La ricetta per un gioco indie di successo è ormai nota a tutti: prendete un titolo dallo stile grafico particolare e aggiungeteci una forte componente narrativa, delle meccaniche di gioco inedite (oppure entrambe), shakerate con cura e servitele a un certo tipo di giocatore. Da circa una decade, l’universo delle produzioni indipendenti sforna capolavori di ogni genere, che nulla hanno da invidiare ai più blasonati titoli tripla-A. Autentiche perle, talvolta nascoste, che col tempo sono riuscite ad affermarsi e a diventare un punto di riferimento per chi si affaccia in questo settore.
Ma cambiamo per un attimo discorso e immaginate adesso di poter controllare lo spazio-tempo a vostro piacimento. Quali sono i momenti della vostra vita che vi piacerebbe rivivere? Quali, invece, quelli che cambiereste? Da una profonda riflessione su temi come l’amicizia e il ricordo nasce The Gardens Between, un puzzle game sviluppato e pubblicato dalla software house australiana The Voxel Agents. La particolarità di questo gioco risiede proprio nel permettere di controllare lo scorrere del tempo, influenzando in maniera significativa il corso degli eventi. All’apparenza potrebbe sembrare l’ennesimo gioco indie dallo stile grafico peculiare, affermazione in parte vera, ma in realtà dietro a questo puzzle game si cela ben altro e noi di VGN.it siamo pronti a raccontarvi di cosa si tratta.
RICORDI INDELEBILI
Nel suo essere ermetico in termini di informazioni circa la trama, The Gardens Between narra le vicende di due grandi amici, Arina e Frendt, catapultati in una strana e surreale realtà alternativa. Pertanto è possibile quantomeno risalire almeno al periodo in cui è ambientato il gioco, quegli anni ’90 in cui almeno un paio di generazioni potranno identificarsi in una sorta di processo mnemonico capace di suscitare dei sentimenti contrastanti (in primis la nostalgia) e allo stesso tempo riavvolgere il nastro nel tentativo di rivivere un ventaglio di emozioni scaturito dal ricordo di una serie di avvenimenti passati. Di tutto questo The Gardens Between fa il suo punto focale a livello narrativo: nel viaggio intrapreso dai due amici non c’è spazio per le parole o per i dialoghi, ma esclusivamente per i ricordi che andranno rivissuti in specifici momenti dell’avventura.
Arina e Frendt si ritrovano in quella che sembra una dimensione astrale, dove piccole dosi di surrealismo e metafisica sono alla base di uno dei migliori concept artistici di questa generazione. Dei veri e propri isolotti su cui gli oggetti, a cui essi sono legati da ricordi e tempo trascorso insieme, incastonati e riproposti lungo il loro cammino. L’attraversamento di ostacoli causati da questi suppellettili ha un significato quasi metaforico, e quegli oggetti che si frappongono tra loro e il raggiungimento della cima di queste isole, sono gli stessi che li hanno legati nel mondo reale e che ora rappresentano gli strumenti scelti per narrare la storia dell’amicizia che lega i due ragazzi.
MANIPOLARE LO SPAZIO-TEMPO
Alla complessità di un gameplay rivoluzionario o stratificato, The Gardens Between preferisce una praticità nell’intrattenere il giocatore con un ritmo lento, compassato, e che per questo riesce a farsi apprezzare in ogni sua componente. Il viaggio di Arina e Frendt si snoda attraverso delle isole-giardino a tema dove, tra paesaggi e oggetti della loro quotidianità, questi ultimi memori del tempo trascorso insieme, vengono rivissuti i momenti felici trascorsi insieme. Non sono i protagonisti a manipolare il tempo, perché tale compito spetta al giocatore; quella dei due ragazzi è una figura passiva di che viene influenzata da ciò accade su schermo e tocca a noi ricreare condizioni e situazioni che gli permettano di superare ostacoli di ogni genere. Con il solo movimento della levetta analogica destra si avanza o si riavvolge il tempo, con le interazioni gestite da un solo tasto. Proprio così, perché tecnicamente ci viene affidato solo il controllo del tempo nel suo lento incedere e delle azioni dei due, i cui movimenti seguono un percorso prestabilito, scandito dall’avanzamento temporale o viceversa.
Arina e Frendt ricoprono due ruoli specifici dove in parole povere la ragazza è colei che trasporta la lanterna in cui inglobare le varie sfere di luce, che può inoltre posizionare su alcuni cubi semoventi, mentre il suo amico può interagire con degli interruttori che condizionano elementi dello scenario o il movimento degli stessi cubi. The Gardens Between è assimilabile a un’esperienza che si muove su un unico binario, in avanti o a ritroso, costituito da animazioni prestabilite ed eventi già scritti che vanno ricreati sfruttando la manipolazione del tempo. Il tutto è riposto nella conduzione di alcune sfere luminose in quelli che all’apparenza si mostrano al giocatore come una sorta di santuari, posizionati sul punto più alto dell’isolotto, dove i giovani protagonisti dovranno recarsi per passare a quello successivo. Tale globo luminoso è anche il lasciapassare attraverso passaggi bloccati da violacee foschie o per far apparire ponti che garantiscono l’attraversamento di un punto altrimenti irraggiungibile. L’unico modo per raggiungere la cima è appunto sfruttare lo scorrere bidirezionale del tempo, mettendolo a servizio dei personaggi. Ciò è riferito alle battute iniziali, che man mano si arricchiscono di meccaniche e varianti più complesse, tra cui alcuni cubi che si sposteranno da una parte all’altra dello scenario o altri che assorbiranno la sfera, dando vita a puzzle più complessi ma ben bilanciati in quanto a difficoltà.
L’ARCIPELAGO DEI RICORDI PERDUTI
Giocando con lo scenario si finisce presto con l’apprezzarne tratti e peculiarità, dal modo in cui The Axel Vogel Agents li ha inseriti all’interno dei livelli quanto nei modo con cui ci si approccia ai vari oggetti presenti in essi, che ricordiamo essere parte integrante delle meccaniche di gioco. Prendiamo in esempio alcune delle situazioni che ci hanno colpito maggiormente, tra cui quella che richiedeva di attivare una stampante per far apparire vari oggetti come cubi o pulsanti, dopo aver immesso la giusta sequenza numerica facendo pigiare alcuni numeri di una calcolatrice su cui i due protagonisti saltano allegramente. O un’altra ancora, dove agendo sulle varie frequenze di una radio vengono attivati determinati cubi che si muovono da una parte all’altra, con il consueto obiettivo di trasportare una sfera luminosa nel punto desiderato. Non tutte le cose però sottostanno al controllo del tempo, come nel caso di una goccia d’acqua che fermatasi in corrispondenza di due fili fa scaturire una scintilla che alimenta alcune lampade che spazzano via brevemente degli ostacoli.
Completando di volta in volta le varie isole si assiste a una sorta di diorama vivente con i due ragazzi immortalati in alcune delle loro attività come giocare ai videogame o passare del tempo all’interno di una casa sull’albero, in cui i pezzi dello scenario da noi affrontato vengono raffigurati in un preciso contesto. Di base tutti i livelli riescono a farsi apprezzare per la loro complessità, ma in alcuni come questi emergono le doti geniali del team di sviluppo, bravo nel ricreare quella quotidianità perduta attraverso i suoi oggetti più rappresentativi. È un discorso applicabile in entrambi i sensi, con un riferimento ad aspetti come gameplay e level design; peccato però che non tutti siano poi così interessanti, denotando un livello qualitativo non così alto. L’altro difetto è imputabile a una longevità che regala poco più di tre ore di puzzle ben orchestrati, che seppur intense, limitano l’esperienza a un un breve pomeriggio in compagnia di Arina e Frendt. Troppo poco insomma.
IL FASCINO ENCOMIABILE DEI GIARDINI SOSPESI
Indubbiamente The Gardens Between rappresenta una delle opere più estrose dal punto di vista artistico che ha calcato il suolo videoludico in questa generazione. L’occhio è costantemente deliziato da ambientazioni che una dopo l’altra si susseguono nel corso dell’avventura, tutte caratterizzate da scenari sviluppati in una sorta di spirale ascendente in avvitamento su sé stessa. Il merito più grande degli sviluppatori è stato quello di aver caratterizzato ogni singola isola con oggetti a tema che hanno una duplice valenza: funzionale, nel modo in cui si interagisce con lo scenario, ed estetica nell’aver ricreato degli stage assolutamente ispirati. Lo sviluppo dei temi che caratterizzano le isole è sorprendente, dove oggetti di uso quotidiano e non, creano una sorta di mosaico dove telescopi, vecchi televisori a tubo catodico e biciclette sono ugualmente appaganti da ammirare quanto stimolanti con cui interagire. Allo stesso modo anche le “animazioni su binari” denotano una cura non indifferente del dettaglio. I due ragazzi non si limitano a percorrere la strada che si para dinanzi a loro ma osservano con curiosità ciò che li circonda, interagendo con la tipica naturalezza che contraddistingue quel fantastico periodo della vita umana chiamato adolescenza.
Nell’identificare i punti di forza la scelta ricade a mani basse sulla profondità del level design, non fine a sé stesso ma che viene messo a servizio del gameplay e non viceversa. L’oggettistica non è solo voce con cui raccontare una storia, ma anche un potente mezzo con cui imbastire delle interazioni. Sono le immagini a parlare, non i due ragazzi. L’aver privato Alina e Frendt di dialoghi e qualsivoglia suono ha lasciato campo libero a un modo non troppo convenzionale di portare avanti la narrazione. Nel turbinio emozionale dei ricordi grande enfasi viene dunque riposta nel comparto sonoro, qui di grande aiuto nel calarsi nei panni dei due ragazzi. A una buona campionatura di effetti, si legano infatti ottime musiche di accompagnamento che sottolineano, quasi puntualizzano, il loro stato d’animo. Talvolta sulle dolci note di un pianoforte, altre su quelle di un violino, a rimarcare le atmosfere pregne di malinconica nostalgia . Il connubio suono-immagine evoca emozioni, pur non spingendo mai fino in fondo nel creare un’empatia tale tra i protagonisti e chi è dall’altro lato dello schermo, proposta solo in parte e che poteva, anzi andava, sfruttata maggiormente.