Dying Light: Bad Blood
Versione testata: PC

Dying Light: Bad Blood, una settimana in compagnia del battle royale di Techland

Dopo aver divertito i giocatori con un primo capitolo ben confezionato e peculiare, in attesa di pubblicare l’atteso Dying Light 2 – i ragazzi di Techland hanno deciso di sfruttare l’ottimo (e irripetibile, ndr) momento positivo per i battle royale proponendo un’esperienza unica, in grado di mescolare e amalgamare quasi alla perfezione quella che è la natura della serie Dying Light con le meccaniche più in voga di questo periodo videoludico.

Abbiamo trascorso una settimana nel mondo decadente confezionato dalla software house polacca: ecco le prime impressioni su Dying Light: Bad Blood!

REINTEPRETARE UNA MODA

Innanzitutto è bene precisare come, attualmente, il gioco sia disponibile soltanto su Steam in versione Early Access e che in futuro arriverà anche su console. Il prezzo di vendita pari a 19,99 euro suggerisce che alle spalle della produzione ci sia già stato un lavoro piuttosto accurato e che, probabilmente, non trascorrerà troppo tempo prima che si possa vederlo pubblicato ufficialmente.

A primo impatto infatti il titolo appare molto bello e fluido: gli asset utilizzati, presi prevalentemente dalla serie principale, sono ottimi e ben animati. Il mondo di gioco dunque, nonostante sia devastato da una piaga zombie, è luminoso e colorato, dalle tonalità forti e decise. Ma come si crea un battle royale con gli zombie? Beh, in primis c’è da dire che nonostante il genere sia di gran moda, Dying Light: Bad Blood riesce a inserirsi con personalità tra i competitor proponendo un’esperienza davvero differente. Questo perché è attualmente tra i pochi a proporre un approccio in prima persona e sicuramente l’unico a farlo in questo stile.

Stile che abbiamo imparato a conoscere in passato, quello fatto di salti, parkour e arrampicate continue, di rapide scivolate e colpi con armi corpo a corpo o da lancio. E poi c’è l’immenso mondo di gioco, fitto di pericoli e nemici che si celano dietro ogni angolo pronti a saltarci addosso o a colpirci dalla distanza. E questa è probabilmente la discriminante più rilevante dell’intera esperienza: piuttosto che puntare infatti su un numero elevatissimo di giocatori, gli sviluppatori hanno scelto di optare per una mappa che racchiuda una dozzina di utenti, quasi come fosse un’arena enorme e i giocatori, dei gladiatori che devono combattere tra di loro in un contesto di precarietà.

LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA

Non a caso uno degli slogan nel gioco fa riferimento proprio a questo: dodici giocatori che entrano e uno solo che ne può uscire vivo. Questo perché ogni partita si basa sulla spasmodica ricerca di campioni biologici che devono essere raccolti, protetti e conservati dai giocatori al fine di guadagnarsi un posto – l’unico disponibile – su di un elicottero. In questo senso, almeno nelle fasi iniziali, il titolo non spinge unicamente i giocatori a combattere tra di loro ma piuttosto premia chi si butta subito alla ricerca di tali campioni, seguendo di fatto quella che risulta essere la sua missione.

Tuttavia, in questo caso, lo scontro tra utenti è soltanto rimandato poiché, in un modo o nell’altro, deve avvenire. Da questo punto di vista il gioco è riuscito a convincerci in pieno in quanto riesce a trasmettere un forte senso di precarietà e debolezza nell’utente fin dall’inizio del match, merito anche della consapevolezza che, a parte gli zombie, per la mappa si aggirano altre undici persone in cerca come noi di salvezza. Chiaramente poi, essendo questa una vera e propria lotta per la sopravvivenza, non esiste una strategia vincente in senso assoluto pertanto potrebbe capitare di incontrare nei vostri match giocatori intenti fin da subito a cercare di sconfiggere gli altri per sottrarre loro i campioni o l’equipaggiamento eventualmente raccolto. In questo senso il titolo riesce a garantire una buona longevità poiché ogni partita è diversa dalle precedenti e vedersi strappare davanti agli occhi la vittoria per un soffio potrebbe spingervi a ritentare con più foga di prima.

Come da manuale, il Battle Royale di Dying Light: Bad Blood richiede da parte che ogni giocatore si adoperi al fin di cercare per la mappa armi e oggetti di equipaggiamento. Da questo punto di vista dobbiamo sottolineare come il gioco attualmente non brilli particolarmente e quindi l’eventuale abilità dell’utente pare essere messa da parte (o almeno momentaneamente) in virtù della fortuna, chiamiamola così, di trovare armi da lancio o dalla distanza. In quel caso, con l’approccio dalla distanza e facendo sanguinare il nemico diventa davvero molto più facile per noi – o per gli avversari – uscire vincitori da uno scontro in PvP.

Dying Light Bad Blood

Dying Light: Bad Blood propone una versione battle royale a tema zombie molto curiosa, in prima persona e con tutto il sistema di movimento, parkour e animazioni che abbiamo ben imparato a conoscere nel brand principale. Il gioco unisce sostanzialmente meccaniche PvE alla sopravvivenza tra giocatori, in una mappa piuttosto grande da cui soltanto uno può uscire sano e salvo.

Nonostante il gioco appaia già a un ottimo punto dello sviluppo, come di consueto preferiamo attendere l’uscita definitiva del gioco e seguire da vicino l’evoluzione del nuovo progetto di Techland in fase di Early Access prima di esprimere un verdetto definitivo e ovviamente un voto. Restate sintonizzati sulle pagine di VGN.it, perché nei prossimi giorni continueremo a esplorare il mondo creato dalla casa polacca (anche in diretta sul nostro canale Twitch) e valutare quella che sarà l’offerta finale in termini di contenuti come modalità, mappe e armi prima del nostro giudizio finale.