Prima ancora che Nintendo e Splatoon ci facessero capire quanto è divertente spargere colore dappertutto, THQ aveva già provato a spiegarcelo nel 2008 con il primo episodio di de Blob su Wii. In entrambi i casi, lo scopo del gioco è colorare l’ambiente circostante, ma mentre in Splatoon lo spargimento di colore avviene principalmente sparando vernice all’impazzata in adrenaliniche arene ghermite di amici e avversari, in de Blob e il suo sequel de Blob 2 la situazione è molto più solitaria e tranquilla. Fin troppo, alle volte.
A metà tra un platform e un puzzle game, de Blob e il suo seguito, arrivato nel 2011 su Wii e le altre console della generazione precedente (qui riproposto sulle console attuali in versione Remastered), ci mettono nei panni (beh, in realtà è nudo!) di un personaggio amorfo che ha il compito di riportare il colore negli scenari grigi e spenti che ospitano il gioco. La meccanica di base vede il nostro Blob risucchiare colori diversi da pozze o altre improbabili fonti, e “toccare” vari elementi del paesaggio per ricolorarli e riportarli allo splendore che li contraddistingueva prima che diventassero monocromi a causa del temibile (??) Compagno Nero.
A tutto ciò si aggiungono una serie di varianti e di difficoltà in più che tentano di creare un po’ di varietà a una struttura di gioco che rischia di essere troppo semplice e ripetitiva. Ma nell’estremo tentativo di proporre dei diversivi allo schema e rivitalizzare l’interesse dei giocatori livello dopo livello, gli sviluppatori si sono forse fatti scappare la mano.
QUANTITÀ E NON QUALITÀ
La “generosità” di Blue Tongue Entartainment si ritorce contro i poveri giocatori, visto che le mappe esplorabili sono fin troppo grandi, obbligandoci a colorare un numero eccessivo di oggetti che porta ben presto ad annoiarsi. Gli elementi collezionabili in ogni livello sono talmente tanti che se ne perde l’interesse, visto anche che il motivo per il quale cerchiamo di averli tutti resta praticamente oscuro. A poco servono anche le variabili ideate dal team di sviluppo per creare un po’ di scompiglio: colorare gli elementi solo nella tinta suggerita dal gioco, la cui fonte è spesso e volentieri lontanissima dall’obiettivo, o l’introduzione di varie tipologie di ostacoli come l’acqua o altri nemici che sono capaci di renderci nuovamente di un colore neutro e quindi impedirci di colorare il mondo. Ciò succede perché ben presto sopraggiungono ripetitività, confusione e il dubbio che forse quel livello è destinato a non finire mai.
Non aiuta, in tutto questo, un sistema di controllo che è invecchiato ancora peggio del comparto grafico. Riuscire a governare Blob è arduo, e spesso è anche l’unica vera difficoltà di fronte a cui il gioco ci pone. Salti non precisi, movimenti nello spazio che ci hanno fatto cambiare o perdere colore involontariamente: tutti elementi che erano già difficilmente digeribile nel 2011, figuratevi ora, con un’edizione rimasterizzata a sette anni di distanza.
THQ Nordic ha aggiunto per questa occasione una modalità multiplayer che, effettivamente, riesce a donare un po’ di effervescenza all’esperienza di gioco. Si tratta di piccole gare in splitscreen che, isolate dal logorroico e ridondante contesto principale, riescono a offrire realmente un piacevole diversivo. Nel complesso, anche questo piccolo extra non giustifica il ritorno di una serie di cui in pochi sentivano la mancanza e che, allo stato attuale, non può che fare cadere le braccia anche ai pochi che aspettavano con ansia questa edizione rimasterizzata.