Estate 1999. Frankton, New Jersey. Un ragazzo di nome Alex esce da un autobus, fresco di Bachelor’s Degree in Arti Liberali conquistato con qualche semestre di ritardo. Quel che lo aspetta ora è un po’ di meritato riposo nella tranquilla cittadina natale. D’altronde Alex è libero dal fardello del debito scolastico, dal momento che la madre, un’abile donna in carriera, ha provveduto a coprire le spese universitarie del figlio con un fondo creato ad hoc.
Quel che Alex, incarnazione dell’hipster medio-borghese, un po’ viziato e scansafatiche, egoista, incapace di eccellere in alcunché e incline all’autocommiserazione, non sospetta è che la propria vacanza estiva verrà sconvolta da eventi paranormali che includono ma non si limitano a: ragazze, siti complottisti, dischi in vinile, universi paralleli, il Millennium Bug e decine di cheeseburger. Questo (e tanto altro) è YIIK: A Post-Modern RPG.
SOSPESO TRA SOGNO E REALTÀ
Descrivere la trama di YIIK (che si pronuncia Y-2-K) senza incappare in spoiler o sconfinare nella metafisica è compito arduo, tanto più che gli sviluppatori hanno deciso di optare per una narrazione non lineare, che spesso gioca con la psiche del giocatore catapultandolo in un’epoca distante ma al contempo familiare, costellando il mondo di gioco di riferimenti, indizi, easter egg e momenti in cui il velo di Maya viene squarciato permettendo di gettare uno sguardo fugace su ciò che sta al di là.
L’onirico e la realtà si fondono senza soluzione di continuità, attimi di visionaria consapevolezza irrompono anche durante le fasi più scanzonate dell’esplorazione, permettendo al giocatore di tenere sempre ben presente il filo conduttore che scorre invisibile per tutta l’avventura. Se volessimo azzardare un paragone audace, potremmo dire che YIIK si avvicina a Stranger Things in quanto ad atmosfera dualistica, ma se ne discosta profondamente nei contenuti e gli spunti di riflessione. Volendo per forza essere critici, si potrebbe individuare nell’eccessiva prolissità e nell’autocompiacimento il punto debole di una trama che tuttavia rimane il pilastro fondamentale del lavoro svolto dai ragazzi di Ackk Studios.
UN RPG… POST-MODERNO?
A dispetto del nome, la struttura fondamentale di YIIK è piuttosto classica e non si discosta molto dai canoni dei più famosi RPG dell’epoca. I combattimenti a turni si mescolano con pattern di attacco presi in prestito dai rhythm-game costringendo il giocatore a mantenere sempre alto il livello di attenzione per riuscire a inanellare combo che rendano possibili attacchi dal buon potenziale. Il livello dei nemici sembra infatti adeguarsi a quello dei membri del proprio party e ciò permette di affrontare sempre scontri bilanciati. L’altra faccia della medaglia tuttavia è la sensazione che, fatto salvo che in rari casi, le battaglie siano del tutto opzionali ai fini del prosieguo dell’avventura. Il livellamento, punto focale dei giochi di ruolo in genere, diviene qui piuttosto superficiale ed è infatti compito del giocatore decidere quando aumentare il potenziale del protagonista e dei membri del proprio party, in un’equazione per la quale più forte è il proprio team più forti saranno gli avversari e difficili gli scontri, che finiscono per durare anche cinque minuti indipendentemente dalla qualità dell’avversario.
Le battaglie non differiscono infatti in maniera sostanziale tra nemici comuni e boss: i pattern di attacco non subiscono notevoli variazioni e le abilità acquisite si rivelano superflue nella maggior parte dei casi, soprattutto alla luce del fatto che per attivarle è necessario seguire delle combinazioni di tasti differenti e non sempre intuitive. Fallire una combinazione significa effettuare un attacco a vuoto e, considerando che per utilizzare le abilità speciali dovremo consumare dei punti dedicati, il risultato è che ci troveremo a preferire un buon attacco base a un’azione speciale incerta sia nei modi che nel risultato.
La sensazione generale di abbandono si avverte fin dalle primissime fasi di gioco, prive di un qualsivoglia tutorial che guidi il giocatore nei primi passi tra i quartieri di Frankton: l’unico nostro alleato è un’icona “hint” che fa capolino nel menù e che ci indica di volta in volta la zona in cui recarci nel caso perdessimo di vista il nostro obiettivo successivo. I personaggi non giocanti, le attività secondarie, i combattimenti, tutti questi elementi si rivelano completamente accessori e trascurabili ai fini del completamento dell’avventura: al giocatore è data totale libertà di scelta per quanto riguarda i tempi e i modi in cui affrontare il gioco. La percezione che deriva da questo approccio è tuttavia quella di una generale trascuratezza anziché di una libertà d’azione consapevole e costruttiva.
SONO COSÌ INDIE
Sotto il profilo estetico YIIK si rifà ai canoni tipici delle produzioni tridimensionali a 32-bit, sovrapponendo a modelli poligonali piuttosto poveri texture prive di profondità e monocromatiche in un tripudio di grafica bitmap senza compromessi. L’unica eccezione riguarda le scene d’intermezzo, durante le quali i personaggi appaiono splendidamente disegnati in 2D, sebbene la quantità pose ed espressioni realizzata non sbalordisca in quanto a varietà. Il doppiaggio (interamente in inglese e sottotitolato nella stessa lingua), così come il resto del gioco, risulta invece convincente come anche il comparto sonoro, campionato in modo da richiamare il sound di quegli anni ma che presenta motivi psichedelici orecchiabili e originali, in grado di rimanervi in testa a lungo anche dopo aver spento la console. Una menzione a parte merita la regia, curata e dal taglio spesso cinematografico ma che deve fare i conti con delle telecamere fisse che talvolta rendono l’esplorazione di alcuni ambienti, soprattutto di quelli più angusti, eccessivamente difficoltosa. Inspiegabile infine la lentezza dei caricamenti, davvero eccessiva e che frammenta fin troppo il ritmo di gioco.