Tante volte è capitato, nella più totale apatia di un momento di assoluta tristezza nel ripercorrere mentalmente i bei tempi videoludici che furono, di rivivere intere sessioni di gioco semplicemente tramite immagini mentali, brevi frammenti di emozioni capaci di riaccendere la scintilla per un determinato genere o titolo. Altre volte capita invece che questa scintilla ti colga impreparato, quando meno te lo aspetti, e tu ti senta pervadere da un’ondata inarrestabile di sensazioni che erano soltanto sopite in attesa del momento giusto per impadronirsi nuovamente della tua mente.
Questo è ciò che mi è successo quando ho avviato SpellForce 3: Fallen God, DLC stand-alone dell’eterna e omonima saga fantasy. Ebbene, quando ho iniziato a navigare tra i menu di gioco, e prima ancora di avviare la mia prima partita, la mia mente mi ha ricondotto a quei pomeriggi di quasi quindici anni fa quando, esattamente come oggi, ero pronto a iniziare la mia campagna in Warhammer 40.000: Dawn of War – Dark Crusade. Sto parlando di un gioco che ha segnato profondamente il mio modo di vedere e vivere gli strategici, ancora di più di quanto non fu in grado di fare Age of Empires, al quale però non posso non dare il merito di avermi fatti scoprire il genere.
Perché ho voluto fare questa lunga premessa, vi starete chiedendo. La risposta è molto semplice, e vuole essere anche un modo per provare a far capire a chi mi sta leggendo, che raccontare di un videogioco è molto meno scontato di quanto possa sembrare, perché un videogioco non è fatto soltanto di gameplay o di grafica. Un gioco è fatto prima di tutto di emozioni e ricordi, due componenti che sono diverse in ciascuno di noi e che, nonostante un recensore possa sforzarsi di accantonare per far spazio alla massima oggettività di cui è capace, inconsciamente andranno ad influenzarne il giudizio. Per cui, ecco il vero punto, non vi adirate se talvolta i giudizi non corrispondono a ciò che secondo voi sono le vere caratteristiche e potenzialità di un titolo, perché in fondo ognuno di noi porta dentro di sé il proprio Warhammer.
IL DIO CADUTO
Lasciati da parte, almeno per il momento, i sentimenti, mi addentro ancora una volta all’interno dell’universo di SpellForce, stavolta dalla parte dei Troll, un popolo misterioso e che, come vuole la tradizione, non se la passi poi così bene. Di fatti gli espedienti narrativi che ci introducono la razza non sono dei più originali: un popolo costretto a nascondersi in terre che non gli appartengono, braccati da cacciatori di altre razze e soprattutto sfiniti da un terribile morbo che sembra non volerli abbandonare. Da qui lo spunto per iniziare un lungo viaggio ricco di pericoli e tensione alla ricerca disperata di quell’aiuto che sembra risiedere in Fial Darg, un’antica divinità che pare poter ribaltare le sorti di un destino ormai scritto. Da questo momento in avanti si snoderanno una serie di avventure, colpi di scena (più o meno riusciti) che metteranno sempre e comunque il giocatore in primo piano, grazie a un sistema di scelte che ci farà sentire davvero i padroni della nostra sorte.
Nella lunga campagna di cui vi ho appena parlato si alterneranno le due componenti che contraddistinguono SpellForce, e l’intero genere degli strategici. La prima è la componente RPG, che si viene a delineare già nel momento in cui avvieremo una nuova campagna” nel menu principale. Questo perchè ci verrà da subito chiesto di personalizzare il nostro quartetto iniziale di eroi, il tutto dovendo scegliere per ciascuno una classe di appartenenza che, come da tradizione, detta le linee guida per le corrispondenti abilità. La classe che sceglieremo sarà condizionante non solo per il rispettivo albero delle abilità, molto semplificato e lineare rispetto ad un vero e proprio RPG, ma anche sul come dovremo sviluppare l’eroe in termini di forza, destrezza, intelligenza, costituzione e vitalità. Questi cinque parametri, anch’essi classici del genere fantasy, sono fondamentali per un buon sviluppo del personaggio, in quanto le abilità di classe sono fortemente dipendenti da tali valori.
TRA GIOCO DI RUOLO E STRATEGICO IN TEMPO REALE
La seconda componente presente in SpellForce 3: Fallen God è, ovviamente, quella RTS. Anche sotto questo punto di vista lo stile si mantiene sul quanto di più classico possa esserci nel panorama videoludico. Nella nostra avventura dovremo sviluppare il nostro accampamento ottenendo risorse dall’ambiente circostante e sfruttarle per costruire edifici e reclutare abitanti. Ciascun abitante poi verrà specializzato in un dato mestiere a seconda dell’edificio dal quale lo recluteremo, con cacciatori, cercatori di rottami e guerrieri, con questi ultimi che, lo si nota sin da subito, si limitano a essere nient’altro che delle mere comparse a fianco degli eroi principali.
Una cosa che non ha convinto nella struttura RTS, che nel complesso si presenta più che buona, è la strana scelta di suddividere le risorse in zone le quali vanno a esaurirsi mano a mano che i nostri abitanti le raccoglieranno. Questo costringe il giocatore a trasferirli di volta in volta la ricerca in altri settori, rallentando non poco la progressione del villaggio. Una scelta discutibile, di cui onestamente non sentivo la necessità, preferendo di gran lunga una progressione più classica che, di fatto, meglio si sposa che l’intera struttura di gioco.
Dal punto di vista tecnico SpellForce 3: Fallen God si difende bene, con un comparto grafico assolutamente gradevole che rende giustizia agli scenari naturali che esploreremo durante la campagna. A corredo un comparto sonoro che con il doppiaggio dei Troll, seppur con voci classiche della razza, tocca degli ottimi picchi di espressività contribuendo a farci immergere notevolmente all’interno delle nefaste vicende che coinvolgono i protagonisti.