri tre personaggi controllati dall’IA. Occhio comunque a dove mirate, perché il fuoco amico è persistente e impatterà negativamente sulla salute degli altri giocatori. In questo caso il tasso di difficoltà offre una sfida adattabile alla propria abilità pad alla mano scegliendo tra cinque livelli di difficoltà che implicano una serie di paletti riguardanti proprio il danno subito dal fuoco amico o il numero di volte che potremo essere messi al tappeto prima di finire al creatore. E a certe difficoltà basta poco per vedere sopraggiunge il game over, soprattutto quando si viene accerchiati e sopraffatti nelle situazioni più concitate. A tal proposito oltre agli “Zeke” (così vengono chiamati gli zombi nel film) classici sono presenti tipologie speciali che vi daranno parecchio filo da torcere: da quelli corazzati, che bloccheranno il giocatore percuotendolo con violenza, agli urlatori in grado di attirare sciami di non morti, senza dimenticare i non-morti corredati di tute chimiche che rilasceranno un gas capace di arrecare danni entro un certo raggio d’azione.
LA RESURREZIONE DELLA CARNE
È chiaro che la figura dello zombie negli ultimi anni ha “infettato” ogni settore dell’intrattenimento, saturandolo fino a mandarlo in… putrefazione: da oltre trent’anni libri, film, serie TV, videogiochi e fumetti propongono variazioni più o meno interessanti sul tema. Quello che differenzia World War Z dagli altri prodotti, siano essi film o videogiochi, è che gli zombie non sono più stupidi esseri deambulanti e lenti ma fulminee creature assetate di carne e capaci di ammassarsi contro superfici per poi superarle. Una caratteristica che gli sviluppatori hanno voluto implementare più di ogni altra cosa, a cui si deve in effetti la nascita dello stesso videogioco, che funziona e rappresenta una novità in questo genere di titoli.
Per tenere a bada i rabbiosi “mangiacervelli” non mancano strumenti di morte alternativi da poter schierare per poter difendere la propria posizione: filo spinato, mortai e torrette automatiche sono validi alleati per allentare la spinta degli esseri infernali, al pari del vecchio e caro piombo a profusione. Tra la moltitudine di bocche di fuoco troviamo un arsenale tanto vario che sarà disponibile. Più useremo un’arma e maggiore saranno i punti XP guadagnati che le permetteranno di salire di livello. Così facendo, utilizzando i crediti in-game avrete la possibilità di sbloccare alcune varianti migliorate delle stesse armi, con statistiche che propendono ad esempio per una maggiore potenza di fuoco o un caricatore più capiente. Il gunplay si rifà grossomodo agli altri sparatutto in terza persona, non proponendo innovazioni di sorta ma che si lascia apprezzare per il buon feeling percepito nei combattimenti con armi da fuoco o in mischia, caratterizzate da un indicatore che mostra la stamina che calerà dopo qualche colpo a suon di machete.
L’influenza derivata da Left 4 Dead è notevole e si avverte soprattutto a livello concettuale, con World War Z che spinge allo stesso modo sul gioco di squadra a tutti i costi, specialmente quando il livello di difficoltà lo impone a prescindere. A spazi più grandi come le strade metropolitane di New York o Tokyo si alternano ambienti claustrofobici e ristretti quali i sotterranei di Mosca (qualcuno ha detto Metro Exodus?) e la base militare a Gerusalemme. Nell’alternanza di scenari prettamente urbani salta all’occhio una certa minuziosità nella realizzazione delle ambientazioni, che offrono una buona varietà strutturale e artistica. L’esplorazione delle mappe diventa un fattore utile per migliorare sempre di più il proprio equipaggiamento (inizierete la missione sempre con un’arma primaria e secondaria di basso livello), a volte provando a entrare in aree accessibili solo con degli esplosivi, o semplicemente vagare in giro per rifornire i gadget o trovando dei kit medici.
PVPVZ
Se con la serie The Division si è parlato di modalità PvPvE in riferimento alla Zona Nera, in World War Z cambia la sigla ma non la sostanza, almeno più di tanto. PvPvZ non è che l’acronimo usato per indicare il multiplayer di tipo competitivo con l’aggiunta di zombie. A onor del vero l’idea di mettere un terzo incomodo non-morto nelle sfide online tra giocatori non è certo un’intuizione attribuibile a Saber Interactive, ma già vista in titoli come Dead Alliance o Resident Evil: Umbrella Corps, anche se con risultati davvero pessimi. Nelle cinque modalità PvP la presenza degli Zeke è ovviamente una costante tale da aggiungere pepe agli scontri tra giocatori, dove faranno capolino attaccando in orde chiunque gli si pari davanti. In quei frangenti il radar in alto si tingerà prettamente di rosso, togliendo qualsiasi indicazione sull’eventuale posizione degli avversari che potranno così sparare senza essere segnalati come avviene invece normalmente. Parlando di modalità si va da quelle classiche come il deathmatch a squadre a variazioni sul tema, come vaccini da raccogliere e difendere o il recupero di approvvigionamenti da casse sparse lungo la mappa, il tutto per un totale di otto giocatori complessivi.
Non è possibile creare un proprio alter ego virtuale ma la scelta potrà invece ricadere su uno dei sedici personaggi delle quattro campagne, selezionando il tipo di classe che automaticamente ne influenzerà abilità e armi equipaggiate. Il sistema di progressione del multiplayer riprende per filo e per segno quello della campagna principale, con bonus attivi e passivi da acquistare con i punti XP acquisiti progredendo di livello. Ci siamo cimentati in diverse partite senza riscontrare problemi di latenza o errori di sorta, tuttavia il level design delle mappe multiplayer ci ha lasciato un po’ interdetti per via di dimensioni non troppo generose e una conformazione senza spunti di nota. In fin dei conti il comparto multiplayer si è rivelato un piacevole contorno tra una missione coop e l’altra e poco altro, con quest’ultima che rimane in ogni caso il pezzo forte dell’offerta di gioco.
TRA ALTI E BASSI
Se Saber Interactive è riuscita a pubblicare World War Z soltanto nel 2019 il motivo è da ricercare nello sviluppo di un motore grafico proprietario che riuscisse a gestire centinaia di zombie intenti ad arrampicarsi verso posizioni sopraelevate, proprio come nel film. Fare un parallelismo con Days Gone (che promette di gestirne simultaneamente fino a cinquecento) è quantomeno improprio, ma nonostante ciò World War Z si difende in maniera più che dignitosa grazie all’utilizzo del suo Swarm Engine. Il gioco permette infatti di muovere centinaia di zombie, intenti a riversarsi lungo le strade o straripare letteralmente da ogni cunicolo riescono nell’intento di ricreare le atmosfere del film, con tanto di piramide (in)umana come al minuto 56:26 della pellicola. L’aspetto che convince di più è la realizzazione dei modelli poligonali, discretamente realizzati e con un buon dettaglio generale. Questa qualità però fa da contraltare ad alti e bassi che portano su schermo delle texture in bassa risoluzione. Tranne in rare occasioni, anche con una mole di elementi a schermo il frame-rate non mostra segni di incertezza, ancorandosi stabilmente sui 30fps. Purtroppo per PlayStation 4 Pro non sono stati pensati miglioramenti specifici, come una risoluzione più alta o un frame rate maggiore.
Altra peculiarità che farà di certo felici gli amanti del gore e dello splatter sono gli smembramenti a profusione che si materializzano a schermo, molto ben ricreati dallo Swarm Engine: il motore riesce a gestire bene l’anatomia dei non-morti, di conseguenza sparando agli arti o effettuando attacchi in mischia si assiste a un festival di teste mozzate, fiumi di sangue e busti privati di braccia e gambe. Purtroppo nel caos generato a schermo è facile imbattersi in nemici che spariscono nel nulla, tanto per necessità in alcuni casi che per limiti tecnici, litigano con muri o che appaiono sfalsati rispetto alla superficie in cui sono stati massacrati. Questi difetti, così come un lavoro sulle animazioni che avrebbe richiesto una notevole perfezionamento, non sminuiscono comunque un buon lavoro generale, considerando anche la portata del progetto. Data la tipologia di gioco ci saremmo aspettati una resa nettamente migliore di effetti particellari causati dalle esplosioni, che per inciso appaiono scialbe e minano la spettacolarità nel far saltare in aria le imponenti orde di zombie. Di buon livello la colonna sonora, su cui spicca un ottimo doppiaggio interamente in inglese e un buon campionario di effetti audio, dalle esplosioni alla riproduzione sonora delle armi da fuoco.