Tarsier Studios ha sempre vissuto all’ombra di Media Molecule. Sono stati loro a occuparsi di Little Big Planet 3, il capitolo-compitino pubblicato su PS4, e sempre a loro è stato affidato il (quasi) port di Tearaway per l’ammiraglia Sony. Ultimamente le cose stanno però cambiando e lo studio svedese ha cominciato a dedicarsi a progetti originali, tra l’altro di ottima fattura. Vedi l’atipico e affascinante Little Nightmares, un titolo che nonostante alcune incertezze colpisce per i toni grotteschi e per una direzione artistica sopraffina. Negli stessi giorni in cui Little Nightmares faceva la sua comparsa nei negozi, veniva pubblicato in sordina anche Statik, puzzle-game narrativo concepito per la realtà virtuale. Sebbene Little Nightmares gli abbia rubato la scena, sarebbe ingiusto non riservare spazio a questo piccolo gioiellino che costruisce un’arguta esperienza immersiva.
LEARNING BY DOING
La premessa di Statik è volutamente criptica. Il giocatore veste i panni di una specie di cavia da laboratorio con le mani intrappolate all’interno di box metallici da risolvere, veri e propri rompicapo da esplorare e ruotare, joypad alla mano. Si respira aria di Portal; c’è anche un pizzico di The Stanley Parable nei toni surreali dei dialoghi tra i misteriosi scienziati dello Statik Institute of Retention e il protagonista. Pur non rinunciando alla narrazione – il giocatore desidera capire perché si trova in quel luogo e qual è il suo compito – Statik pone l’accento sulla dimensione puzzle. Di fatto ogni box è un nuovo contesto da risolvere e comprendere.
L’intuizione degli sviluppatori sta nel non fornire al giocatore alcun indizio, alcun tutorial. Si è completamente spaesati sia per quanto riguarda l’interfaccia, sia per quanto riguarda le logiche di funzionamento dei box. Bisogna quindi sperimentare, cominciare a collegare ogni pulsante e grilletto agli interruttori e ai tasti. Learning by doing.
Di box in box il giocatore sperimenta lo straniamento della cavia. Non si capisce dove il gioco voglia andare a parare e i quiz attitudinali che intervallano i vari box aumentano esponenzialmente gli interrogativi (e la confusione). Tarsier Studios ha avuto la brillante idea di creare un piccolo universo intorno ai puzzle. Se ogni box offre già di per sé una sfida intelligente, la narrazione riesce ad amalgamare tutta l’esperienza fornendo ulteriori motivazioni al giocatore.
MANI VIRTUALI
Il DualShock 4 è il fulcro di Statik. Tutto ruota – è il caso di dirlo – intorno al pad: muovere le mani nel mondo reale serve a osservare i box meccanici da tutti i lati; a ogni pulsante corrisponde un input. Il nostro personaggio è perennemente seduto, per cui il pericolo motion sickness è scongiurato. La scelta di immobilizzare il giocatore è pertinente col contesto narrativo e tuttavia il valore aggiunto della realtà virtuale è innegabile. L’osservazione delle stanze, in quasi tutti i casi, è vitale per comprendere il funzionamento dei box. Lo sguardo può quindi vagare tutt’attorno e il rapporto “cerebrale” con i box beneficia di questa immersione virtuale.
L’utilizzo della VR dà modo agli sviluppatori di sbizzarrirsi con box particolarmente geniali e con alcuni slittamenti del punto di vista che danno origine a interessanti riflessioni sul ruolo stesso del giocatore in rapporto al mondo finzionale. Nel caso di Statik la realtà virtuale non è accessoria, ma necessaria affinché il titolo possa esprimersi al meglio. Anche sul fronte della durata non possiamo certo lamentarci. Per arrivare ai titoli di coda, ipotizzando di non rimanere bloccati con qualche box, ci vogliono tra le 4 e le 5 ore di gioco. Una durata tutto sommato discreta, anche in relazione al prezzo.
Statik è probabilmente destinato a rimanere un titolo di nicchia, ma ciò non toglie che si tratti di un’opera originale e ben congegnata, capace di mettere in scena puzzle sofisticati e stimolanti. Il fatto di averli voluti inserire all’interno di un contesto così criptico non fa altro che aumentare il coinvolgimento del giocatore. Essere una cavia non è mai stato così piacevole.